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I “crochi delle Pleiadi” – spesso così poeticamente chiamati – sul piano morfologico non differiscono in nulla dai loro gemelli primaverili, con i quali formano un genere ricco di specie all’interno della famiglia delle Iridacee. Tutte caratterizzate da un cormo sotterraneo ricoperto da tuniche reticolate, le circa ottanta specie del genere Crocus variano poi sotto altri aspetti. Le foglie, ad esempio, sono quasi sempre lineari o lanceolate, verdi, ma con una striscia centrale più chiara, e compaiono al momento della fioritura oppure molto più tardi. I fiori possono essere da 1 a 4 ed emergono da tre brattee avvolte a guaina, mentre i ‘petali’ (che in realtà si chiamano tepali) sono sempre sei, divisi in due verticilli che si sovrappongono fra loro. Interessante è poi l’osservazione di un particolare che solitamente non attira la nostra attenzione, cioè del pistillo, o meglio dello stilo, che è sempre uno solo ma suddiviso in 3 o 6 o più lobi. Questo dettaglio è importante per differenziare il croco dal colchico (Colchicum autumnale), che, fiorendo nella stessa stagione, ha tre stili separati fra loro e, pur essendo molto velenoso, maliziosamente viene spesso chiamato “zafferano selvatico”, con conseguenze talvolta spiacevoli.
Il gruppo comprendente tutti i crochi che fioriscono in autunno è assai più vasto di quanto non si possa immaginare, tanto che le sue potenzialità orticole sono ancora da scoprire appieno. Si tratta di alcune decine di specie e sottospecie, la maggior parte delle quali è solitamente suddivisa in due grandi categorie. La prima abbraccia quelle piante i cui fiori appaiono prima delle foglie e che, in gran parte, vivono nell’Europa orientale, in Asia Minore e in Palestina. Il rappresentante più tipico è sicuramente C. speciosus, diffuso in un’area estesa fra Grecia ed Iran, caratterizzato da fiori lungamente tubulosi e con corolla a forma di coppa stretta, al cui interno si distinguono stimmi più volte ramificati di un colore arancione brillante. Questa specie è attualmente corteggiata dagli orticoltori, perché la sua variabilità naturale promette la costituzione di nuovi ibridi e varietà, come ad esempio, ‘Artabir’, che ha ‘petali’ riflessi in punta e un colore indaco di particolare fascino. Una seconda specie, C. ochroleucus, che proviene da Siria, Libano e Israele, è dotata di fiori inizialmente a forma di stretta coppa bianco-crema che più tardi si apre un poco per mostrare un interno giallo scuro. Le sue foglie, lineari ed erette, spuntano poco dopo la comparsa dei fiori, che non sono molto grandi, ma che si presentano in piccole masse, poiché la pianta tende a moltiplicarsi facilmente nei giardini. Vi è poi una specie italiana, C. medius, che ama crogiolarsi al sole delle Alpi Marittime e, più in generale, della Riviera ligure addirittura fino alla Spezia. E’ un croco tanto bello quanto rustico, facilmente riconoscibile per i suoi fiori aperti di colore lilla chiaro, appena venati da strisce più scure nella parte interna; anche le foglie sono ben riconoscibili, perché hanno una striscia centrale bianca, assai marcata e ampia. Una quarta specie può essere inclusa in questo gruppo, ma è tuttora sotto studio: si tratta di C. moabiticus, che nasce nella piana di Moab, nella Giordania settentrionale. In questa località la sua fioritura ha luogo in novembre, prima della comparsa delle foglie: i fiori sono bellissimi, largamente aperti e di un tenue colore bianco-azzurro solcato da linee viola, che contrastano con il giallo delle antere e il rosso-arancione degli stimmi.
La seconda categoria annovera piante che fioriscono contemporaneamente all’emissione delle foglie e che, per questo stesso motivo, sono ancora più attraenti. La specie-simbolo è lo zafferano, C. sativus, che la natura e le attenzioni dell’uomo hanno gratificato con caratteristiche di pianta ‘utile e bella’. Infatti, i suoi fiori sono fra i più grandi di tutto il settore delle autunnali e si distinguono per la loro ‘apertura’, grazie alla quale sono messe in mostra le virtù decorative dei lunghissimi e preziosi stimmi, di un bel rosso cupo e mollemente ricadenti sulla parte interna della corolla. Una seconda specie, C. cartwrightianus, viene comunemente descritta insieme allo zafferano, perché talvolta considerata una sua varietà o sottospecie, tanto che alcuni botanici la ritengono un suo lontano progenitore. Ampiamente diffusa in Grecia, essa ricorda in più modi l’importante parente, tranne che in un particolare molto importante, la lunghezza degli stimmi, che sono decisamente più corti. Sempre di origine greca, come molte delle specie di questo gruppo, è anche C. hadriaticus, una pianta non molto alta e caratterizzata fra l’altro da foglie lunghe anche più di 35 cm. I suoi fiori sono biancastri con sfumature violette alla base, che nella varietà ‘Lilacinus’, si estendono a tutta la corolla; l’interno dei fiori è bianco-violaceo, con una corona centrale di stami gialli e stimmi arancione. Un’altra specie di grande attrattiva è C. tournefortii, davvero splendida per l’apertura della corolla a forma quasi di stella, con petali tinti di un tenue azzurro-lilla che circondano stimmi arancione più volte ramificati. Una sua parente è C. boryi, tipica dell’isola di Corfù, che mette in mostra una piccola, ma graziosa corolla di petali bianchi o bianco-crema, a forma di calice e con gola giallastra.
Molto interessante sembra essere una specie non dissimile dalle precedenti, C. laevigatus, che però emette le foglie prima dei fiori; il suo valore risiede nella grande variabilità dei colori (dal bianco al malva, dal lilla al viola) e della forma della corolla (piccola e a stella, oppure più grande). La sua cultivar ‘Fontenay’ ha fiori più globosi con boccioli che si aprono molto tardi, fino a dicembre o gennaio, anche quando la temperatura è decisamente bassa. Due specie originarie del Peloponneso sono C. niveus e C. goulimyi: la prima è considerata la migliore delle piante con fiori bianchi, con gola giallo-arancione e stimma scarlatto, mentre la seconda appare davvero elegantissima, ma anche molto vigorosa, tanto da formare in giardino vere e proprie masse se posta in posizione soleggiata. I suoi fiori hanno un tubo bianco e petali arrotondati di uno splendido colore malva-lilla, anche se quelli interni sono più chiari di quelli esterni.
Arriva invece dal mar Caspio, a sud di Baku, C. caspius, che è del tutto rustica, con fiori bianchi a base crema e uno stimma insolitamente non suddiviso in cima: le sue foglie sono sottilissime e vengono emesse insieme ai fiori. La penisola Iberica ci regala invece C. serotinus, una specie dai fiori profumati, con petali stretti e allungati di colore malva chiaro talvolta venato di violetto. In coltivazione la sua sottospecie C. s. clusii ha mostrato una qualità non comune, quella di non piegarsi neppure sotto la forza dei venti e delle piogge britanniche.
Coltivazione dei crochi
Terreno: i crochi non necessitano di un terreno particolare, anche se ne prediligono uno moderatamente fertile e soprattutto ben drenato; se il normale terreno da giardino è troppo compatto, è meglio aggiungere della sabbia, in modo che la parte sottostante il bulbo non abbia ristagni d’acqua per almeno una decina di cm
Esposizione: soleggiata e riparata dai venti, anche se essi si adattano bene a posizioni in mezz’ombra, a condizione che per qualche ora (almeno 4) sia assicurata la luce solare. Un posto ideale è sotto la chioma di alberi o arbusti a foglia caduca
Messa a dimora: dopo aver aggiunto la sabbia, come s’è detto, i bulbi vanno messi a dimora, non appena disponibili, sotto uno strato di terra di 6- 8 cm, ad una distanza l’uno dall’altro di circa 10 cm. le specie autunnali iniziano a formare le prime radichette verso metà estate
Irrigazione: .quanto basta, durante il periodo di crescita
Cure: se i bulbi rimangono nella medesima posizione per anni, è opportuno aggiungere del fertilizzante quando le foglie incominciano a spuntare. Le foglie vanno tagliate solo se si sono disseccate completamente e i fiori non vanno tolti neppure quando sono appassiti
Malattie : crochi sono attaccati da alcune malattie, soprattutto da marciumi radicali, per i quali è meglio fare opera di prevenzione, scegliendo i cormi più sani. Anche i roditori sono grandi estimatori dei crochi, dei cui bulbi sono ghiottissimi.
In giardino
I crochi autunnali, come anche le specie primaverili, hanno fiori di grande effetto decorativo, ma è innegabile che i primi possono risultare utilissimi man mano che l’inverno s’avvicina. Piantati in quantità generose, a masse, essi attirano infallibilmente lo sguardo, tanto se sono stati collocati negli spazi aperti (come nei prati), quanto se si è preferito mescolarli con altre bulbose. Altri luoghi ideali sono, ovviamente, il giardino roccioso e soprattutto i contenitori (vasi, mastelli, ecc.), così che le si può considerare anche piante d’appartamento se coltivate in vasetti di piccole dimensioni. All’aperto, non ci si dimentichi che, tramite una sapiente combinazione con le specie primaverili, si può colorare il giardino per un periodo lunghissimo, almeno da settembre ad aprile. Se invece si desidera la compagnia di altre erbacee, ci si ricordi di ricorrere a perenni di taglia piccola dal fogliame che ingiallisce in autunno, come Euphorbia polychroma e Asparagus tenuifolius, oppure a tappezzanti dal bel colore autunnale.
Da un croco lo zafferano
Se ‘Parigi val bene una messa’, quanto può valere allora una citazione nel Libro dei Libri, cioè nella Bibbia? Molto, anzi moltissimo, perché sulla base di un calcolo fatto da lettori esperti del Testo sacro sembra che solo una settantina di piante abbiano avuto un onore tanto grande. Onore toccato, fra le altre specie, anche al pregiato zafferano (Crocus sativus), per noi moderni conosciuto più che altro come fondamentale ingrediente del risotto alla milanese o della bouillabaisse, ma ai tempi di Re Salomone apprezzato in forma meno prosaica. Nella Bibbia viene nominato accanto al melograno, alla mirra e al cinnamomo – quindi in nobile compagnia di piante aromatiche o dolcemente sensuali –mentre oggi lo imprigioniamo in bustine gialle o, al massimo, lo diluiamo in liquori dolciastri come la chartreuse. Il suo uso culinario prevalse a partire soprattutto dal medioevo, quando la delicata polverina ottenuta dall’essiccazione degli stimmi del più famoso fra i crochi autunnali veniva pagata cifre folli. Le esportazioni partivano soprattutto dalla Spagna, ma anche dall’Italia, perché lo zafferano più pregiato d’Europa è sempre stato ritenuto quello coltivato in provincia dell’Aquila. Il suo impiego si estendeva poi alla medicina (come tonico, sedativo e antispasmodico) e alla cosmesi: pare che un tempo servisse per tingere i capelli delle donne o per “impallidirne” artificiosamente i volti. Per ottenere lo zafferano migliore – con quattromila fiori si hanno solo trenta grammi di prodotto secco – i nostri antenati coltivavano quella varietà naturale che “fiorisce al tramontare delle Pleiadi e che, in pochi giorni, mette foglie e fiori”.
Altre Iridacee autunnali
I crochi, l’abbiamo detto, appartengono alle Iridacee, una famiglia che annovera diversi altri generi e specie di piante bulbose, non poche delle quali aprono le loro corolle alla fine dell’estate o in pieno autunno. Una delle meno note, ma anche delle più interessanti, è Schizostylis coccinea, originaria del Sudafrica, dove cresce lungo le sponde dei corsi d’acqua. I suoi fiori, solitamente rossi, possono però virare al rosa o a toni intermedi, così che ne sono state ricavate diverse cultivar, da utilizzare specialmente in zone umide, magari in compagnia di Iris. Per la sua coltivazione, è necessario metterla a dimora in un terreno ricco di materia organica e molto umido, ma drenato, possibilmente raggruppando a tre a tre i bulbi per ottenere un maggior effetto. Nelle aree più soleggiate, va riparata almeno per le ore più calde del pomeriggio. Una seconda Iridacea poco conosciuta è Romulea bulbocodium, spontanea anche in Italia, con corolle assai mutevoli sia nelle dimensioni sia nel colore, che varia dal bianco al rosa al lilla. Ottima pianta da giardino roccioso o da primo piano nelle bordure, va bene anche nei contenitori, teme il gelo e va quindi protetta, magari ponendola accanto a muri rivolti a sud.
Le Liliacee
Anche la famiglia dei gigli offre dell’ottimo materiale per arricchire il nostro giardino di bulbose autunnali, in primo luogo con un genere piuttosto vasto, Colchicum, che entra in concorrenza con il consimile Crocus. Basti citare, fra tutti, il comunissimo e velenoso Colchicum autumnale, presente nei prati di tutta Europa, le cui foglie compaiono l’anno successivo alla fioritura. Sorprendentemente, poi, anche il genere Allium – che siamo soliti associare interamente alla primavera – possiede almeno un membro “ribelle”, Allium thunbergii, dotato di fiori rosa-violetto che si aprono fra settembre e novembre. Per questa ragione, è consigliabile coltivarlo in vaso, al fine di evitare danni derivanti dal freddo o dal maltempo.
Le Amaryllidacee
Questa importante famiglia ha acquisito parecchie benemerenze nel settore delle piante bulbose, non solo primaverili, ma anche autunnali, a volte presentando entrambe le fioriture all’interno del medesimo genere. Una prima testimonianza è offerta da un bucaneve che, in controtendenza rispetto a tutte le altre specie che fioriscono in inverno o all’inizio del disgelo, apre i suoi fiori in ottobre-novembre: è Galanthus reginae-olgae, che nasce in Sicilia e in Grecia. Alto solo una decina di cm, ha foglie che si sviluppano appieno dopo la fioritura e tepali interni macchiati di verde sulla punta. Si tratta di un bucaneve che si moltiplica facilmente se lo si mette a dimora in un terreno leggero e ricco di humus. Un secondo esempio di fioritura bistagionale è dato dal genere Leucojum, un cui rappresentante, Leucojum autumnale, vive in luoghi aperti e assolati oppure in boschi radi, fiorendo sino a novembre. Un genere potenzialmente infinito – grazie ai lavori di ibridazione ancora in pieno sviluppo – è quelle delle Nerine, piante originarie delle montagne sudafricane, dalle quali sono state selezionate numerose cultivar, ma con cui soprattutto si sono creati ibridi multicolori, di grande effetto nei mesi di settembre e ottobre. Una sola specie, N. bowdenii, può essere messa all’aperto, mentre la scarsa rusticità degli ibridi ne consiglia la coltivazione in vaso.
Un’altra pianta bulbosa – che dà il nome all’intera famiglia d’appartenenza – è Amaryllis belladonna, pure sudafricana, con fiori profumati e rosei nel tipo, ma bianchi in ‘Hathor’: esige una posizione molto calda in giardino per poter fiorire bene, anche se è sufficientemente rustica per rimanere all’aperto in tutt’Italia; come fiore reciso, poi, ha pochi rivali. Altri due generi che sono ancora troppo poco usati nei nostri giardini e che quindi meritano davvero maggior attenzione, sono Zephyranthes e Sternbergia.
Il primo, con due specie che prevalgono su tutte (Zephyranthes candida e Z. grandiflora) ha foglie erette e un po’ simili a quelle dei giunchi, fra cui si alzano steli con fiori bianchi e un po’ verdognoli alla base, di sicura efficacia decorativa nelle bordure. La seconda specie, Z. grandiflora, è però più delicata della prima ed è quindi coltivabile all’aperto solo nel Meridione. Bellissima e del tutto rustica è invece Sternbergia lutea, che rassomiglia molto ad un croco primaverile, ma che invece apre le sue corolle di 5 cm d’altezza nei mesi di settembre e ottobre: messa a dimora in grandi quantità nei prati ancora verdi, è di una bellezza impareggiabile.
Le Amaryllidacee hanno poi altre frecce al proprio arco, anche con generi e specie quasi sconosciuti e ciononostante meritevoli. Una fra loro, originaria dell’Argentina, è Habranthus robustus, con fiori molto grandi, di un bel rosa carico e fauce verde, e foglie strette e lunghe, anche in questo caso, l’impiego in giardino è ristretto alle aree più calde, mentre altrove si può coltivare in vaso e tenere anche in casa.
Altre proposte
Il tema “bulbose autunnali” non può dirsi completamente svolto se non si accenna sia pur rapidamente ad altre due famiglie. La prima, quella delle Primulacee, porta in dote un genere tanto rinomato quanto essenziale per la formazione di un giardino autunnale, vale a dire Cyclamen. I ciclamini, infatti, messi a dimora in luoghi ombreggiati e freschi, portano con sé una grazia e una rusticità senza pari. La seconda famiglia, delle Aracee, offre Biarum tenuifolium, una specie dall’aspetto bizzarro, che nasce fra le rocce nelle zone mediterranee centro-orientali; la corolla è dominata da una spata eretta e stretta, spesso attorcigliata su se stessa, di un marrone-verdastro che talvolta diventa cioccolato. Va coltivata in pieno sole, in terreno perfettamente drenato, con poca o nessuna annaffiatura durante i mesi estivi, mentre durante quelli invernali una certa umidità è essenziale. Utile ai margini di una bordura, essa non è indicata per alcun contenitore, mentre esprime il meglio di sé in un giardino roccioso.