












Il carciofo (Cynara cardunculus var. scolymus.) è una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae, molto simile al cardo, da cui si differenzia nelle caratteristiche eduli perché se ne consumano i fiori in boccio, al posto delle coste.
L’apparato radicale è fittonante, robusto e profondo e si spinge sino ad un metro di profondità.
Il fusto, alto da 50 a 150 cm circa, è robusto e striato in senso longitudinale; in fioritura si ramifica, portando le infiorescenze in posizione terminale. Nel tempo forma un rizoma da cui si originano poi germogli secondari, i carducci, utilizzati per la riproduzione.
Le foglie sono alterne, di grandi dimensioni, di colore verde più o meno intenso, talvolta grigiastre nella pagina superiore, più chiare e con presenza di peluria in quella inferiore; la presenza di spine è una caratteristica varietale.
I fiori azzurri, ermafroditi, sono riuniti in una infiorescenza a capolino, detta anche calatide. Il capolino comprende una parte basale (ricettacolo carnoso), sul quale sono inseriti i fiori ermafroditi detti “flosculi”, inframmezzati a numerose setole bianche e traslucide che costituiscono il “pappo”. Sul ricettacolo si inseriscono le brattee che si dispongono una sull’altra, più tenere e carnose nella parte interna, più consistenti e fibrose quelle esterne. Il ricettacolo carnoso e le brattee interne costituiscono la porzione edule del carciofo, comunemente detto “cuore”. La fecondazione avviene per opera degli insetti.
Il frutto, un achenio allungato di sezione quadrangolare e colore bruno-grigiastro, screziato, è unito al calice trasformato in pappo, per favorire la disseminazione. Il peso di mille acheni può oscillare tra 30 e 70 grammi.
Esigenze ambientali
Il carciofo richiede un clima mite e sufficientemente umido, per cui nell’area mediterranea viene coltivato con un ciclo autunno-primaverile, mentre nelle zone più fredde si prediligono i cicli produttivi primaverili. Resiste abbastanza bene fino a temperature di 0°C, ma temperature inferiori possono provocare danni più o meno gravi alle infiorescenze ed alle foglie; a temperature inferiori a -10°C possono essere compromesse anche le gemme del fusto rizomatoso.
Il carciofo risente anche alla temperatura molto elevata, per cui la fase del riposo vegetativo capita tra la fine della primavera e l’estate.
Ha elevate esigenze idriche, in parte soddisfatte dalla piovosità dell’epoca di coltivazione.
Predilige terreni profondi e freschi, di medio impasto e di buona struttura, a reazione intorno alla neutralità, pur adattandosi a terreni di diverse caratteristiche.
Le varietà coltivate
Possono essere classificate:
→ in base alla presenza o meno di spine, in varietà spinose e varietà inermi
→ in base al colore del capolino, in violette e verdi
→ in base alle caratteristiche del ciclo fenologico, in autunnali, detti anche rifiorenti, e primaverili. Le autunnali sono caratterizzate da capolini medio piccoli che, specie nella seconda produzione primaverile, sono destinate alla conservazione. Le varietà primaverili si dividono in due grandi famiglie: i “Romaneschi” e i “Toscani“.
Tra le varietà più famose si ricorda lo ‘Spinoso Sardo’, lo ‘Spinoso di Abenga’, il ‘Violetto di Catania’, il ‘Verde di Palermo’, la ‘Mammola Verde’, il ‘Romanesco’, il ‘Paestum’, il ‘Violetto di Toscana’, il ‘Precoce di Chioggia’, il ‘Violetto di Provenza’, il ‘Violetto di Niscemi’ e il ‘Violetto di S.Luca’.
Tecniche colturali
Avvicendamento e consociazione
L’impianto della carciofaia può durare fino a 12 anni e va quindi curato nei minimi particolari. Non deve seguire né precedere altre composite, quali lattughe, radicchi, cicorie e, ovviamente, il cardo. Date le dimensioni (fino a 1,5 m) e il portamento della pianta, la consociazione risulta problematica, ma si potrebbe avvantaggiare dalla vicinanza di piante ad effetto repellente verso i topi e le arvicole come la Euphorbia lathyris e la Fritillaria sp.
Preparazione del terreno e concimazione
Deve essere molto accurata e prevedere una lavorazione profonda con interramento di letame o sostanza organica ben compostata in ragione di 4-6 kg/mq. In fase di preparazione autunnale può essere utile anche la distribuzione di panello di ricino (200-300g/mq) o di calciocianamide (40-50g/mq) che hanno una lenta cessione degli elementi nutritivi (specialmente azoto) ma anche un’azione repellente nei confronti dei topi. Fosforo e potassio possono essere distribuiti in ragione di 25-30 grammi di perfosfato minerale e 30 grammi di solfato di potassio per metro quadrato.
Successivamente il terreno va affinato e preparato per l’impianto che, solitamente avviene nel periodo autunnale.
La coltivazione del cardo ed il calendario biodinamico
Effettuare i trapianti in luna discendente (tempo di piantagione), scegliendo sempre i giorni di fiori. Distribuire il preparato 500 alla sera, prima della lavorazione principale e delle eventuali sarchiature, in giorni di terra o acqua ed il preparato 501 prima della risalita del capolino, effettuando due o tre trattamenti al mattino presto, con giornate soleggiate, in giorni di aria o fuoco, per migliorarne le caratteristiche organolettiche e la resistenza alle malattie.
Impianto
L’impianto della carciofaia avviene generalmente per via vegetativa attraverso l’utilizzo di ovuli o di carducci.
: Gli ovoli sono porzioni di rizoma ingrossate provviste di una o più gemme. Per attuare la propagazione per ovoli si asportano i rizomi dalle vecchie carciofaie all’inizio dell’estate.
Da questi vengono separati gli ovoli, messi a pregermogliare per uno o due giorni e poi piantati in un periodo che va dalla seconda metà di giugno fino agli inizi di agosto.
I carducci sono i polloni basali emessi dal rizoma delle piante di oltre un anno d’età nelle prime fasi vegetative.
I polloni asportati possono essere piantati in autunno per preparare una carciofaia poliennale che darà la prima produzione al secondo anno d’impianto.
Le colture ottenute da ovoli iniziano il loro ciclo in piena estate e producono capolini già nell’autunno successivo o nella primavera successiva. Questa tecnica di propagazione è dunque utilizzata per le varietà autunnali o rifiorenti in coltura forzata e richiedono un’irrigazione precoce e costante nel periodo estivo.
Le colture ottenute da carducci, invece, iniziano il loro ciclo in autunno inoltrato ed entreranno in piena produzione dal secondo anno. Questa tecnica si adotta quindi per le varietà primaverili in coltura non forzata.
Sesto di impianto
Il sesto d’impianto della carciofaia è di cm 100 x 100 o cm 120 x 120, in modo da ottenere un numero di piante all’ettaro intorno a 7-10 mila (pari a 7-10 ogni per 10 mq). Oggi si tende ad allargare la distanza tra le file (170-200 cm) e a diminuirla sulla fila (60-80 cm).
Irrigazione
Indispensabile nel primo anno, se si usano gli ovoli nell’impianto estivo, normalmente, in produzione, si attua solo in come pratica di soccorso, in quanto le elevate esigenze idriche che si hanno nella formazione dei capolini, primavera e autunno, coincidono con periodi sufficientemente piovosi.
Controllo delle infestanti.
E’ molto importante proprio in relazione alla lunghezza del ciclo di coltivazione della carciofaia. Va eseguito più volte all’anno con sarchiature e diserbi manuali.
La scarducciatura, cioè lo sfoltimento della coltura con l’eliminazione dei polloni basali è molto importante per garantire la nutrizione della pianta principale e una buona pezzatura dei capolini. A seconda delle varietà vengono lasciati 3 o 4 carducci per pianta.
Raccolta
Viene effettuata scalarmente a seconda delle varietà dall’autunno alla primavera, con una stasi invernale, da un minimo di 3-4 volte ad un massimo di 15-20, con un coltello ben affilato a circa 10 cm dal calice. Il numero dei capolini per pianta oscilla da 4-5 a 14-15.
Avversità
Quella più dannosa è costituita dall’arvicola che si nutre della parte centrale del fusto e può limitare fortemente la durata della carciofaia. E’ pertanto consigliabile l’impiego di apparecchiature ad ultrasuoni che si inseriscono nel terreno, eventualmente accoppiato all’uso di concimi (panello di ricino, calciocianamide) o la consociazione con piante ad azione repellente. Da queste ultime è possibile estrarre i principi attivi repellenti tramite macerati e irrorare direttamente il terreno.