
























Sembra che gli antichi re persiani fossero soliti ungersi la pelle con un balsamo ricavato dalla bollitura di un piccolo arbusto e di grasso di leone, cui si aggiungevano un pizzico di zafferano ed un goccio di vino di datteri. Sugli effetti pratici di questa bizzarra crema di bellezza, Plinio il Vecchio non si pronuncia, ma precisa che la pianta utilizzata nell’intruglio era chiamata ‘eliantes’ o anche ‘elicallis’. Gli studiosi di storia delle piante hanno identificato quell’arbusto nel moderno genere Helianthemum, sia pure con molti dubbi, perché le denominazioni di diversi altri generi si richiamano al sole (‘elios’, in greco), sia per i loro colori caldi, sia per la loro rassomiglianza con l’astro. Colpisce invece che gli eliantemi ricordino da vicino soprattutto i cisti (Cistus) – pure molto diffusi in area mediterranea – anche se questi ultimi vantano dimensioni assai più rilevanti. La distribuzione geografica degli H. è piuttosto ampia, perché la maggior parte delle 110 specie vive in gran parte dell’Asia centro-occidentale, ma anche nelle due Americhe e soprattutto nell’Europa meridionale, pur non escludendo le zone montuose, Appennini ed Alpi comprese.
Un lavoro da certosini
L’elevato numero di specie esistenti in natura non dovrebbe entusiasmarci oltre misura, perché, diciamolo chiaro, gli eliantemi spontanei sono molto simili fra loro: sempreverdi o quasi, foglie opposte e oblunghe, fiori di vita breve con petali un po’ increspati, solitamente gialli e solo raramente rosa (H. apenninum) oppure albicocca (H. croceum). Anche la specie più diffusa in Italia, H. nummularium, pur disponendo di diverse sottospecie con fiori un po’ aranciati, non sfugge alla regola. Ci vuole la pazienza di uno scienziato per imparare a distinguerli l’uno dall’altro. Fortunatamente, però, alcuni ibridatori anglosassoni, soprattutto scozzesi, fin dagli anni Venti del secolo passato iniziarono con un lavoro certosino ad incrociarli fra loro, per ricavarne forme sempre più colorate, specialmente sui toni del pastello. Le tre specie-base prescelte furono H. nummularium, H. apenninum e H. croceum, appunto perché assai variabili in natura e dotate di colorazioni differenti. Inoltre, con grande tenacia, si riuscì ad ottenere che il principale difetto degli H. venisse quasi del tutto eliminato. Essi, infatti, in natura tendono a perdere i petali anche dopo un solo giorno di vita, specialmente se colpiti dalla pioggia. Le nuove varietà, invece, riescono a resistere alle intemperie e al vento impetuoso. Non solo, ma anche il colore delle foglie è diventato molto più variato, oscillando fra il verde smeraldo e il grigio-argento.
In giardino
Il primo compito del giardiniere intenzionato ad utilizzare gli H. è di apprezzarne le differenti qualità, a prescindere dal colore dei petali. Essi, infatti, possono avere un bel fogliame grigio (come H. ‘Henfield Brilliant’ o ‘Watergate Rose’) oppure verde (come H. ‘Ben Fhada’). Ugualmente interessante il portamento, il quale, secondo le cultivar, può essere arrotondato e compatto oppure espanso e strisciante. Inoltre le loro corolle sono anche piacevolmente doppie (H. ‘Mrs. C. W. Earle’), mentre il periodo di fioritura, di norma al culmine fra maggio e giugno, si può prolungare fino a settembre in alcuni casi particolari (H. Georgeham’, ‘Ben More’, ‘Fire Dragon’). In generale, gli H., pur non essendo molto longevi, riescono a conservare per anni la loro forma netta e compatta se si provvede ad operare una leggera ma regolare spuntatura. Un primo loro impiego vede le forme più nane vivere senza problemi negli interstizi delle pavimentazioni, anche nei giardini formali, dove sfruttano il calore trattenuto delle pietre e sopportano bene il calpestio occasionale. E’ proprio in queste situazioni che il colore grigio delle foglie di alcune varietà contrasta gradevolmente con i toni naturali delle lastre. Il luogo ideale per loro, tuttavia, è il giardino roccioso, in cui le forme delicate ma tutt’altro che evanescenti costituiscono un ottimo sfondo per altre specie più modeste. Perfette combinazioni cromatiche si ottengono accompagnandoli con garofanini, Iberis e Origanum. Non meno utile è il loro apporto decorativo nel primo piano delle bordure esposte al sole, ma anche sui muretti a secco, nelle fessure e sulle gradinate rustiche.
Coltivazione
Gli H. si adattano a qualsiasi normale terreno da giardino, ma prediligono quello un po’ alcalino, anche con pH superiore a 7, sfoggiando fioriture lussureggianti insieme con i garofanini. Viceversa, detestano i suoli eccessivamente argillosi e soprattutto non drenati. Amano un’esposizione in pieno sole, stentando alquanto in ombra e fiorendo in misura inferiore a mezz’ombra. Subito dopo il termine della prima abbondante fioritura, vanno leggermente spuntati allo scopo di eliminare i fiori appassiti. In tal modo, si stimola una seconda fioritura e in pari tempo si mantiene un portamento ben compatto della pianta. Essi non richiedono fertilizzanti, anche se l’uso di un concime liquido equilibrato dopo la spuntatura è di aiuto nella produzione di fiori. In questo senso ha dato risultati sorprendenti l’impiego di un concime a base di alghe marine. Sempre allo scopo di prolungarne l’effetto ornamentale in giardino, è bene mettere a dimora più ibridi con differenti periodi di fioritura.
Moltiplicazione
La semina è indicata solo per le specie, perché gli ibridi mantengono le stesse caratteristiche solo se si ricorre alle talee. In piena estate, occorre prelevare talee di 6-8 cm dai getti laterali che non sono fioriti; si piantano in un terriccio torboso arricchito di sabbia, ponendo poi le cassette alveolari in un cassone freddo. Quando sono radicate, le talee vanno rinvasate in singoli contenitori di 8 cm e si fanno svernare in letto freddo, per poi essere piantate nel sito definitivo durante la primavera successiva. Le giovani plantule vanno cimate al fine di stimolare una vegetazione più robusta.