Corydalis

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“Arriva un giorno, verso la fine di marzo, in cui soffia un lieve venticello, da ovest o da sud-ovest. Il sole si è irrobustito, così che è piacevole sedersi fuori, in giardino, o meglio ancora in qualche nicchia aprica della boscaglia. C’è un posto del genere fra le betulle dal tronco argenteo, circondate dalla splendida ricchezza di masse scure d’agrifoglio. Il restante sfondo, sopra il livello del nostro sguardo, è costituito dal caldo colore delle gemme degli alberi che emetteranno foglie in estate, mentre, più sotto, si stende l’evanescente ruggine del fogliame ormai appiattito delle felci dell’anno passato e gli ancor più pallidi mucchietti di foglie dei vicini castagni e querce.  Scendendo verso il giardino per un’altra strada erbosa …ecco che una gradevole massa di colori si mette in evidenza ai margini del bosco: è un isolato gruppo di Daphne mezereum, con ciuffi di ellebori e, di fronte, qualche macchia sparsa di Erythronium. I colori sono tutti un po’ “tristi”, come dicono gli scrittori d’un tempo riguardo alle tinte dei fiori d’importanza secondaria. Ma è un quadro perfetto. Lo si ammira sempre più, così come avviene per un dipinto con cui è bello vivere. Inventare queste pitture viventi, utilizzando fiori umili e ben conosciuti, questa secondo me è la miglior cosa da farsi nel giardinaggio”.

La citazione è fin troppo lunga, ma chi ha il coraggio di dire che non è valsa la pena di leggerla, non tanto perché firmata da Gertrude Jekyll, quanto perché con parole semplici riesce a comunicare sensazioni e pensieri che noi tutti, sia pure in modo meno calibrato, facciamo alla fine dell’inverno?

La grande paesaggista inglese, delineando poi un raffinato ‘schema di colori’ per una bordura inserita in quel contesto, accosta le infiorescenze rosa carico di un gruppo di Bergenia con quelle più sfumate di Erythronium dens-canis e di Corydalis bulbosa, alle cui spalle sistema ellebori rosso scuro che ben contrastano con i toni lievi del primo piano. In questo “quadro”, come la stessa Jekyll lo chiama, c’incuriosiscono quelle pianticelle di Corydalis bulbosa, ancor più dei ben noti ellebori, ‘sassifraghe’ e ‘denti di cane’. Iniziamo con una veloce occhiata al dizionario da cui apprendiamo che, per gli antichi Greci, korydallìs era chiamata l’allodola, il grazioso uccello di campagna dotato di una cresta piumata sul capo, che vagamente può ricordare lo sperone caratteristico di questi fiori. Per accettare il paragone ci vuole un po’ di fantasia, che però, a noi che amiamo i giardini, non fa certo difetto.

Un genere e una famiglia sotto esame

La fama delle C. si sta notevolmente rafforzando in questi ultimi anni, mentre in precedenza ci si ricordava di loro solo per l’impiego di poche e ben consolidate specie, la cui denominazione scientifica era sempre un po’ ondivaga. Tuttora, del resto, non è difficile che le medesime piante vengano chiamate con il vecchio appellativo di Fumaria, rinfocolando così una diatriba che ormai andrebbe risolta almeno a livello botanico. Identico problema di ancor più vaste dimensioni riguarda, infatti, la famiglia, che per alcuni autori è quella delle Fumariaceae, mentre per altri si deve parlare di Papaveraceae. I comuni appassionati non comprendono quali affinità possano sussistere tra i fiori di Corydalis e quelli di un papavero, così come viceversa non si capisce perché non sia lecito accostarli a quelli di una famosa erba infestante dei campi coltivati, F. officinalis, che davvero sembra una C. a tutti gli effetti. In sostanza: lasciamo a chi di dovere le sottili discussioni scientifiche relative alla tassonomia e limitiamoci a considerare il solo genere Corydalis.

Esso comprende ben 300 specie, delle quali solo una sessantina o poco più sono attualmente in coltivazione, anche se diverse altre – specialmente quelle tuberose – sono state coltivate saltuariamente nel passato e quindi possono tornare sulla scena fin da oggi, sia pure in modo occasionale.

Dove vivono in natura

Le C. sono tutte piante erbacee annuali o perenni, dotate di rizomi o tuberi, ma in qualche caso anche di radici fibrose. La loro taglia è in molti casi piuttosto bassa (10-50 cm), ma in altri è decisamente alta (anche fino a 1 m), mentre poche sono le rampicanti. La distribuzione geografica le vede prosperare in un fascia piuttosto ampia della Terra, fra le regioni temperate dell’emisfero settentrionale e quelle montuose dell’Africa tropicale. I loro habitat sono fra i più diversi. Le specie più diffuse in Europa preferiscono la boscaglia non troppo fitta (C. cava), le aree rocciose e le crepe ombreggiate (C. lutea), le zone montuose (C. ochroleuca), i pendii pietrosi ed erbosi (C. solida). Il gruppo più numeroso, quello delle specie asiatiche – fra la Turchia e la Mongolia, passando per Iran, Afghanistan, Pakistan, ex-URSS, Kashmir, Asia Centrale, Himalaya, Tibet, Nepal – gradisce le rupi granitiche (C. aitchinsonii), le aree rocciose (C. rutifolia), le boscaglie fino a 3.700 m (C. ledebouriana e C. glaucescens), le foreste (C. caucasica), le basse colline sabbiose (C. macrocentra), le creste calcaree aperte (C. firouzii), le vallate umide (C. ophiocarpa). Alcune preziosissime specie originarie dell’Estremo Oriente (Cina, Siberia) nascono in località rocciose (C. wilsonii), in posti umidi (C. tomentella), su versanti pietrosi e aperti (C. flexuosa). Questa enorme varietà di habitat pone qualche problema in fase di coltivazione, ma con alcuni accorgimenti in molti casi si riesce anche ad “ingannare” le piante, illudendole di crescere in patria, non nel nostro giardino.

Uno sperone per amico

Chi vede per la prima volta un esemplare di Corydalis rimane sicuramente affascinato dalla delicatezza e dalla levità di queste pianticelle erbacee, così vaporose nel loro portamento da sembrare quasi fragili. Invece non è così, perché esse, una volta stabilizzatesi là dove ci è sembrato più opportuno inserirle, ricambieranno con larga generosità l’attenzione con cui le avremo messe a dimora. L’impressione di grande leggerezza che caratterizza tutte le specie deriva in buona parte anche dal fogliame, molto spesso morbidamente intagliato in numerosi segmenti di un bellissimo verde, che in diversi casi assume sfumature glauche. Ma alla fine è l’infiorescenza (un racemo, provvisto di brattee che sottendono i singoli fiori) quella che, ancora una volta, la vince su tutto il resto, anche perché la struttura della corolla è davvero singolare. Essa è formata da due piccoli sepali e da quattro petali. Il petalo superiore è quello che vorrebbe imitare il capo crestato dell’allodola, mediante uno sperone, più o meno lungo, il quale sovrasta il petalo inferiore, che pare un labbro alla bocca della corolla. I due petali laterali, invece, sono quasi fagocitati dai primi due e appaiono alati in prossimità del loro apice. Non c’è dubbio che, a prescindere dalle fantasiose analogie con le allodole, lo sperone conferisce al fiore un’impressione di eleganza e d’irripetibilità, così come nelle Dicentra (strette parenti delle Corydalis) la singolarità è assicurata dalla forma a cuore delle corolle. Va poi aggiunto che vi sono pochi altri generi in cui la varietà cromatica è tanto elevata: petali bianchi, crema, rosa, rossi, gialli e azzurri sono in grado di soddisfare qualunque esigenza di abbinamento con altre erbacee che intendiamo coltivare nelle vicinanze.

Dalla natura al giardino

L’inizio della coltivazione delle C. risale a molti secoli fa, ma non pare che tale pratica si sia diffusa come il fascino di queste piante meriterebbe. Va però precisato con schiettezza che una certa difficoltà di coltivazione ha rappresentato a lungo un ostacolo abbastanza serio. Diverse specie tuberose producono semi che muoiono precocemente, così che molte collezioni inviate in Europa dall’Oriente negli anni Trenta del secolo scorso non poterono germinare e diffondersi da noi. Tuttavia, altre specie sono giunte successivamente da quei lontani territori e le tecniche della loro coltivazione si sono sempre più affinate. Oggi, insomma, molte sono le specie di C. che è possibile veder fiorire anche nei giardini occidentali: basta seguire regole precise e commisurate ai vari gruppi di specie, rispettando scrupolosamente le rispettive esigenze.

Specie non tuberose e tuberose

Così come avviene per altri generi ricchi di specie, anche Corydalis presenta problemi di suddivisione in gruppi omogenei, tanto che recentemente esso è stato addirittura sottoposto ad analisi del DNA per ricavarne 20 sezioni diverse. Se questo accade a livello scientifico, da un punto di vista più pratico, invece, apparirebbe più semplice ricorrere ad una separazione fra specie non tuberose e tuberose. Le prime, tuttavia, sono le meno utilizzate in coltivazione, non certo per mancanza di doti estetiche, bensì perché la sperimentazione orticola non le ha ancora prese in attenta considerazione, fatta eccezione per l’ormai celebre C. flexuosa. Se ne deduce che la categoria delle tuberose è di gran lunga la più affollata, comprendendo circa sessanta specie, che solitamente hanno una vita lunga e sono abbastanza rustiche. Esse spuntano in primavera, a volte anche molto precocemente, da un piccolo tubero sotterraneo e poi scompaiono verso la fine dell’estate. I loro luoghi d’origine, in boschi decidui, prati alpini, rocce di montagna, sono caratterizzati da mesi primaverili carichi di piogge, seguiti da estati secche: un dato da tenere presente anche in fase di coltivazione.

Le più semplici da coltivare

Un tipo di suddivisione, che sappiamo essere gradito ai lettori, è invece quello che differenzia le specie di più facile coltivazione da quelle un po’ più ostiche.  Ovviamente, le specie che possiamo coltivare in modo più agevole e con più rosee previsioni di successo sono quelle che in natura vegetano in ambienti assai vicini ai nostri. L’esempio migliore è quello di C. cava (10-30 cm), che vive nei boschi di latifoglie di quasi tutta Italia. Caratterizzata da un bulbo grande come una nocciola e precocemente cavo, questa perenne ha il vezzo di presentarsi in due colori diversi: con corolla rosea oppure completamente bianca, magari l’una accanto all’altra. Negli stessi ambienti vive anche C. solida (10-20 cm), geograficamente più diffusa ma anche più rara della precedente, con un bulbo giallastro e carnoso, quasi triangolare. Molto variabile in natura, essa dispone di una corolla solitamente rossastro-violacea, ma anche bianca, oppure rosa o altro ancora. La sottospecie C. solida subsp. decipiens ha una corolla bianca più grande. Una delle sue migliori cultivar a fiore rosso è appunto ‘George Baker’, che si comporta molto bene in situazioni di mezz’ombra, sotto arbusti o alberi, dove forma una fitta massa di nuovi bulbi che è facile dividere.

Sulle montagne calcaree dell’Italia del nord vive una specie endemica di rara bellezza, oltre che di grande utilità in giardino, C. lutea (20-30 cm), ricca di foglie variamente lobate e di corolle gialle che si susseguono per un lungo periodo. Una seconda specie a fiori giallo, ma con una pennellata d’arancione alla fauce della corolla, è C. ochroleuca (10-25 cm), che pure vive in Italia, soprattutto lungo la dorsale appenninica.

Nel settore delle “semplici”, prevalentemente costituito da piante tuberose, ci sentiamo d’inserire anche un’erbacea dalla radice fibrosa di enorme valore ornamentale, C. flexuosa, che richiede solo di essere capita nelle proprie esigenze: un suolo sciolto, con foglie marcite e soprattutto a base calcarea, assolutamente non acida.  Questa specie cinese (15-20 cm) è davvero magnifica, grazie alle ricche e compatte masse di fiori di un intenso azzurro grigiastro, in splendido contrasto con il fogliame verde scuro della specie-tipo o bronzato-violetto di alcune sue cultivar, come ‘Père David’, ‘China Blue’ e ‘Purple Leaf’. Una specie che rassomiglia molto a C. flexuosa è C. linstowiana, dai fiori di un azzurro più tenue. Infine, di semplice coltivazione è anche C. caucasica, una tuberosa di taglia bassa (fino a 13 cm) proveniente dall’ex-URSS e dal Caucaso, che porta usualmente fiori rosa o violetti, ma anche candidi nella varietà alba.

Questa categoria comprende molte altre specie, gran parte delle quali, tuttavia, sono meno facilmente reperibili sul mercato, o perché scoperte di recente o perché non ancora del tutto sperimentate sotto il profilo orticolo. Meritano attenzione: C. integra (10 cm, fiori da rosa pallido o violetto); C. paschei (10-20 cm, rosa intenso), C. tauricola (10-25 cm, da bianco a violetto scuro), C. tomentella (15-20 cm, giallo brillante, teme l’inverno umido), C. vittae (10-15 cm, bianco con sfumature violacee), C. wendelboy (10-25 cm, dal bianco al marrone), C. wilsonii (15-20, giallo brillante), C. zetterlundii (8-25 cm, bianco a volte variegato di violetto). Aggiungiamo anche due specie annuali: la prima, C. ophiocarpa (fino a 60 cm) ha fioriture gialle molto abbondanti, mentre la seconda, C. sempervirens (pure 60 cm) è di colore rosa-giallo con foglie glauche.

Le più esigenti

Quasi tutte le altre specie, tuberose o non, presentano qualche difficoltà legata in particolar modo alla composizione del suolo e alle sue variazioni di umidità nel corso delle stagioni. Sappiamo bene che chi si appassiona a un determinato genere di piante riesce prima o poi a superare ostacoli, che in un primo momento potevano apparire invalicabili. Per questo motivo ci sembra giusto presentare anche le specie più riottose: se ci sforzeremo di comprenderne i bisogni, non solo saremo soddisfatti di noi stessi, ma soprattutto il nostro giardino ne ricaverà non pochi vantaggi. Fra le piante più meritevoli: C. aitchisonii e C. nevskii (10-15 cm, fiori lunghi e gialli), C. chionophylla con la sua simile C. firouzii (la prima bianco-rosea, la seconda gialla), C. darwasica (4-18 cm, bianco-crema), C. henrikii (15-25 cm, bianco-violacea), C. paczoskii(8-15 cm, violetto scuro), C. popovii (8-15, rosa-carminio), C. rutifolia (3-15 cm, da bianco-rosa a rossastro), C. schanginii (10-40, violetto o giallo).

Il posto giusto nel giardino

Se consideriamo le loro origini geografiche e ambientali, non possiamo tentennare: le C. sembrano avere una spiccata vocazione per il giardino roccioso, sia per la delicata eleganza del fogliame, che in alcuni casi ricorda la filigrana, sia per l’insolita leggerezza delle corolle, oltre che, ovviamente, per la taglia di moltissime specie, che abbiamo visto aggirarsi sui 7-25 cm. Queste stesse piante, peraltro, potrebbero con uguale impatto decorativo essere coltivate su pareti rustiche e su muri, in cui ovviamente già esistano fessure adatte allo scopo o vi siano state predisposte apposite ‘tasche’ o nicchie, sufficientemente umide e non esposte a sud. Una coppia davvero ammirevole, per questo tipo d’impiego, è costituita dalle due specie ‘italiane’ che vanno famose sia per i fiori piccoli, sia per l’elegantissimo tessuto di foglie: C. lutea e C. ochroleuca, che è bello inserire anche su rovine e roccaglie. Le specie più alte, in verità assai poco numerose, come C. ophiocarpa, hanno un’ottima riuscita in situazioni che ricordano quelle vagheggiate dalla Jekyll: sotto la chioma di alberi decidui, nella boscaglia aperta o ai margini di aree arbustive, magari in piacevole compagnia di altre bulbose primaverili, come le Scilla e le Chionodoxa.

 

Specie non tuberose

Le C. erbacee, dotate di un apparato radicale non tuberoso (radici fibrose, ecc.) sono anche le più semplici in coltivazione. Le loro migliori rappresentanti, C. flexuosa, C. lutea e C. ochroleuca richiedono le seguenti cure in giardino.

Terreno: per C. flexuosa deve essere molto sciolto, fertile, arricchito con terriccio di foglie o di torba, assolutamente non acido ma tendente al calcareo. Per le altre due il suolo deve essere più pietroso, ma sempre calcareo. Ottimo drenaggio.

Messa a dimora: va effettuata in primavera o in autunno, in mezz’ombra.

Cure: annaffiare durante la crescita; se non si ricorre alla divisione, è necessaria una concimazione in copertura con terriccio di foglie e sabbia, aggiungendovi un fertilizzante generico ed eventualmente calcare

Moltiplicazione: ogni due anni, all’inizio dell’autunno, C. flexuosa va divisa e ripiantata. La moltiplicazione da seme è necessaria soprattutto per le annuali, mentre spesso C. lutea e C. ochroleuca si autodisseminano spontaneamente.

Specie europee, tuberose

Terreno: esigono un suolo sassoso, non particolarmente ricco, ma anche provvisto di foglie marcite e ben drenato

Messa a dimora: i piccoli tuberi vanno piantati ad una profondità di circa 5 cm, alla fine dell’estate; l’aggiunta di un fertilizzante, del tipo di quello usato per le rose, si rende necessaria solo se il terreno è particolarmente povero. Nei primi tempi, le piantine vanno lasciate indisturbate.

Cure: in estate, quando vanno a riposo, vogliono un terreno fresco e piuttosto asciutto; è questo il momento in cui il caldo eccessivo e la siccità possono risultare letali per molti tuberi. Poiché la loro tendenza è quella di formare colonie, è possibile dividerle in estate

Specie asiatiche, tuberose in serra fredda

Terreno: utilizzare uno strato di circa 20-30 cm, con una composta di sabbia grossolana sopra un comune terriccio da giardino, molto ben drenata, non troppo fertile,

Cure: in estate vanno tenute in una situazione di completa assenza d’acqua, mentre in inverno (fra ottobre-novembre e la primavera) vanno annaffiate con moderazione. Più si tarda a bagnarle e migliori saranno le loro condizioni anche di salute. La copertura di vetro va posta fra novembre a fine febbraio e poi ancora in estate. Rinvasare ogni anno all’inizio della primavera.

Note sulla semina di Marina Baldi

I semi di Corydalis sempervirens e C. sempervirens lutea sono in grado di germinare senza bisogno di particolari trattamenti.

Le altre specie invece hanno semi provvisti di meccanismi di dormienza. Per porre fine a questa fase i semi hanno bisogno di almeno 6 settimane di terreno ben riscaldato a circa 22 gradi e con umidità elevata. Dopo si espone il seminato per 6-8 settimane al freddo da 0 a 4°C . in questa fase inizia a germogliare. Aumentare lentamente la temperatura fino ad arrivare a 10°C fino alla completa germinazione. Se il periodo di caldo freddo non è stato sufficiente i semi nasceranno l’anno successivo.

I semi di queste piante sono molto piccoli: per ottenere 1000 piante di C. cava occorrono  in condizioni ottimali 20 grammi di seme, per C. lutea, C. nobilis, C. ochroleuca e C. solida ne occorrono 10 grammi, per C. cheilantifolia, C. sempervirens e C. sempervirens glauca ne occorrono 2 grammi.

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