Tartufo nero

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Tartufo nero, Tuber melanosporum, una bontà custodita dalla terra e dal bosco

 

Che cos’è il tartufo?

Il tartufo è un fungo ipogeo, cioè un fungo che vive e compie tutto il suo ciclo vitale sottoterra e a differenza del fungo normale (epigeo) che ha un gambo ed un cappello, esso ha una scorza chiamata tecnicamente peridio ed una parte interna detta polpa o gleba di colore diverso a seconda della specie. La polpa al taglio si presenta ricca di venature anche ramificate.

Il tartufo vive obbligatoriamente in simbiosi con un albero: le micorrize, strutture tuboliformi formate da elementi primari chiamati ife, si insinuano negli strati superficiali delle radici delle essenze arboree per prelevare acqua, sali minerali e gli altri componenti della linfa. Solo in presenza di determinati condizioni l’insieme delle ife, ossia il micelio, costituisce il corpo fruttifero, il tartufo.

Così protetto dalla terra e dagli alberi il tartufo rimase a lungo un vero e proprio mistero, una meraviglia inspiegabile, “figlio del lampo” lo credevano gli antichi.

Il nome scientifico del tartufo nero è Tuber melanosporum. Si riconosce per il colore scuro del peridio che va dal nero al bruno ricco di piccole protuberanze di forma verrucosa.

La polpa sempre di colore scuro presenta venature ramificate, sottili e chiare. Generalmente globoso, ma anche lobato, il tartufo nero ha dimensioni molto variabili, da quelle di una nocciola a quelle di una pallina da tennis.

Le querce (leccio, rovere, farnia) sono gli alberi che più facilmente entrano in simbiosi con il tartufo di questa specie, ma anche nei boschi di noccioli e carpini non è difficile trovarlo. Ad individuare i “posti buoni”, prima ancora del fiuto del cane, sono il tipo di terreno che deve avere ossatura (la frazione pietrosa) e non troppo ricco, e la scarsa vegetazione erbacea sotto agli alberi.

In Italia chi dice “tartufo nero” dice “Norcia”, ma anche altri centri, data l’ampia diffusione sul territorio nazionale, stanno diventando “capitali del tartufo” grazie a manifestazioni mirate e gastronomie attente.

 

Pulire e conservare i tartufi

I tartufi si liberano dalla terra: si spazzolano con cura, si lavano e si lasciano asciugare perfettamente. L’ideale è un contenitore con carta da cucina o altro materiale assorbente (tradizionalmente s’impiega il riso) per evitare che si formi una condensa o un eccesso di umidità che favorisca il deperimento del tubero. Si conservano nella parte meno fredda del frigorifero e si controlla che non si formino gocce sul coperchio.

 

Tartufo nero in cucina

Il primo impiego del tartufo è come aromatizzante dei cibi prima che questi vengano messi a cottura: è il caso delle uova alla coque consentito dalla porosità del guscio. Basta chiudere per quarantotto ore le uova con i tartufi in un contenitore ermetico prima di cuocerle.

Per una tartina si impiega pane poco tostato e tartufo lavorato nel mortaio con olio di oliva di qualità, in un rapporto di due a uno, prima di spalmare si regola di sale.

Per una pasta che esprima al meglio le caratteristiche organolettiche del tartufo ci si limita ad unirlo in scaglie o si lavora al mortaio con poco olio.

Per un superbo filetto si inforna la carne dopo averla spennellata con burro e si scotta, si finisce la cottura sulla griglia e subito si taglia in fettine dello spessore di circa un centimetro. Prima di servire si passa in una salsa ottenuta dall’emulsione di olio, sale, aceto balsamico, unita al tartufo lavorato al mortaio.

 

A caccia di tartufi

La ricerca del tartufo è una vera e propria arte che non può essere improvvisata, ma è frutto di un lungo lavoro di affiatamento e affinamento di linguaggio e segnali fra cane e padrone. E’ difficile, infatti, uscire alla ricerca con un cane che non si conosce e che non ci conosce, perché andar per tartufi è un lavoro di coppia.

Chi conosce un amico che pratica quest’arte può chiedere di essere portato come accompagnatore al seguito e così scoprirà che, spesso, si tratta di affacciarsi su un mondo nuovo fatto di boschi di mattino prestissimo ancora carichi della rugiada notturna, più silenzi che dialoghi, fatica, e luoghi segreti che ogni cercatore non ama condividere con gli altri.

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