Mora di rovo (Rubus fruticosus)
Anche alla mora di rovo è toccata la stessa sorte di tante altre piante spontanee mangerecce: un tempo ricercata e oggi del tutto negletta. Nemmeno il ritorno dei piccoli frutti ha saputo trascinarla a nuovi fasti, come invece è accaduto per il lampone. Ci siamo ricordati nuovamente della sua esistenza solo quando sulla coppa di gelato, insieme agli altri frutti di bosco, l’abbiamo rivista nel suo splendido colore blu così intenso da essere nero.
Tra le spine, un frutto blu
La mora è il frutto del rovo, ma la dolcezza e lo splendido sapore contrastano non poco con la valenza negativa, infestante e fastidiosa che attribuiamo, per coltura e tradizione, al rovo. Preferiamo coltivare il lampone, l’uva spina, il ribes, ma solitamente non la mora, pardon, il rovo. Preferiamo le nuove varietà a frutti grossi e senza spine e lasciamo agli incolti, alle vecchie siepi soffocate, alle carreggiate di campagna il compito di dar spazio al rovo; così solo quando il sole le ha maturate cambiandone il colore da verdi a rosse e da rosse a blu fino ad essere nere ci ricordiamo dell’esistenza delle more. Prestiamo così poca attenzione alla pianta che in pochi, anche sforzandosi, saranno in grado di richiamare un’immagine mentale chiara del fiore del rovo.
Parafrasando un detto popolare si può ben affermare che abbiamo gettato il rovo alle spine.
Foglie, fiori, spine, frutti
Reperibile ovunque, dalla pianura fino a ben oltre i 1.000 metri di altitudine, il rovo tende ad occupare tutti gli spazi incolti e la sua presenza infestante è segno evidente del degrado e dell’incuria del terreno.
È pianta perenne dotata di fusti legnosi alla base, protetta da aculei dritti o ricurvi. I rami dell’anno si distinguono per il portamento eretto: a primavera assumono un aspetto succoso e vitale. I rami dell’anno precedente sono invece ricurvi ed è su questi che compariranno fiori e frutti. I rami fruttiferi sono destinati a seccarsi nell’anno successivo.
Le foglie sono composte da cinque foglioline a margine dentellato. Nella pagina inferiore troviamo una sottile peluria che conferisce il colore bianco-argenteo e piccole spine lungo il picciolo e le nervature. In autunno, prima di cadere, si tingono di splendidi colori.
I fiori, generalmente bianchi, con cinque petali sono portati all’apice dei rami e spesso sono riuniti in strutture piramidali.
Le more sono in realtà delle infruttescenze che raccolgono le numerose piccole drupeole su un ricettacolo.
Un frutto facile da conservare
Conservare le more è facile perché il frutto si presta in modo ottimale a molte preparazioni.
La prima e più semplice è quella della surgelazione che consente di poter disporre di frutti sempre pronti, come se fossero freschi, per una guarnizione rapida o per impreziosire una macedonia o una coppa di gelato. In questo caso scegliamo frutta matura, ma non troppo, e poniamola nel freezer in piccoli contenitori già dosati per il probabile impiego. Sarebbe opportuno scegliere non i frutti più grossi, quelli terminali dei grappoli per intenderci, perché scongelando perdono la forma, si presentano in modo non perfetto, e anche perché sono i meno zuccherini. Scegliamo le more piccole, ma più saporite, che alla base del grappolo maturano per prime.
Possiamo facilmente sciropparle a freddo disponendo in un vaso pulito e asciutto le more sino all’orlo, ma senza comprimerle, e poi aggiungiamo zucchero nella quantità che riteniamo opportuna. Poniamo i vasi al sole e aspettiamo che lo zucchero si trasformi, quando si sarà liquefatto in buona parte, capovolgiamo i vasi almeno una volta il giorno fino a quando tutto lo zucchero si sarà sciolto.
Una semplice variante prevede di riempire il vaso di more per quattro quinti e poi di ricoprirlo del liquore scelto a piacere fra grappa, rhum o brandy; solo a questo punto aggiungiamo lo zucchero in ragione di una volta e mezzo il peso del liquore. Anche in questo caso, occorre capovolgere il vaso, ma meno frequentemente. Tempo d’attesa richiesto tre mesi almeno.
Gelatina, marmellata o un misto di frutta
Per la gelatina, le more, sono un frutto a dir poco ideale, per l’ottima resa, la facilità di lavorazione, il gusto ed il profumo. Eliminiamo completamente il problema dei “semini” che ai bambini non sono mai graditi: mettiamo in una casseruola la frutta che intendiamo trasformare e pochissima acqua, attendiamo il tempo necessario affinché tutta la frutta si rammollisca e butti il succo, passiamo al setaccio oppure poniamo il tutto in un canovaccio e lasciamo scolare il succo prima di comprimere la massa per esaurirla. Rimettiamo il succo sul fuoco e aggiungiamo zucchero in ragione di 400 grammi per chilogrammo di liquido. Facciamo bollire, ma non troppo forte, fino al raggiungimento della consistenza richiesta.
Per la marmellata scegliamo, invece, di non eliminare i semi e proponiamo un prodotto più rustico e di antico sapore che bene si accorderà per merende col pane o crostate da serate davanti al camino con una bottiglia di vino nuovo ed una padella di caldarroste.
E per stupire uniamo in parti uguali sambuco e more, aggiungiamo otto etti di zucchero ogni chilo di frutta fresca e passiamo al setaccio; mescolare i frutti di bosco solitamente migliora il risultato finale, e pochi indovineranno la composizione della nostra marmellata soprattutto se non saremo così ordinati da scriverlo sull’etichetta del vaso.