Wisteria, le specie di valore

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Grappoli di profumo

Importata in Italia verso il 1831, la prima pianta di Wisteria sinensis incontrò subito un successo strepitoso, non solo per la sua bellezza, ma anche per la sorprendente facilità di coltivazione e per la grande rusticità. Pochi decenni dopo, nel 1863, l’autorevole giornale d’orticoltura “I Giardini” (in pratica la “mamma” di tutte le riviste di giardinaggio del nostro Paese), ne tesseva un elogio appassionato, auspicando una sua maggiore diffusione in questi termini: “Benché fra noi sia universalmente conosciuta, il suo uso diverrà più generale allorché, come avviene al dire di Siebold [celebre botanico dell’epoca] nel Giappone, se ne adorneranno i nostri pubblici passeggi, intrecciandone pergolati e slanciandone in capricciosi ornamenti fra i filari degli alberi i rami flessuosi, a cascare in ghirlande naturali, e curvarsi in festoni graziosi di insuperabile bellezza”. Al netto della retorica del tempo, siamo tutti d’accordo sulla sostanza dell’elogio, ma dobbiamo anche aggiungere che in questo secolo e mezzo sono stati compiuti passi da gigante, sia nella produzione di nuove varietà e ibridi, sia nell’estensione dell’impiego decorativo di una pianta che in pratica non conosce controindicazioni di sorta. Il suo unico difetto – diciamolo subito – è la difficoltà di essere tagliata a pezzi, quando si renda necessaria un’operazione tanto sventurata. Per il resto, i glicini sono una benedizione della natura.

 

In breve

Tipo di pianta: Wisteria, arbusti decidui

Famiglia: Papilionaceae 

Parenti stretti: Lathyrus, Caesalpinia, Millettia

Dimensioni massime: altezza 10-12 m

Portamento: rampicante sarmentoso

Foglie: alterne, pennate di 35 cm

Colore foglie: verde medio

Fiori: racemi penduli lunghi fino a 30-50 cm

Frutti: baccelli simili a fagioli

Rusticità in Italia: ottima

 

 

Due (o tre?) specie di valore

In natura vivono circa dieci specie di Wisteria, ma ai fini ornamentali solo due di loro prevalgono sul resto del gruppo, dando origine ad una moltitudine di ibridi e varietà.

  • W. sinensis, la più nota e diffusa, nasce spontanea in diverse province cinesi, fra le quali Guizhou e Yunnan, nelle cui foreste si arrampica sugli alberi fino ad una quota massima di 30 m.. Le foglie, lunghe 15-30 cm, sono composte, con 9-13 foglioline di un bel verde brillante. I profumatissimi fiori di colore azzurro-violetto, nella forma simili a quelli dei fagioli, sono raccolti in racemi lunghi 15-20 cm, e si aprono tutti insieme al momento della fioritura fra aprile e maggio, quando le foglie sono ancora semichiuse. Il frutto è un legume coriaceo e appiattito di 15-20 cm, contenente semi rotondi di 1 cm.
  • W. floribunda, giapponese, in natura raggiunge un’altezza massima analoga a quella della sorella cinese, sfiorando cioè i 30 m. Le foglie, lunghe fino ma 30 cm, sono pure pennate, con un numero superiore di segmenti laterali (fino a 19), dotati di una forma ancor più allungata e lanceolata. I racemi penduli sono assai più lunghi, arrivando anche a 30 cm (ma assai di più in coltivazione!), mentre i fiori, sempre molto profumati, sono di colore lilla-violetto e si aprono gradualmente dalla base del racemo fino alla punta. Il legume è solitamente assai più corto (10.15 cm).
  • Inoltre nei giardini giapponesi è facile trovare un glicine di particolare bellezza, W. brachybotrys, che però è irreperibile in natura, inducendo a farlo ritenere un ibrido ottenuto chissà quando. La sua caratteristica principale, a parte l’altezza inferiore ai 10 m, è data dalle foglie, delicatamente vellutate, così che si giustifica il nome inglese della pianta, “silky wisteria” o “glicine sericeo”. I suoi racemi, lunghi 15 cm, sono di colore più chiaro, tanto che di norma la specie viene identificata con una sua famosa cultivar dai fiori bianchi, W. b. ‘Shiro-kapitan’.
  • Sempre allo stato naturale s’incontrano altre specie apprezzabili (come W. frutescens e W. macrostachya, entrambe americane), ma nessuna raggiunge il valore ornamentale delle due sorelle orientali. Inoltre si può ricorrere anche alle forme originate da un ibrido fra W. sinensis e W. floribunda, che ha dato vita a W. x formosa, dotata di racemi di 25 cm e di un fogliame ancor più coriaceo.

Il problema dei nomi

Già sappiamo che spesso i botanici, sia pure involontariamente, ci procurano delle seccature, spostando generi e specie di qua e di là, cambiando denominazioni e così via. Nel caso dei glicini, lo stesso nome generico Wisteria è stato a lungo disatteso a favore di Wistaria, perché il personaggio cui era stato dedicato si chiamava in realtà non Wister, ma Wistar, da cui in teoria dovrebbe appunto discendere “Wistaria”. In pratica, l’equivoco fu poi sostanzialmente risolto accettando l’errore iniziale, così che la sola denominazione corretta resta Wisteria. Tuttavia, i veri problemi nominalistici nacquero – e purtroppo persistono ancora oggi – con i nomi assegnati alle specie, ma soprattutto con quelli riguardanti ibridi e cultivar. La questione si presenta anche con altri generi (come Acer), perché le regole internazionali imporrebbero di non tradurre i nomi assegnati nel Paese d’origine, prassi che spesso si verifica a livello orticolo. Ad esempio, W. f. ‘Kuchi-beni’ è stata malauguratamente tradotta in ‘Lipstick’, solo perché entrambi i termini significano “rossetto per labbra”, così come ‘Kokkuryu’ è diventata ‘Black Dragon’. Inoltre, quando il fenomeno si riferisce a cultivar cino-giapponesi, spesso si ricorre alla traslitterazione di lemmi orientali, trasponendoli in caratteri latini, nel tentativo di riprodurre il medesimo suono, con risultati a volte disastrosi. In più, siccome in giapponese il glicine viene chiamato “fuji” (o qualcosa di simile), accade che questo termine sia spesso inopportunamente unito al nome della cultivar. Per esempio la cultivar W. floribunda ‘Kuchi-beni’, talvolta viene venduta erroneamente come ‘Kuchi-beni fuji’. Per finire, occorre guardarsi dalle cantonate vere e proprie, come quella di “storpiare” nomi: per es. non esiste una W. floribunda ‘Jissai’, ma solo una W. f. ‘Issai’. Va ricordato che il miglior testo per diradare dubbi in materia è il celebre “Plant Finder”, edito dall’inglese Royal Horticultural Society.

 

 

Piante di destra o di sinistra ?

Qui la politica non c’entra, ma solo il fatto curioso che i glicini amano arrampicarsi in direzioni differenti, anche se su questo fenomeno circolano spiegazioni imprecise. Spesso, infatti, si legge che W. floribunda si avvolge al tutore in senso orario, mentre W. sinensis lo fa in senso anti-orario. Tuttavia, occorre riflettere: ma da dove guardiamo la pianta, dal basso o dall’alto? Perché i due punti di vista sono completamente opposti. Se invece l’osservatore si mette alla base della pianta, guardando verso il cielo – come sembra più logico fare – allora la situazione si ribalta: W. sinensis sale nel senso delle lancette e la sorella giapponese fa il contrario.

 

Consigli d’acquisto

Dal momento che una delle principali forme di “ansia da prestazione” (parliamo sempre di glicini, s’intende) riguarda il fatto se i glicini comprati fioriscono oppure no – come talvolta può capitare, anche agli acquirenti più accorti – un primo suggerimento è di acquistare sempre cultivar con nomi certi. L’etichetta riportante solo “Wisteria sinensis” può nascondere un problema. Infatti, se si tratta di piante nate da seme, va ricordato che questi esemplari possono impiegare anche 20 anni prima di fiorire! In altre parole, è sempre meglio orientarsi su piante ottenute da innesto e, se possibile, già fiorite, ovviamente rivolgendosi ad un vivaista affidabile.

Coltivazione di base

I glicini sono piante molto rustiche e vigorose, poco esigenti in fatto di temperature invernali e di suolo, che però sarà piuttosto umido e ben drenato, con esposizione soleggiata. Per ottenere i risultati migliori, occorre annaffiare bene la pianta dopo la messa a dimora. Se si aggiunge del fertilizzante in primavera, la crescita sarà più veloce, ma non bisogna esagerare per non far sviluppare un fogliame eccessivo. Se l’esemplare è giovane, i suoi getti più grossi andrebbero fissati al supporto (pergola, arco o altro) senza farli attorcigliare, mentre quelli basali che non sono utili per la formazione della struttura vanno eliminati del tutto. A questo punto il gioco è quasi fatto, se si eccettua l’operazione più importante, che fa tremare un po’ i polsi: la famosa potatura del glicine!

 

La potatura

Senza potatura, la pianta di glicine giovane forma troppi rami e crea una gran massa di foglie, spesso con pochissimi o nessun fiore. Come procedere? L’obiettivo iniziale consiste nell’organizzare una corretta struttura di base, con un moderato numero di getti e cortissimi rametti terminali simili a speroni. I primi 2-3 anni vanno dedicati a questo lavoro, scegliendo 3-4 rami principali da fissare nella direzione voluta. Non va eliminato troppo fogliame, perché le foglie nutrono la pianta e la rendono più forte. In inverno, i getti laterali vanno ridotti fino ad un terzo, consentendo alle gemme da fiore di formarsi. Nell’estate seguente, non oltre agosto, si riducono ancora i getti fino alla quarta delle gemme da fiore, che sono più grosse rispetto a quelle da foglia. Negli anni successivi si procede nello stesso modo, potando due settimane dopo che la piena fioritura sia cessata. In ogni caso, occorre avere pazienza, perché la pianta può impiegare anche cinque anni prima di dare il meglio di sé.

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