Agli ornamentali

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Sì, lo sappiamo benissimo anche noi, mentre gli Inglesi che l’hanno bandito da qualunque menù di un certo rilievo lo sanno ancor meglio di noi: l’aglio ‘puzza’, anzi in alcuni casi è detestabile. In certi paesi mediterranei, a volte è quasi impossibile salire su un mezzo pubblico proprio per causa sua; noi stessi, che pure non possiamo eliminarlo da alcune ricette della nostra saporita cucina, stiamo attenti a non farne uso prima di un incontro importante, magari sentimentale, o semplicemente prima di affidarci al nostro dentista. Eppure, signori, quale altra erba, quale altro bulbo edule racchiude in sé tutte le virtù che l’aglio, insieme con gli altri ‘agli’, possiede? E tra queste doti – fatte salve quelle di natura officinale che sembrano addirittura triplicare il suo valore – spicca ovviamente la versatilità nell’impiego ornamentale, rinforzata dalla straordinaria molteplicità e varietà di specie esistenti al mondo. I primi a riconoscere tutto ciò sono proprio gli Inglesi, tanto schizzinosi in tema di utilizzo alimentare, quanto generosi e schietti nel decantare i pregi del genere Allium se si tratta di abbellire un angolo di giardino. Così, se il cerimoniale che regola le visite all’estero della Regina del Regno Unito è severissimo nel proibire qualsiasi uso di aglio nei pranzi ufficiali, nondimeno i più grandi esperti di giardinaggio britannici largheggiano di elogi nei confronti di queste bulbose. Sentite un po’ che definizione mitologica creò il cacciatore di piante Reginald Farrer, vissuto a cavallo fra ‘800 e ‘900, dopo aver avuto occasione di ammirare il comune A. triquetrum, diffusissimo sulle sponde del Mediterraneo: “E’ di un bianco diafano e ricorda il fantasma di un candido fiore morto, annegato molto tempo fa nelle acque profonde del mare”.

Bello è utile

Il vasto gruppo degli Allium riesce, forse più di qualunque altro, a rendere concreta nel regno vegetale l’antica nozione greca secondo cui la bellezza, per essere veramente tale, non può scindersi dalla bontà: concetto che nel settore dei giardini ebbe un larghissimo seguito per diversi secoli, mediante l’accostamento di piante decorative a piante utili. Se poi le due virtù si potevano riscontrare nella stessa categoria, tanto meglio. Tutto questo riesce a fare con facilità il genere Allium, che fra le sue 700-800 specie annovera almeno tre piante di grande fama e utilità nel campo alimentare. La prima è la cipolla (A. cepa), una biennale che con le sue numerose varietà è davvero una bulbosa cosmopolita e di grande diffusione, se si pensa che i nostri amici inglesi, così prevenuti nei confronti dell’aglio, ne consumano più di 400mila tonnellate l’anno. L’amato-odiato aglio (A. sativum) è tanto apprezzato universalmente e coltivato fin dalle epoche più remote che la sua forma selvatica è ormai scomparsa da tempo. Infine il porro (A. porrum) che, mitigando le piccanti virtù delle specie precedenti, riesce a mettere d’accordo tutti, comparendo in ricette di grande finezza e gustosità. Resta da dire di due “cugine” minori, che in alcuni ambiti territoriali e in determinate cucine trovano ampio spazio. Una è lo scalogno (A. ascalonicum), una sorta di cipolla più saporita, soprattutto nelle insalate tenere, che però i botanici assimilano oggi ad A. cepa; l’altra è l’erba cipollina (A. schoenoprasum), usata sia in ricette di minestre, pesce e insalate, sia nei giardini, dove gareggia per bellezza con altre erbacee ben più rinomate. Un esempio vivente della verità insita nell’antico pensiero ellenico: il bello autentico è anche buono e viceversa.

L’aglio nella storia e nella medicina

Le storico greco Erodoto, viaggiando in Egitto verso il 450 a. C., raccolse testimonianze sicure riguardo l’antichissimo uso di aglio presso la civiltà Egizia. Ad esempio, si sa che gli operai che lavorarono all’erezione della piramide di Cheope (2.500 a.C.) venivano nutriti con cipolle, porri ed aglio, così come è certo che i più umili contadini si sfamavano con cipolle, pane e formaggio, cui si sommava un po’ di pesce solo nei giorni di grande festa. Più dei Greci – che lo odiavano non meno degli odierni Inglesi – furono i Romani a farne largo uso, anche se il nuovo destino di queste piante fu quello officinale. L’erboristeria medievale e rinascimentale lo ebbe in grande onore, magnificandone le virtù: “caccia fuor del corpo i vermi larghi, provoca l’orina, giova ai morsi delle vipere, è utile à gli hidropici, chiarifica la voce, alleggerisce la tosse vecchia, amazza i pidocchi, risolve i lividi, fa rinascere i capelli cascati per pelagione” (Mattioli, 1544). Se alcune di queste applicazioni ci fanno sorridere, altre restano invece valide, anche perché più di uno studio scientifico ha appurato che le sostanze contenute nell’aglio – come l’allicina, che è un antibiotico – hanno proprietà ipotensive, antibiotiche, disinfettanti, ipoglicemizzanti. Da ricerche americane abbastanza recenti si ricava che l’aglio possiede benefici effetti sulle malattie cardiovascolari. Tuttavia, l’efficacia è valida solo se si ingerisce il prodotto fresco, con le conseguenze… sociali che ben conosciamo. Unico rimedio, un po’ casereccio: masticare prezzemolo dopo l’uso.

Anti-Dracula e anti-malocchio

Una visione apotropaica dell’aglio risale forse a Plinio il Vecchio, che ne raccomandava l’uso per allontanare i serpenti e, in pari tempo, per proteggere dalla pazzia. In alcune aree dell’Europa centrale, questa fama ha trovato un humus culturale e sociale particolarmente fertile, così che ancora oggi non sono pochi a ritenere che l’aglio protegga contro influssi nefasti e allontani i pericoli: di qui l’usanza di appendere una collana d’aglio alla testata del letto allo scopo di tenere a bada i vampiri. Gli antichi Greci, che non lo amavano molto in cucina, lo facevano mangiare alle donne durante alcune feste religiose, come le Tesmoforie, perché si pensava che in quel modo esse potessero praticare più facilmente la castità, d’obbligo in quelle occasioni. I Romani, soprattutto i militari, lo mangiavano, ma così facendo era loro impedito l’ingresso al tempio di Cibele.  Visto come antidoto potentissimo contro il malocchio, l’aglio mantiene tuttora una sua validità, non solo nel bacino del mediterraneo, dalla Sicilia alla Grecia, ma anche fino all’India. In certe feste rituali ancor oggi praticate in Tracia, il protagonista della cerimonia cammina su braci ardenti, portando in mano un rosario d’aglio.

Come si presentano

Appartenenti ad un genere cosmopolita, ma limitato al solo emisfero settentrionale della Terra, gli Allium comprendono piante biennali o perenni, qualche volta rizomatose ma più frequentemente dotate di bulbi ricoperti di tuniche cartacee o fibrose. Le foglie scanalate, piene o talvolta cave internamente, con forma lineare o ellittica, sono spesso basali, ma in qualche caso salgono verso l’alto avvolgendo il fusto per un buon tratto. Le infiorescenze sono formate da ombrelle globose, spesso avvolte da una guaina formata da una o più brattee, mentre i singoli fiori, perlopiù numerosi, sono costituiti da segmenti (‘petali’) liberi o connessi in prossimità della base. Una caratteristica di queste piante consiste nella presenza di piccoli bulbi (‘bulbilli’) che possono rimpiazzare gli stessi fiori, come in A. vineale, oppure nascere alle estremità delle radici.

Quasi tutti i fiori di A. hanno un aspetto che, in piccolo, ricorda quello dei gigli, ma altri possono avere forma campanulata oppure stellata o arrotondata; le infiorescenze, inoltre, in alcuni casi sono erette, ma in altri sono pendule come campanelle. Per quanto riguarda i colori, poi, la varietà è davvero infinita, poiché ampie fasce dello spettro cromatico sono qui rappresentate: il bianco, il rosa, il porpora, il violetto, il giallo sono quelli preferiti, ma non mancano soluzioni diverse.

Gli alti e i bassi di Allium

Una prima facile forma di differenziazione, sia pure empirica, fra le centinaia di specie che compongono il gruppo, ci viene offerta dall’altezza delle piante, che infatti può variare fra i pochi centimetri, ad esempio, di A. akaka, e i 150 cm di A. aflatunense. In genere, tuttavia, l’altezza media delle specie più comuni si colloca fra i 25 e i 60 cm. Partendo da questo primo dato e prendendo poi in considerazione anche altri fattori – quali la rusticità, il colore dei fiori, l’epoca di fioritura, e così via – sarà quindi possibile operare una scelta per un corretto impiego in giardino o in contenitore. Se siamo alle prime armi come giardinieri, sarà bene iniziare la nostra esperienza con le specie più ‘facili’ e anche meno costose. Nelle bordure miste e inondate di sole potremo avvalerci di A. sphaerocephalum (capolino rosso-violetto scuro; altezza sui 60 cm), A. aflatunense (capolino gigante rosa-violetto; 75-150 cm), A. flavum (giallo con fiori campanulati; 10-30 cm), A. cernuum (capolini penduli rosa-violetto; fino a 45 cm), A. schoenoprasum o erba cipollina (capolini rosa scuro; altezza variabile secondo le varietà, ma non più di 60 cm). Negli angoli più umidi dei nostri giardini oppure fra gli arbusti, faremo i nostri primi passi con una delle specie più belle, oltretutto carica di reminiscenze storiche perché conosciuta e usata fin dai tempi di Omero: A. moly, dai capolini giallo intenso.

Quando la nostra competenza si sarà rafforzata, indirizzeremo i nostri interessi verso le specie di taglia bassa da giardino roccioso, a condizione che per tutte loro avremo predisposto un suolo perfettamente drenato: in caso contrario andremo incontro a mortificanti delusioni. Si può iniziare da una specie abbastanza conosciuta e diffusa, anche se di origine asiatica, A. karataviense (fiori da bianco a rosa-violetto; altezza 10-25 cm) con cui è possibile, fra l’altro, creare basse bordure che delimitano i piccoli sentieri del nostro giardino alpino. In questo ambiente – per sua natura ampiamente cosmopolita, con una ricca varietà di piante d’ogni tipo e provenienza – potremo inserire non solo specie esotiche, ma anche nostrane. Accanto ad A. sikkimense (Himalaya; fiori campanulati e penduli azzurro-violetti; 10-40 cm), ad A. lemmonii (California; bianco-rosa; 10-20 cm) o ad A. paradoxum (Caucaso; bianco-verde; 15-30 cm), potremo inserire il mediterraneo A. triquetrum (il ‘fantasma’ di Farrer, candido e alto fino a 30 cm) o l’ubiquitario A. senescens (detto anche A. lusitanicum; lilla; 7-60 cm).

A questo punto del nostro lungo viaggio fra gli Allium, saremo in grado di arricchire le bordure del giardino con specie sempre più impegnative, non tanto per eventuali difficoltà di coltivazione, quanto per un inserimento sempre più mirato ed oculato. Nel cosiddetto primo piano, metteremo a dimora specie basse, come le insolite A. caesium (azzurro-viola; 25-50 cm) e A. caeruleum (di uno splendido azzurro, ma con altezza variabile fra i 20 e i 70 cm). Se vorremo stupire i visitatori e in pari tempo risparmiare sui costi, ci serviremo del comunissimo aglio (A. sativum), che peraltro possiede bianche infiorescenze globose di ottimo effetto decorativo. A causa della sua altezza (fino a 90 cm) verrà inserito fra le piante di secondo – ma a volte anche terzo – piano del border insieme con altre specie, come A. tuberosum (bianco-verde; fino a 60 cm), A. christophii (viola-purpureo, fino a 50 cm, con capolini che raggiungono i 30 cm di diametro)  o A. scorodoprasum (lilla-viola; fino a 90 cm). L’ultimo piano, quello che fa da sfondo, sarà invece il regno di quegli A. che in Inghilterra sono chiamati, con efficacissima immagine, ‘drumsticks’ (bacchetta di tamburo). Sono le specie più alte ed appariscenti: A. aflatunense (violetto con vena scura; fino a 150 cm), A. macleanii (viola scuro; attorno ai 100 cm), A. rosenbachianum (viola scuro; fino a 100 cm), A. stipitatum (lilla pallido, a volte bianco; fino a 150 cm) e l’eccezionale A. giganteum, che in particolari condizioni arriva a toccare i 180 cm.

Il nostro genere è così vasto da poter soddisfare esigenze ambientali molto differenziate, tanto da giustificare l’esistenza di un gruppo di A. in grado di prosperare anche su terreni umidi o comunque in aree soggette a forte piovosità. In questo caso, sempre evitando in modo assoluto i ristagni d’acqua, faremo ricorso ad A. validum (bianco-rosa; 50-100 cm), A. plummerae (bianco-rosa; 30-50 cm), A. angulosum (bianco-lilla; fino a 40 cm). Se vogliamo ricoprire interamente un sottobosco piuttosto ombreggiato e umido, perché non pensare al comunissimo A. ursinum (bianco; fino a 50 cm) che ha un fogliame copioso e lussureggiante in primavera, ma che poi scompare in estate?

Quando il problema di un appassionato di piante è quello di non possedere un giardino, ma solo un balcone o una veranda, gli A. provvedono alla necessità mediante specie idonee, dotate cioè di foglie ornamentali, ancor più che non di fiori. In questo caso la lista comprende alcune piante che abbiamo già conosciuto (A. karataviense, A. sikkimense, A. paradoxum) e che aprono la via a molte altre di pari effetto: A. mirum, A. schubertii, A. hyalinum, A. dichlamydeum, A. acuminatum, A. pallens, A. virgunculae.

Coltivazione

A fronte di un genere tanto vasto, costituito da centinaia di specie provenienti da ogni parte della terra e da habitat molto differenziati, è difficile fornire consigli colturali univoci. Va tuttavia osservato che gli A., sotto questo profilo, si possono suddividere in due gruppi. Il primo è formato da quelle specie che hanno bulbi molto evidenti e che quindi vanno acquistati e messi a dimora in autunno. Le piante si sviluppano da ottobre alla primavera, per poi scomparire dopo la fioritura, in estate: è in questo periodo che i bulbi andrebbero tolti dal terreno, anche se molti preferiscono lasciarli indisturbati almeno per qualche anno. Essi vanno piantati a una profondità 3-4 volte superiore al loro diametro. Le piante provviste di rizomi, invece, oppure dotate di bulbi cilindrici o appena accennati a forma di bottiglia, non vanno toccate: esse sono in riposo durante l’inverno e si sviluppano in estate. Gli A. generalmente gradiscono un terreno molto ben drenato, in ambienti soleggiati (tranne piante affini ad A. ursinum), ma le specie estive esigono una certa umidità durante il periodo di crescita. Infine, va ricordato che le piante giganti in molti casi devono avere l’aiuto di un sostegno,

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