






Arnica, Arnica montana
Una pianta di montagna, una pianta povera
L’arnica cresce in montagna nei prati e nei pascoli, ravviva con il suo splendido colore il verde intenso delle montagne a partire dagli ottocento metri d’altitudine fino ad oltre i duemila, da giugno fino ad agosto secondo l’altitudine, dell’esposizione e dell’andamento stagionale.
Non ha grosse esigenze e si adatta con facilità ai terreni poveri dei prati-pascoli di montagna prediligendo i suoli calcarei e, se non fosse per il disco dorato delle sue corolle, non ci accorgeremmo della sua presenza.
L’arnica, infatti, è una pianta povera, di nessuna utilità pratica, di nessun pregio alimentare, di sapore così sgradevole che persino gli animali lasciati al pascolo la ignorano assicurandole in tal modo un’ottima probabilità di sopravvivenza.
Come tutte le piante impiegate un tempo è una pianta povera anche nel suo uso specifico, come tabacco da pipa, perché ora è completamente negletta, sostituita dal più rigoglioso e più addomesticato tabacco.
La luce che salva l’amico
Una leggenda narra che in un villaggio montano il maligno rendeva impossibile festeggiare la Pasqua secondo i più sacri dettami, perché sottraeva tutti gli agnelli nati nell’anno prima della festa. I pastori erano terrorizzati, ma due giovani amici vollero per una volta sfidare il demonio vegliando giorno e notte sul gregge. Dopo essere stati beffati a più riprese i due si risolsero a tentare l’impossibile: attaccare loro stessi il nemico. Armatisi di forche lo attesero, ma non riuscirono nell’intento di sconfiggere un così navigato avversario, anzi, il diavolo, irato da tanto ardire, rapì agli inferi uno dei due affermando che lo avrebbe liberato solo quando l’altro sarebbe stato in grado di portare la luce nel regno oscuro.
Dopo essersi disperato, l’unico guardiano rimasto chiese protezione agli angeli e da questi ebbe un segreto consiglio. Il giovane nascose nelle sue tasche i semi dell’arnica raccolti sul pascolo, bagnati con l’acqua del fonte battesimale e attese di nuovo la notte. Attaccò ancora il maligno così da indurlo a rapire pure lui verso la terra degli inferi. Una volta ricongiuntosi all’amico il giovane pastore sparse intorno a sé i semi dell’arnica che subito germogliarono anche in quel terreno povero e sassoso; la loro crescita, tanto erano amari, non interessò le creature della tenebra e quando le loro splendide corolle si aprirono all’improvviso, fu come se tante piccole luci come quelle delle stelle avessero osato sfidare la notte.
Pur tuonando come nei migliori temporali che si ricordino il maligno dovette dichiararsi sconfitto e rilasciò i due amici sul pascolo insieme con una miriade di agnelli non più bianchi, ma neri come la pece.
La china dei poveri
Il termine greco “ptarmike” sembra essere la radice del nome arnica derivato per alterazione. “Ptarmike” significa starnutire e questo richiamerebbe già dall’antichità più remota l’impiego dell’arnica come pianta da tabacco.
La grande fortuna dell’arnica come pianta medicamentosa arriva nel XXI° secolo e fra le voci più importanti ricordiamo Antonio Campana nella sua “Farmacopea ferrarese” del 1821 e nel 1854 il farmacologo francese A. Bouchardat.
Dato il suo impiego nelle febbri intermittenti e adinamiche era chiamato anche “china dei poveri”, perché la china vera e propria raggiungeva allora sul mercato erboristico quotazioni non a tutti accessibili.
Arnica velenosa
Se intendiamo raccogliere l’arnica per impiegarla a livello di piacevole e riuscita curiosità come tabacco ricordiamoci di non estendere in alcun modo il suo uso. L’uso dell’arnica come pianta medicamentosa deve essere prescritto e seguito da un medico. Fra le sue proprietà che possono essere sfruttate utilizzando dei dosaggi da calibrare sui singoli casi, e dunque da mano esperta e competente, ricordiamo quella che più ha contribuito a renderla famosa tanto da valerle l’appellativo di “panacea per le cadute”. L’arnica in applicazioni esterne aiuta i tessuti a riformarsi, ad eliminare i versamenti di liquidi, a riassorbire gli ematomi. Ingerita può essere tossica anche a bassi dosaggi.
Riconoscerla è facile
L’arnica è pianta erbacea perenne caratterizzata da un rizoma cilindrico di colore nocciola chiaro e dallo scapo villoso a portamento eretto che raggiunge i 50 centimetri e, nelle praterie miste molto rigogliose, li supera con facilità rimanendo di dimensioni più contenute nei prati in quota.
Le foglie sono sessili con nervatura evidente di forma bislunga ed ellittica, più larghe nella rosetta basale su cui si innesta lo scapo e più lanceolate verso l’alto. Le foglie sullo scapo si presentano opposte. La consistenza è coriacea.
Il fiore è una classica infiorescenza a capolino che richiama nella struttura la conosciutissima margherita: fiori ligulati a formare una corolla periferica e fiori tubulosi centrali. Entrambe di colore giallo oro, ma sono possibili viraggi verso l’aranciato. Il diametro dei grandi capolini solitari raggiunge i 5-6 centimetri, ma non è raro incontrare esemplari di ben 8 cm. di diametro.
L’involucro del fiore è villoso.
Il fiore si trasforma in un pappo che ricorda quello del dente di leone, ma assai più grande e di colore più scuro, mai bianco, ma tendente, per le trasparenze degli spazi vuoti, all’écru. Il frutto vero e proprio è un achenio dotato di una struttura “volante” che facilita la dispersione.
Il suo areale di diffusione è vastissimo, interessando l’Europa centrale e meridionale, il Nord America e l’Asia centrale.