Sedum

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I botanici professionisti e accademici sono tra le persone più affabili del mondo (nella redazione di Giardini ne abbiamo due, Carlo Del Prete e Patrizio Giulini, con i quali si potrebbero trascorrere giornate intere chiacchierando di piante e di molto altro), ma hanno un difetto: non si mettono mai d’accordo fra loro quando si tratta di stabilire il numero di specie comprese in un determinato genere. Un esempio lampante di quest’affermazione è dato da Sedum, un genere di piante grasse appartenente alla famiglia delle Crassulaceae, che in materia di versatilità sul piano decorativo teme pochi confronti. Dopo anni di analisi, ricerche, discussioni e confronti, ancora non sappiamo se attribuirgli 300 oppure 600 specie, che è una differenza non da poco. Addirittura, alcuni gruppi di piante che da anni facevano parte di Sedum sono state rimosse dalla loro tradizionale sistemazione, per entrare in generi creati appositamente per loro, anche se poi, naturalmente, non tutti si dichiarano favorevoli alla decisione. Valga per tutti l’esempio di Rhodiola, che prima era una sezione di Sedum e ora (ma non per tutti gli esperti) si è resa indipendente, annoverando ben 50 specie. In questi casi, il comune appassionato di essenze da giardino fa spallucce e resta in attesa, ma nel frattempo vorrebbe sapere qualcosa di più su uno dei più ricchi gruppi di piante succulente: bello, variato e facile da coltivare. Soprattutto, egli chiede maggiori informazioni circa gli usi, ma anche su come evitare gli eventuali insuccessi cui si rischia di andare incontro. E’ ciò che intendiamo proporre questa volta, guardandoci bene dal trascinare il lettore in un ginepraio di problemi scientifici, la cui soluzione siamo ben felici di rimettere agli amici Del Prete e Giulini.

Un genere nordista

L’emisfero settentrionale del nostro pianeta è la grande patria dei Sedum, i quali non sembrano gradire le terre meridionali, arrivando in pochi casi appena al di sotto dell’Equatore, ma solo sui versanti delle montagne. Gli habitat sono piuttosto diversificati: dai muri secchi ai cespuglieti e dai pendii sassosi, rocciosi e aridi alle boscaglie, anche se in coltivazione essi riescono a adattarsi a condizioni anche molto lontane da quelle originarie. Alcune specie sono annuali, molte altre sono erbacee perenni, altre ancora sono suffruticose, poiché la base del loro fusto tende a lignificarsi. Il portamento dei S. può essere eretto oppure ricadente, ma talvolta le piante si addensano in ciuffi o strisciano sul suolo. Trattandosi di piante succulente che vivono di frequente in ambienti asciutti o aridi, le foglie fungono da “serbatoi” d’acqua, quindi con tessuti aventi la funzione di accumulare riserve idriche per le piante stesse, e si dispongono lungo il fusto in modo alterno e opposto. Di forma molto variabile, spesso sono carnose e piane, a sezione tonda o quasi cilindriche, con margini interi o dentati. Le infiorescenze sono terminali, a cima composta ma anche a pannocchia o a racemo. I fiori hanno una forma regolare, spesso a stella con cinque punte (talvolta anche da tre a sette), usualmente di colore bianco o giallo, più di rado rosso o violetto e solo eccezionalmente azzurro.

Specie annuali e biennali

Quando ci si imbatte in un genere tanto vasto (anche se si trattasse di “sole” 300 specie, cui vanno aggiunti gl’ibridi naturali e le varietà coltivate, rischiamo comunque di smarrirci) il modo migliore per continuare a mantenere chiare le idee è quello di creare categorie sempre meno ampie. I botanici ne hanno fissate una dozzina, mentre a livello pratico si è soliti ricorrere a una suddivisione in tre parti che è sì empirica, ma ha il pregio della semplicità: un primo gruppo comprende specie annuali e biennali, il secondo le perenni a foglie cilindriche, il terzo altre perenni, ma con foglie piatte o compresse. Questa soluzione, ovviamente, può essere accettata solo da chi, non badando alle sottigliezze scientifiche, suppone di ignorare che dal vasto genere Sedum siano stati estrapolati altri nuovi generi. Le piante annuali e biennali – che nascono, fioriscono e muoiono nel volgere appunto di uno o due anni – sono numericamente piuttosto scarse, almeno quelle che poi vengono utilizzate in funzione ornamentale. Le specie più diffuse sono due: S. hispanicum e S. pilosum. La prima è una pianta dalla vita multiforme, perché si comporta, indifferentemente, da annuale, da biennale e anche da perenne. A dispetto del suo nome scientifico, questo S. alto 8-15 cm non vive affatto in Spagna, ma in un areale che va dalla Svizzera fino all’Iran (compresa quasi tutta l’Italia), spesso in esemplari isolati, ma talvolta anche in cuscini alti pochi cm; le foglie sono dense, strettamente ellittiche o affusolate alle estremità, di colore glauco-grigio e un po’ rosato, che nella varietà minus assumono toni più pallidi; le infiorescenze sono piatte e tripartite, portando fiori a sei petali bianchi, con venature violette. La seconda specie, S. pilosum, è una pura biennale che vive sulle montagne di Turchia e Iran, fino a 1000 m d’altitudine, formando rosette un po’ simili a quelle di un’altra famosa pianta succulenta, il Sempervivum. Le foglie, lunghe un solo cm, sono numerose, irsute e carnose, mentre le infiorescenze del secondo anno portano fiori di 6 mm di un bel rosa intenso.

Sui muri di pietra, perenni a foglia cilindrica

E’ una categoria, questa, davvero affollata, che comprende alcune fra le specie più frequenti anche nel nostro territorio, se è lecito usare questa espressione con riferimento ad habitat insoliti ma molto comuni, come i muri di pietre e sassi che in più di un caso troviamo ancora all’interno della cinta urbana. La corifea di quest’ultimo gruppo è senz’altro S. dasyphyllum, dalle foglie cilindrico-globose, carnose e grassottelle (nella flora popolare viene chiamata “agnello grasso”) colorate di grigio-glauco o verde chiaro, con fiorellini bianchi a nervature rosee raccolti in piccole cime. Altrettanto diffusa è anche S. album, alta 10-30 cm, che è dotata di due tipi di rami: gli uni sono sterili, striscianti e radicanti, mentre gli altri, eretti, portano foglie a forma variabile, affusolata o un po’ appiattita, molto carnose e glabre, di colore verde screziato di rosso. Le infiorescenze cimose sono formate da fiori un po’ più grandi della specie precedente, ancor più stellati e sempre bianchi nella specie-tipo, ma colorati in alcune cultivar. Ancor più numerose, in questa categoria, sono poi le specie dai fiori gialli, che pure non disdegnano di vivere in ambienti difficili, come gli anfratti, le rocce e talvolta i muri. Una loro famosa rappresentante è S. acre, alta fra i 4 e gli 8 cm, che si presenta in formazioni a tappeto anche molto fitte; i suoi rami fioriferi sono eretti e portano foglie piuttosto corte e triangolari-ovoidali più che cilindriche, molto ricche d’acqua e dal sapore fortemente pepato, ma un po’ tossiche; i fiori, in piccoli corimbi, sono piccoli, ma abbondanti e di un giallo brillante. Non molto differente è anche S. sexangulare, che pure forma tappeti e che però ha foglie più sottili e affusolate, disposte a spirale lungo i fusti. Sulle montagne tra la Francia e la Svizzera, mai al di sotto dei 700 m, vive S. montanum, che ha foglie un po’ compresse, affusolate e spesso disposte in file spiralate; i fiori, dai petali molto acuti, sono di un bel giallo vivace. Ancor più comune in tutta l’Europa occidentale è S. forsterianum, una pianta alta fino a 30 cm, che rifugge dal terreno calcareo, con numerosi getti sterili che terminano in rosette di foglie lineari, dense e di colore verde; i fiori, in densi corimbi, hanno da 5 a 8 petali e sono larghi fino a 1 cm.

Allontanandoci completamente dai nostri confini continentali o eurasiatici, arriviamo in Cina, Giappone e Corea, dove vive una specie (o più probabilmente un ibrido, non si sa se naturale o d’antichissima coltivazione) molto attraente: si tratta di S. sarmentosum, il cui portamento sdraiato e con rami radicanti la rende appetibile per un largo impiego in giardino. Possiede numerose foglie, prive di picciolo, opposte o verticillate, lineari e un po’ appiattite, di colore verde chiaro; i fiori, dai petali lanceolati, sono grandi e raccolti in cime tripartite. Di tutte quelle sin qui citate, questa è la specie meno rustica, che d’inverno richiede una certa protezione nelle aree meno calde.

La categoria non si esaurisce qui, perché fino ad ora abbiamo elencato solo le specie più comunemente reperibili, ma la lista potrebbe allungarsi e di molto. Ad esempio, non vanno dimenticate: S. farinosum, che nasce nell’isola di Madeira ed è una bella pianta alpina dotata di foglioline bianco-glauche, piccole come grani di riso; S. hirsutum, con foglie ellittiche di 1 cm e fiorellini bianchi, molto sensibile agli inverni umidi; S. humifusum, che nel natio Messico forma tappeti compatti dell’altezza di un solo cm, grazie alle sue minutissime foglioline di 3 mm, in questo non molto dissimile da S. japonicum e S. senanense, entrambi giapponesi; altra tappezzante è S. oreganum, statunitense, che si distingue per i colori brillantissimi: giallo nei fiori e rosso-verde nelle foglie; S. x rubrotinctum, un ibrido naturale bellissimo per le sue foglie, carnose come piccoli canditi, rosse in estate, ma verdi in inverno o anche se troppo annaffiate; S. sediforme, dai fiori biancastri, appartenente allo stesso gruppo di S. montanum, ma con foglie superiormente un po’ concave e un portamento eretto.

Perenni, tappezzanti a foglia piatta

Le specie comprese in questa categoria sono facilmente distinguibili dalle precedenti in virtù delle foglie, che non sono più cilindriche e affusolate, ma compresse o piatte, anche se mantengono la medesima caratteristica di “carnosità” a causa della presenza di tessuti acquiferi. Molto spesso, tali foglie hanno una forma ellittica oppure obovata, mentre in altri casi essa è rotondeggiante o a spatola. Proprio per ricordare le loro forme, alcuni S. portano un nome specifico inequivocabile, come S. spathulifolium, che è dotato di piccole foglie arrotondate alle estremità, quindi “a spatola”, di un verde pallido che spesso si trasforma in glauco. La pianticella cresce in formazioni compatte, che creano impenetrabili montagnole gibbose lunghe fino a 30 cm e alte fino a 5 cm; l’infiorescenza cimosa è alta una decina di cm ed è composta da fiorellini gialli a cinque petali. La specie-tipo non viene usualmente coltivata, perché alcune sue sottospecie e varietà, come S. s. pruinosum, la superano per i colori più vivaci. Anche il nome di S. populifolum si riferisce alla forma della foglia, simile a quella del pioppo bianco (Populus alba): ovviamente le foglie di Sedum sono assai più piccole, ma curiosamente sono caratterizzate dai medesimi margini grossolanamente dentellati oltre che da un lungo picciolo. Molto belli sono i fiori, larghi un solo cm, ma numerosi, bianco-rosati e soprattutto profumati di biancospino: un vero regalo che ci arriva dalle montagne della Siberia centrale, dove la pianta vive fino a 4000 m di quota. D’origine parimenti orientale sono altre due specie, S. aizoon e S. ellacombianum, entrambe molto interessanti sotto il profilo decorativo. La prima – che nasce in Cina e Mongolia sui versanti erbosi delle montagne, ma anche sulle rocce ai margini dei fiumi – forma masse compatte alte fino a 60 cm, con foglie oblungo-lanceolate e fiori stellati di un bel giallo brillante. La seconda, giapponese, si presenta in tappeti lunghi una trentina di cm, con foglie obovate di un verde lucente, lunghe 3 cm, e fiori in gruppi appiattiti di colore giallo chiaro. Quasi identico sviluppo e portamento mantiene una delle specie più interessanti, l’asiatica S. kamtschaticum, dalle foglie lanceolate e dentate nella parte superiore e dai fiori riuniti in infiorescenze avvolte a ‘coda di scorpione’, di un bel giallo intenso che ben contrasta con il color bronzo dei calici. A questa pianta rassomiglia molto un’altra specie che vive nelle stesse zone dell’Asia nord-orientale, S. middendorfianum, che però ha foglie più piccole. Un’altra bellissima tappezzante è S. spurium, con foglioline cuneate e un po’ dentate, che formano un cuscino alto 5 cm e largo fino a 60.

Sempre fra le perenni a foglia piatta, vanno comprese quelle specie, di taglia bassa, che sono state tolte dal genere Sedum per entrare a far parte di Rhodiola. Una citazione particolare meritano senz’altro: S. roseum (o Rhodiola rosea), una pianta di montagna alta fino a 35 cm, con foglie della lunghezza di 2,5 cm, ovate od oblunghe, e fiori con 4 petali strettissimi e gialli; S. pachyclados, con rosette compatte e appiattite composte da foglie glauche di 2 cm, trilobate o dentate, assai decorative; S. heterodontum, con fusti alti sino a 30 cm, foglie ovate e fiori a coppa di color arancione-violetto.

L’ultima serie di Sedum a foglia appiattita è costituita da quelle specie che, per le loro dimensioni, maggiormente si adattano a decorare le bordure, soprattutto nei mesi tardo-estivi e autunnali: numerose fra loro sono state raggruppate nel nuovo genere Hylotelephium, anche se molti continuano a chiamarle Sedum. La distinzione fra specie e specie è difficile e a volte impalpabile, anche perché l’ibridazione è molto frequente sia in natura sia in sede di coltivazione. L’esempio migliore si ha con il ‘gruppo’ di S. telephium, che comprende anche S. maximum, S. fabaria e altri. Si tratta di piante alte tra i 20 e i 60 cm e che fioriscono tra agosto e settembre, con grandi infiorescenze a corimbo, colorate vivacemente di rosa. di porpora, di viola, di marrone; le foglie, completamente glabre, sono piatte e dentate, disposte in modo alterno sul fusto oppure anche in verticilli di tre. Ancor più scenografiche sono le fioriture di S. spectabile, una robusta specie cino-giapponese Su queste specie, i coltivatori hanno puntato molte delle loro carte per ottenere varietà multicolori e di grande effetto.

In giardino

L’incredibile abbondanza di specie consente di utilizzare queste piante in molti e diversi modi, in ciò facilitati anche dalle loro scarse esigenze di piante perlopiù rustiche o fortemente rustiche. Partendo dalla considerazione di base che vede i S. restare indifferenti di fronte a situazioni o periodi di ostinata siccità e, anzi, temere maggiormente l’eccessiva umidità, di conseguenza non sarà difficile trovare per loro un posto idoneo in giardino o in vaso per accontentarli in modo soddisfacente per tutti. In generale, dal punto di vista dell’impiego, è possibile suddividere i S. in tre categorie. La prima, formata da specie tappezzanti, è utilissima appunto per ricoprire muri o aree pietrose, formando cuscini, tappeti, gibbosità, così come avviene in natura. A tale proposito, vanno ricordati soprattutto: S. acre, S. album, S. kamtschaticum, S. middendorfianum, S. forsterianum, S. hispanicum, S. oreganum, S. sarmentosum, S. sediforme, S. sexangulare, S. spurium. La seconda serie comprende le specie di taglia nana, utili specialmente per essere coltivate in contenitori di varia natura, come vasi, mastelli, vasche in pietra e anche piccole aree del giardino. Oltre ad alcune delle specie già citate (come S. spurium), in questo caso vanno tenute in considerazione: S. dasyphyllum, S. pilosum, S. spathulifolium, S. x rubrotinctum.

Quasi tutte le specie sopra ricordate, di entrambe le categorie, sono perfette per guarnire il giardino roccioso, ma anche i muri secchi o di sassi o di ghiaia, oppure per decorare le aiuole rialzate. In ogni caso, esse prediligono i luoghi siccitosi e aridi, dove l’acqua fatica a trovare spazio. Un altro uso dei S., oggi forse un po’ fuori moda, è quello della mosaicoltura, per la formazione di tappeti multicolori, realizzati con disegni geometrici e un po’ rigidi. I loro migliori compagni sono i Sempervivum.

Il terzo gruppo, quello delle piante più alte e rigogliose, si presta ottimamente per la formazione di bordure erbacee miste, magari insieme con cultivar di Aster amellus e Aster dumosus, soprattutto per delimitare il confine fra gli spazi fioriti e il sentiero pedonale. In questo caso, non v’è dubbio che le specie migliori siano S. telephium (e simili) e in particolar modo S. spectabile, con tutto il suo meraviglioso corteggio di varietà coltivate.

Resta da dire alcune cose su due specie sin qui non considerate, ma di grande pregio. La prima è S. sieboldii, giapponese, che è provvista di numerosi fusti arcuati, lunghi fino a 20 cm, cosparsi di foglie quasi circolari, dal colore grigio-verde, e di fiori rosa-violacei; piuttosto delicata, è un’eccellente pianta d’appartamento se coltivata in contenitori appesi. La seconda, invece, è S. praealtum, che ha un portamento chiaramente arbustivo, arrivando a toccare gli 80-100 cm d’altezza, con diversi fusti ramosi, foglie lanceolate e molto carnose di 5-6 cm, fiori giallo brillante in pannocchie terminali. Questa specie, usata come esemplare isolato o in bordura arbustiva mista,  potrebbe costituire un’occasione per possedere una pianta veramente insolita.

Come coltivarli

I Sedum sono praticamente indifferenti alla natura del suolo, se si fa eccezione per S. anacampseros e Rhodiola rosea che gradiscono il terreno calcareo, mentre, al contrario, alcune specie minori nordamericane esigono un certo grado di acidità. La maggioranza di loro tollera temperature invernali fino a -15°C, tranne S. spurium che arriva solo a -5°C; una certa protezione va assicurata anche ad alcune specie messicane e americane, peraltro difficilmente reperibili sul mercato, nonché a S. sieboldii.

I S. vanno coltivati all’aperto in pieno sole, su terreno fertile, ma soprattutto perfettamente drenato, anche se S. telephium e consimili amano un terreno fresco. Le specie più delicate vanno coltivate in un miscuglio di terra grassa, ghiaia fine e terriccio di foglie, alla luce diretta e con buona ventilazione. Le specie perenni più grandi, così come le arbustive e suffruticose, vengono moltiplicate per talea di legno tenero, oppure per divisione effettuata alla fine della primavera. Le altre specie si moltiplicano con talee del fusto o con germogli. All’aperto, i S. possono subire attacchi da parte delle limacce e degli afidi. Le specie annuali si seminano direttamente nel luogo prescelto in primavera; anche le perenni, ma non le varietà, possono essere seminate.

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