Ellebori

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Gli ellebori, chiamati anche “rose di Natale”, avendo accumulato ben quattro secoli di coltivazione ornamentale, possono ragionevolmente competere con i fiori più rinomati, anche per il fatto di possedere un privilegio rispetto a molti altri rivali: l’epoca di fioritura, che essendo indubbiamente la più infelice di tutto l’anno è di conseguenza la meno prodiga di fiori. Essendo stato completamente abbandonato nella preparazione di farmaci – poiché eccessivamente tossico, nonostante l’efficacia terapeutica del glucoside elleboreina – il genere Helleborus ha sempre trovato un largo impiego nei giardini invernali o comunque là dove le temperature sono basse e l’esposizione al sole è particolarmente sfavorevole, come alla base di alberi e arbusti, dove può vivere anche per mezzo secolo.

In natura, le specie del genere Helleborus sono una quindicina, accompagnate da alcune sottospecie e varietà naturali, pressoché tutte caratterizzate da fiori penduli e a forma di coppa, con un diametro che può tranquillamente arrivare agli 8 cm: una dote, questa, che nessun altro fiore invernale riesce neppure lontanamente a sfiorare, almeno alle nostre latitudini. Inoltre, grazie soprattutto alle numerose varietà coltivate che l’uomo ha prodotto in anni di lavoro orticolo, la gamma cromatica si è notevolmente arricchita, così che dagli iniziali bianco, verde e violaceo, si è passati a tonalità intermedie di grande effetto: giallo, smeraldo, rosso, porpora, marrone e perfino un viola tanto scuro da ricordare molto da vicino il nero. Senza contare che, mescolandosi o sovrapponendosi a questi colori di base, diversi tipi di screziature sembrano talvolta voler “macchiare” le corolle, come se un bambino distratto o dispettoso si fosse divertito a lanciare spruzzi d’inchiostro su sepali e petali. Ma tutto ciò non basta, perché gli ellebori sono in grado di vantare, oltre ai fiori, il possesso di un apparato fogliare di tutto rispetto, con lamine talvolta ripetutamente suddivise e per di più sempreverdi, il che non guasta sicuramente nel contesto di un giardino d’inverno. In questo senso, specie quali H. argutifolius, H. lividus e H. foetidus si distinguono grazie alle loro foglie che, emergendo sul terreno nudo o ricoperto di neve, sembrano ricami o disegni appositamente studiati in funzione architettonica ed esornativa.

Non eterni, ma quasi

La loro appartenenza al vasto gruppo delle piante erbacee perenni è largamente giustificata: pochi altri generi sono longevi quanto gli ellebori, i quali riescono a vivere, una volta assestatisi nel loro ambiente, per decine d’anni. In parte ciò è forse dovuto alla robustezza dell’apparato radicale, formato da lunghi e ben strutturati rizomi orizzontali, che a loro volta danno vita a radici spesse e a un fitto reticolato di radichette. Parecchie specie possiedono solo foglie basali e fusti fioriferi nudi che presentano brattee sottostanti le infiorescenze e i singoli fiori: tali brattee possono essere intere, ma anche suddivise, così da rassomigliare molto a foglie di dimensioni ridotte. In alcuni casi, come in H. argutifolius e H. lividus, i fusti sono semi-legnosi e riescono a superare la stagione invernale, per essere poi sostituiti dopo la fioritura. Le foglie sono generalmente divise in cinque o più segmenti, variamente stretti e lunghi, dai margini di solito dentellati. Come sappiamo, alcune specie hanno foglie basali sempreverdi, talvolta addirittura accompagnate da fusti presenti anche in inverno. Le infiorescenze sono normalmente formate da cime ramificate, che portano pochi fiori (fino a 7, ma H. niger spesso ne ha uno solo), fatta eccezione per H. argutifolius e H. foetidus, che dispiegano pannocchie ricchissime di fiori. Questi ultimi hanno una forma a coppa oppure sono leggermente appiattiti, con portamento pendulo o quasi orizzontale. La corolla è regolare ed è formata da due ordini di segmenti a spirale: quelli esterni sono cinque sepali di colore verde, bianco o violetto, mentre quelli interni, corrispondenti ai veri petali, si sono in realtà trasformati in numerosi e piccoli nettari. Un aspetto che, da un certo punto di vista, attribuisce agli ellebori una certa superiorità rispetto a fiori invernali quali i crochi e i bucaneve, è che essi possono vantare una fioritura di lunghissima durata. Già i boccioli sono attraenti prima ancora che si aprano, ma in seguito le corolle dispiegano il loro fascino per intere settimane, arrivando anche a primavera inoltrata, grazie al fatto che i fiori ormai fecondati persistono sulle piante, portando lentamente a  maturazione i loro semi. In tal modo, gli ellebori, che abbiamo visto nascere all’inizio dell’inverno, riescono poi facilmente a convivere con fiori come le primule e le polmonarie, che invece fioriscono solo assai più tardi.

Il posto degli ellebori

L’area geografica del Vecchio Mondo che conosce la presenza di ellebori si estende grosso modo dalle isole Baleari (dove nasce H. lividus) alla Cina occidentale, ma i luoghi in cui si registra una concentrazione speciale sono la nostra Penisola e i Balcani, cui si aggiungono la Turchia e le zone caucasiche dell’ex Unione Sovietica. In natura, di norma, gli ellebori preferiscono vivere fra gli arbusti e nelle boscaglie di piante decidue, anche se alcuni di loro non disdegnano le praterie e soprattutto le aree rocciose (con sassi affioranti) alle quote più elevate. Il suolo più gradito è quello calcareo o con substrato di gesso, fatta eccezione per H. orientalis, che molto spesso nasce in ambienti favorevoli alla crescita di rododendri, quindi almeno un po’ acidi. Talune specie, inoltre, si sono ritagliate spazi particolari e a loro congeniali: pietraie, cedui, siepi, sottoboschi. In considerazione di tali origini, è facile comprendere come queste piante siano rustiche o molto rustiche, adattandosi a vivere quasi ovunque e offrendo la massima disponibilità a regolare i tempi di fioritura in relazione al sito in cui sono state inserite. Anche in rapporto all’esposizione esse non sono troppo esigenti, pur non amando il pieno sole: una situazione di mezz’ombra è per loro ideale, appunto come avviene in natura.

Gli ellebori con fusto

Dapprima è bene esaminare un gruppo di specie che sono conosciute come ‘ellebori caulescenti’, cioè dotate di una sorta di fusto semi-legnoso (che scompare dopo la fioritura, pur venendo sostituito dai nuovi getti) dal quale spuntano sia i fiori sia le foglie. Queste piante, anche se hanno fioriture tutt’altro che disprezzabili, anzi spesso abbondanti, solitamente vengono coltivate per le loro foglie particolarmente ornamentali. Alcune di loro si presentano con fogliame tanto ben strutturato da consigliarne l’utilizzo in tutte quelle situazioni in cui non sia possibile piantare arbusti: insomma, si tratta di erbacee perenni che possono svolgere alcune funzioni delle piante legnose. La prima è H. argutifolius, i cui fusti alti anche più di 150 cm  ben s’accordano, nel gioco delle tonalità, con le corolle verde cedro e gli stami color limone. La profusione di fiori, inoltre, viene posta in rilievo da una massa di foglie, piuttosto rigide e cuoiose, fortemente dentate ai margini. Poi vi è H. lividus, endemico nell’isola di Maiorca, che è interamente glabro come la specie precedente, ma è assai più piccolo, non arrivando a toccare il mezzo metro. Assai meno rustico, sfoggia foglie di colore grigio-verde, talvolta con venature d’argento, mentre sia i fiori sia la pagina inferiore del fogliame possono essere maculati di viola. Se poste l’una accanto all’altra, queste due specie si ibridano con facilità, dando vita a H. x sternii, le cui caratteristiche morfologiche sono estremamente variabili, proprio a causa delle differenze fra i due genitori, ma se i fiori sono lievemente rosati, allora il merito è di H. lividus. Una terza pianta, H. foetidus, ha subito le ingiuste conseguenze determinate da un nome specifico che le ha portato sfortuna: essa, infatti, non ha nulla di ‘fetido’, tranne un odore un po’ acre, ma non detestabile, che le foglie emanano quando sono stropicciate. Al contrario, questo elleboro meriterebbe ben altra sorte, perché i mazzi dei suoi fiori campanulati sono fra i migliori di tutto il genere: bellissimo poi il contrasto fra il verde orlato di marrone delle corolle e il verde scuro delle foglie dalle enormi dimensioni. Nella cultivar ‘Wester Flisk’, esse virano invece al grigio-glauco, mentre gli steli fiorali sono soffusi di rosso o rabarbaro. Altre cultivar, addirittura, sono delicatamente profumate!

Gli ellebori senza fusto

Una seconda categoria di ellebori, invece, viene chiamata ‘acaule’ perché le specie che la compongono presentano esclusivamente foglie basali, mentre i fusti fiorali ne sono del tutto privi: le piante, quindi, sembrano non avere un fusto vero e proprio. In questo gruppo giganteggia uno degli ellebori più importanti dal punto di vista orticolo, H. orientalis, che gioca carte migliori rispetto al non meno famoso H. niger: è maggiormente duttile in coltivazione e soprattutto è più fiorifero. In natura, la pianta è assai variabile: alta fino a 45 cm, ha foglie basali sempreverdi e coriacee, con 7-9 segmenti ellittici dai margini dentellati, e infiorescenze ramificate lunghe fino a 35 cm. I fiori, a corolla concava, guardano in giù o anche in fuori e raggiungono un diametro di 6-7 cm se spontanei, ma anche 10 se coltivati. Il colore non è stabile, viaggiando fra il bianco e il crema, oppure il crema variegato in violetto o rosa intenso, che nella sottospecie abchasicus si trasforma in un deciso rosso violaceo, mentre nella sottospecie guttatus ritorna bianco-crema, cosparso di macchioline purpuree. Il bello è che queste forme naturali si ibridano facilmente non solo fra loro, ma anche con altre specie, così che con il passare del tempo si è assistito al proliferare di ellebori diversissimi tra loro, ma tutti egualmente chiamati, per semplicità, “H. orientalis”.

Del gruppo “acaule” fanno parte altre specie, come H. torquatus ed H. cyclophyllus. La prima, alta fino a 40 cm in fioritura, ha foglie basali decidue in inverno, suddivise fino a 30 segmenti, e fiori penduli di 5 cm, esternamente violetto-purpurei e internamente verde-glauco, anche se nella sola ex Jugoslavia è possibile trovare forme diversissime per tonalità del violetto e del verde. La seconda, della stessa altezza, possiede invece fiori giallo-verdi piuttosto appiattiti o solo leggermente concavi. Entrambe le specie sono state coinvolte in ibridazioni con H. orientalis, cui hanno regalato le nuove gradazioni di colore dei loro fiori.

La specie più popolare, soprattutto nel nostro Paese, è la vera “rosa di Natale”, H. niger, che effettivamente fiorisce spesso in corrispondenza delle feste di fine d’anno. E’ una pianta splendida che può dare grandi soddisfazioni, con quei suoi fiori ciondolanti, ma talora anche un po’ rialzati, e di grandi dimensioni. In bocciolo essi sono addirittura opalescenti, ma in seguito diventano di un bianco puro che man mano può trascolorare nel rosa, soprattutto sulla parte inferiore dei sepali, creando sempre un bel contrasto con il nucleo centrale di stami color oro e con le sottostanti foglie verde scuro. Tuttavia, non in tutti i luoghi è di facilissima coltivazione, perché piuttosto esigente in fatto di suolo, che vuole notevolmente calcareo e molto ben drenato.

Altre specie di ellebori meritano in ogni caso di essere coltivate. Si pensi a: H. vesicarius, che in estate sparisce completamente, ma che prima della scomparsa si fa ammirare anche per i caratteristici frutti globosi e alti fino a 8 cm; H. dumetorum, uno dei più piccoli sia per altezza (30 cm) sia per diametro dei fiori (fino a 3.5 cm); H. odorus, in grado di sopravvivere tutto l’anno, anch’esso di taglia piccola, ma con foglie dai lunghissimi piccioli e fiori che guardano all’infuori; H. purpurascens, alto solo 20 cm, quindi adattissimo per giardini rocciosi; H. viridis, diffusissimo in Italia settentrionale, che mette in mostra grossi fiori concavi o un po’ appiattiti dal bellissimo colore verde; H. multifidus, una specie oltremodo variabile che si diversifica in numerose sottospecie, una delle quali, H. m. subsp. hercegovinus, ha foglie che si suddividono in 45-70 segmenti lanceolati e scomposti come i capelli della Medusa.

Ibridi e cultivar

Da alcune specie sono state ricavate varietà coltivate (cultivar) di sicuro effetto decorativo, ma i risultati migliori si sono ottenuti con i cosiddetti “Ibridi Orientalis”, per mezzo dei quali si è impresso un impulso decisivo per la diffusione di ellebori ornamentali nei giardini. Per arrivare a questi prodotti si è lavorato con impegno non solo sulla specie-tipo H. orientalis – della cui variabilità abbiamo già parlato – ma anche sulle sue sottospecie, abchasicus e guttatus. Il colore dei fiori del materiale presente in natura varia dal bianco puro al rosso-violaceo, con l’aggiunta di diversi tipi di screziature e macule, così che è stato sufficiente allargare questo potenziale naturale coinvolgendo altre specie per spostare gli orizzonti colturali praticamente all’infinito. In tale lavoro hanno giocato un ruolo importante piante come H. torquatus, H. purpurascens, H. cyclophyllus e H. multifidus. La gamma cromatica che ne è derivata si è in tal modo ampliata: dal bianco al crema, dal rosa pallido al cremisi al viola scuro, ciascuno dei quali può essere soffuso da ognuno degli altri colori, ai quali si può sovrapporre un bagaglio sconfinato di macchie e strisce multicolori.

Viceversa, la “rosa di Natale” (H. niger) non si è molto prestata a questo gioco, perché appare riluttante a farsi ibridare con il ‘grande fratello’ orientale, mentre appare più disponibile nei confronti di H. argutifolius e H. lividus, con i quali ha dato vita a prodotti interessanti anche se sterili.

La Rosa di Natale nell’antichità

L’elleboro “nero” (così chiamato a causa del colore scuro del rizoma) è sempre stata una pianta molto conosciuta a livello popolare fin dall’antichità, soprattutto grazie alle sviolinate che gli dedicarono tutti gli autori di argomenti botanici e medicinali. Il più convinto fu  Plinio il Vecchio, che nel corso di cinque capitoli della sua Storia Naturale riuscì a riepilogare tutto ciò che nell’antichità si sapeva di questa pianta. Punto di partenza era il mito del medico Melampo, esperto di erbe magiche e curative, che aveva guarito in breve tempo le tre figlie di Preto, re di Tirinto, impazzite e vaganti nei boschi dell’Argolide. La terapia imposta da Melampo fu una ciotola di latte munto da alcune capre che si erano cibate di ellebori, i quali da allora iniziarono a godere, più o meno meritatamente, della fama di farmaci indicati per le malattie mentali. Ma Plinio non si limita a citare questa sola virtù, perché, dopo aver operato un’incerta distinzione fra elleboro bianco (che è invece tutt’altra specie, Veratrum album) e nero (Helleborus niger), precisa che queste erbe, se cucinate con lenticchie o con rafani, curano nientemeno l’epilessia, le vertigini, il delirio, il tetano, la gotta, l’idropisia, la sciatica e un’infinità di altri mali. Infine, anche se si è in salute, secondo Plinio, vale la pena di seccarle, triturarle e aspirarne le polveri con le narici per starnutire a volontà: una sorta di cura preventiva per ogni malattia.

In giardino

Gli ellebori, soprattutto H. orientalis con i suoi ibridi e H. foetidus, sono piante ideali per colorare, con effetti da giardino naturale, le aree ombreggiate che si creano sotto gli alberi decidui e nelle macchie di arbusti. Utilizzando le specie ‘caulescenti’ dotate di foglie molto decorative, è addirittura possibile ottenere effetti architettonici sostitutivi degli arbusti stessi, là dove ciò si renda necessario. Le specie più piccole, infine, sono adatte per i giardini rocciosi. Molto importante è il gioco degli accompagnamenti, poiché non sempre gli ellebori riescono a ‘reggere’ la scena da soli. In genere si può suggerire di accoppiare le varietà rosa o viola di H. ‘Orientalis’ con Pulmonaria a fiori bianchi e Galanthus, mentre le varietà a fiori bianchi ben si accostano a Pulmonaria rosa o azzurra o sotto una gialla Forsythia. Bellissimo è H. foetidus associato ai            rami rossi di Cornus alba ‘Sibirica’. Eccellenti sono anche gli abbinamenti con Eranthis, Crocus, Corydalis solida, Chionodoxa siehei ‘Pink Giant’, Erythronium revolutum, Cardamine heptaphylla e C. pentaphyllos.

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