



Varietà antica dimenticata dal mercato moderno per la piccola pezzatura, da riscoprire invece per la sua dolcezza nei piccoli orti famigliari
La testimonianza più antica del melone è una pittura murale egizia. Si trovano tracce anche in scritti cinesi a partire dal 2000 A.C. e in documenti greci e romani a partire dal I secolo a.C., anche se è probabile che i meloni dolci non fossero noti in epoca romana, ma importati successivamente dalla Persia e dal Caucaso.
Il trattato di Pier de’ Crescenzi, dei primi anni del ‘300, mostra una buona conoscenza della coltivazione dei “poponi” o “melonibus”: “dè quali alcuni sono grossi e mangiasi maturi, cioè quando cominciano a diventare odoriferi e gialli …”.
Nei secoli passati il melone non era considerato un alimento interessante dal punto di vista nutrizionale. Scrive Leveroni nel 1590 che “… Diremo dunque, che appresso il mangiare de Melloni conviene più tosto il vino, che l’acqua …. Il vino ammenda e corregge la malattia del Mellone … il quale fa enfiare il ventre causando in esso ventosità e dolori …”. Il brano sintetizza l’opinione che avevano i medici nutrizionisti dell’antichità sul melone e che in parte è arrivato fino ai giorni nostri. Di fatto questo frutto è sempre stato considerato un alimento “pesante” da digerire sebbene abbia importanti proprietà nutrizionali: è ipocalorico (33 kcal/100g), è ricco di acido ascorbico, carotenoidi, polifenoli, sali minerali, ferro, calcio, fosforo, potassio, magnesio, vitamina C, A – che fa bene alla pelle – e B che ha positivi effetti sul sistema nervoso, migliora la vista e rinforza le ossa. Nonostante questa poca considerazione nutrizionale aveva un suo ruolo nell’economia contadina. Come per il maiale, del melone non si buttava via nulla, infatti in un trattato del 1644 si indicava sia l’uso fresco che essiccato, con il prosciutto, nelle minestre, che delle bucce candite, essiccate o conservate nel miele per l’inverno.
Frutto ipocalorico ricco di vitamine e sali minerali
“Mlòn Raparén” così chiamato nel dialetto locale
Nel diciannovesimo secolo i meloni vengono classificati in frutti a scorza retata, a scorza liscia e a scorza bernoccoluta o zatta (tipico è il melone rospo). In questa catalogazione – utilizzata anche attualmente – Ciro Pollini nel 1856 distingue il melone Ramparino di Reggio Emilia, retato con la polpa verdolina, dal Rampichino romagnolo con scorza liscia e polpa arancione. Quest’ultimo melone compare in altri trattati identificandolo come pianta che tendeva ad attaccarsi con viticci e con polpa piuttosto zuccherina.
La riscoperta del Rampichino romagnolo
Questo antico melone (chiamato localmente mlòn raparén) era molto coltivato in Romagna, ma purtroppo è praticamente scomparso dalle campagne, in quanto non rispecchia i parametri del mercato moderno, in particolare hanno influito negativamente la piccola pezzatura del frutto e la raccolta in prossimità della maturazione, con scarsa conservabilità, rendendolo inidoneo per le attuali filiere lunghe. Si è conservato fino a oggi grazie a pochi semi superstiti detenuti dalle famiglie Graziani di Bagnacavallo e Marangoni di Santerno, imparentate fra loro, che hanno continuato a coltivarlo. Poi il prof. Bruno Marangoni ha ceduto una piccola quantità di sementi all’Azienda Agraria Sperimentale “M. Marani” di Ravenna che ha cercato di recuperare questa antica varietà locale. Dopo una prima fase moltiplicazione tra il 2012 e il 2014, in collaborazione con l’Agronomo ed Enologo Marisa Fontana di Ravenna e i tecnici di ASTRA (Agenzia per la Sperimentazione Tecnologia e la Ricerca Agroambientale) di Tebano di Faenza, è stata condotta una sperimentazione volta a verificare le attitudini colturali della varietà, le tecniche di coltivazione più appropriate e le qualità organolettiche di cui si era persa memoria.
Caratteristiche
Il melone Rampichino di Bagnacavallo è di piccola pezzatura (300/500 g), ha una certa sensibilità all’oidio, e dopo la raccolta si conserva per pochi giorni. Come già sottolineato queste caratteristiche ne hanno limitato la coltivazione, ma questo non impedisce che tale varietà sia ideale per gli orti familiari, gli agriturismi e per i mercatini a chilometro zero per le sue ottime caratteristiche organolettiche. Dai panel test effettuati, infatti, risulta che il Rampichino, rispetto anche alla varietà commerciale Tamaris apprezzata per la sua dolcezza, ha gusto e dolcezza superiori, tanto che l’Azienda Marani, in collaborazione con Chef Service, ha prodotto una confettura di melone rampichino per valorizzarne il colore e il profumo.
La buccia è piuttosto sottile. La polpa è di un bel colore arancione, profumata, di media consistenza, abbastanza succosa e di buon contenuto zuccherino.
Il Ramparino di Reggio Emilia è retato con la polpa verdolina, il Rampichino romagnolo ha scorza liscia e polpa arancione
Ideale per l’orto famigliare è speciale per la sua docezza
Coltivazione
Trapianto. Per quanto riguarda le caratteristiche agronomiche, va ricordato che il melone Rampichino di Bagnacavallo deve essere trapiantato tra fine aprile e maggio per avere i primi frutti a metà luglio circa.
Distanze tra le piante. La distanza tra le piante è inferiore a quella normalmente adottata per tipologie di melone strisciante: considerato che le piantine vanno “infrascate” (fatte sviluppare in altezza usando le frasche derivate dalla potatura di alberi o le canne o le reti) si possono tenere ad una distanza di 30-40 cm l’una dall’altra.
Raccolta. Per raggiungere la migliore espressione sensoriale deve essere raccolto a maturazione completa e l’epoca ideale di raccolta è indicata dal frutto stesso che vira verso una leggera colorazione gialla e si stacca appena lo si tocca. Questo melone ha una raccolta a scalare e se le piante sono ben curate, con le foglie sane ed efficienti, si possono gustare ottimi meloncini maturi fino a settembre-ottobre, clima permettendo.
Profumo e sapore. Dopo lo stacco occorre aspettare qualche giorno per apprezzare al meglio le qualità organolettiche del melone rampichino. Annusandolo si avverte un incremento del profumo in 2-3 giorni, ma occorre stare attenti a non aspettare troppo tempo, poiché questo melone non si conserva a lungo nemmeno in frigorifero (al massimo 15-20 gg).
Ulteriori informazioni sul melone Rampichino di Bagnacavallo sono reperibili sul volumetto “Prodotti spontanei, coltivati e selvatici di pregio del Delta ravennate”, curato da Marisa Fontana e Lamberto Dal Re, edito dalla Azienda Sperimentale Marani.
Raccolto a maturazione completa si consuma dopo qualche giorno quando le sue qualità organolettiche sono al massimo
LO FIEGO ANTONIO
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Foto di Marisa Fontana