









































Tutti siamo d’accordo nell’ammettere che, parafrasando un celebre verso del poeta latino Giovenale, la rosa merita il massimo del nostro rispetto e quindi va utilizzata in modo da consentirle di esprimere il meglio di sé, avendo tutte le condizioni per dispiegare tutto il suo formidabile potenziale di fascino e di seduzione. Forse è proprio per questo motivo, determinato dalla naturale signorilità che contraddistingue questo fiore, che chiunque si proponga di trattare l’argomento, senza essere stato legittimato da un patentino di ‘esperto ufficiale’ di rose, deve muoversi con cautela per non rischiare d’incorrere in banalità, ripetizioni o peggio. Se una volta tanto mi è concesso parlare in prima persona, ammetterò senza indugio che quel patentino non sono mai riuscito a conseguirlo, forse perché intimorito dall’autorevolezza di personaggi di grande calibro (penso a uno Stelvio Coggiatti, a un Guido Piacenza, a un Libereso Guglielmi, per non dire di un Peter Beales, citando solo alcuni nomi, nella speranza che gli altri non me vogliano) che alla rosa hanno dedicato studi e passione, con anni spesi sì a ripassare la teoria, ma soprattutto a conoscere, osservare, sperimentare. Cosa potrà mai dire di nuovo un neofita della rosa come il sottoscritto, che di questa pianta ha una conoscenza quasi solo poetico-letteraria oppure vagamente mistica, legata cioè a quegli anni ahimè lontani, in cui la festa del Corpus Domini veniva celebrata con processioni che si snodavano tra nuvole d’incenso e di petali profumati? Eppure, sapendo un po’ di botanica e senza alcuna pretesa di novità, sarà forse utile, ancora una volta, riprendere il discorso partendo dalle origini, vale a dire dalle forme naturali in cui, qua e là nel mondo, la rosa nasce, vive e muore, lasciando dietro di sé una magia che poche altre piante possiedono.
Una riscoperta novecentesca
Se abbiamo parlato di “naturale signorilità” non era per usare una figura retorica, ma davvero perché questa è la principale virtù della rosa, che si esprime sempre con grazia e garbo, senza mai annunciarsi in modo clamoroso, pur avendo tutto ciò che sarebbe necessario per imporre un primato da tutti riconosciuto. Ma se accettiamo che in questa definizione si concentra la nozione di signorilità, va pure ammesso che essa si sposa perfettamente con quella di naturalità, in linea con le tendenze di oggi, non solo in tema di piante ornamentali. In fondo, lo sappiamo, cos’altro sono le “mode”, se non una serie di comportamenti della comunità in relazione ai gusti e al pensiero dominante del momento? Così è stata e continua ad essere anche la voga dei fiori “del secolo”. Per fare qualche esempio, se identifichiamo la società del Seicento con il concetto di “barocco”, quale simbolo vegetale migliore di un narciso o di un giaggiolo? E il bivalente Settecento – impregnato in pari tempo di effimero e di illuministico – trova forse emblemi migliori del papavero e del caprifoglio? L’Ottocento, poi, letteralmente invaghito di ansie di libertà e di camelie, sembra il perfetto contrario del nostro Novecento (eh sì, aspettiamo per ora a parlare di Duemila, perché siamo tutti imbevuti di Novecento puro), secolo quanto mai tormentato nei suoi ideali, ma sostanzialmente teso alla ricerca delle radici e quindi della semplicità “di una volta”. In questo senso, da molto tempo ormai, la rosa è il suo e quindi il nostro fiore. Anzi, negli ultimi anni, si sta solidamente affermando il gusto della rosa più semplice, la rosa selvatica, quella che era amata perfino dai nostri progenitori Romani di epoca pre-imperiale, quando di giardini ornamentali neppure si parlava e l’orto era il vero “giardino”.
Nel luogo della rosa
Una prima sorpresa, parlando rose selvatiche, s’incontra nell’apprendere che in fondo non sono poi così numerose, non più di 150 specie spontanee, una bazzecola in confronto alle migliaia e migliaia di ibridi e cultivar creati dall’uomo nel corso di un paio di millenni. Il loro areale si estende per l’intero emisfero boreale della Terra, nelle zone temperate e temperato-calde, per poi scendere giù fino all’Africa del nord, alla Tailandia e al Nuovo Messico, toccando il loro punto più meridionale con l’India del sud. Al contrario, non troviamo rose nell’emisfero australe, dall’America del sud all’Oceano Pacifico. Le zone di concentrazione più elevata sono in Cina (spesso in testa alla classifica per numero di specie di molti generi botanici), nell’Asia centrale e in Europa, mentre l’America settentrionale è la patria di una ventina o poco più di specie. Per limitarci al nostro continente va detto che la dotazione è abbastanza consistente, soprattutto nei gruppi della Rosa canina e della R. rubiginosa. Insomma, gli europei possono contare su una cinquantina di specie, vale a dire un terzo del totale, mentre il nostro Paese ne vanta circa venticinque.
Per quanto riguarda gli habitat, le rose gradiscono luoghi impervi e inospitali, come i cespuglieti, le siepi o l’intrico delle boscaglie, pur non disdegnando le rive dei torrenti e i margini dei boschi.
(Non) c’è rosa senza spine
La storia della coltivazione rosa è talmente antica, che oggi è perfino difficile capire se una specie, da noi casualmente rinvenuta durante una passeggiata, sia realmente spontanea o meno. Inoltre, riuscire a classificare con certezza una rosa selvatica, in natura e non in vivaio, è un compito tanto arduo che è preferibile lasciarlo ai botanici professionisti, mentre a tutti gli altri si può solo consigliare di godersi la visione degli esemplari spontanei, senza troppo fidarsi dell’immaginazione o delle figure dei libri divulgativi. Ciò è tanto vero che non è infrequente sentir dire da persone anche colte frasi come questa: “Io ho molti ibridi di ‘Tea’, di ‘Moschata’, di ‘Bourbon’, ma anche qualche rosa spontanea, che sicuramente sarà la R. canina“, come se tutte le rose selvatiche si chiamassero così. Ovviamente, con il tempo e la costanza, chiunque può imparare a distinguere questa da quella specie, ma la fatica non sarà poca. Insomma: se ne vorremo qualcuna in giardino, la guida migliore sarà il vivaista di nostra fiducia.
Al contrario, ci sarà di conforto il fatto che una rosa, in quanto tale, non può essere confusa con altre piante, come invece capita, e spesso, con famiglie diverse da quella delle Rosacee. Le rose si presentano sempre sotto forma di arbusti, perlopiù decidui e solo raramente sempreverdi, con fusti che, a seconda dei casi, possono essere eretti, arcuati, striscianti o, meno comunemente, rampicanti. Le spine – contrariamente a quanto sostiene un famoso proverbio – non sempre sono lì, pronte ad attendere il nostro dito, perché alcune specie ne sono prive. Le foglie sono alterne e composte, formate da un numero dispari di foglioline dentate ai margini. I fiori sono solitari o in corimbi, con corolla semplice e quasi sempre a 5 petali (tranne R. sericea che talvolta ne ha 4), in una gamma di colori che va dal bianco al crema e dal giallo al rosso, con numerosi passaggi intermedi. Bellissimi e curiosi sono poi i frutti – detti tecnicamente cinorrodonti – notevolmente ornamentali anche in inverno e ricchissimi di sostanze vitaminiche.
Rose italiane
Va subito chiarito che il termine “italiane” non significa “solo italiane” bensì ‘spontanee anche in Italia’, oltre che in altri Paesi. Alcune di loro sono molto famose, come la già citata R. canina, che in effetti è la più comune fra le nostre rose, ma anche la più variabile, tanto che il botanico Pignatti non la considera propriamente una “specie”, quanto un “complesso di forme probabilmente ibridogene”. Alcuni scienziati, addirittura, hanno riconosciuto l’esistenza di almeno 100 varietà ‘naturali’, il che fa sospettare un intervento dei lontani coltivatori Romani o dei loro successori su questo fiore dai petali bianco-rosei. Più o meno nel medesimo habitat (boschi di conifere), ma a quote più elevate, si trova un’altra specie molto comune, R. pendulina, che spesso è possibile distinguere dalla precedente perché ha petali assai più scuri, quasi rossi. Ancora più scuri sono i fiori di R. villosa, che però frequenta luoghi più aridi e aperti, come i pendii e i cespuglieti. Una specie di taglia nettamente bassa – alta fino a 30 cm – è R. arvensis, comune in tutta Italia, ma assente in Sardegna: belli i suoi petali bianco-giallastri a volte striati di rosa. Addirittura celebre presso gli ibridatori è R. pimpinellifolia, che si avvale di fiori bianchi non particolarmente vistosi, ma che si ibrida facilmente con altre specie, offrendo ghiotte opportunità per chi vuole effettuare incroci. Uguale destino ha avuto R. gallica, che oltretutto è ben riconoscibile fra tutte perché possiede fiori roseo-porporini grandi fino a 9 cm di diametro. Non meno singolare è R. glauca, che ha il suo areale sulle montagne centro-europee, ma che a sud arriva fino ai Pirenei e addirittura al nostro Abruzzo; alto fino a 3 m, questo arbusto è caratterizzato da fusti di colore verde-azzurrognolo e bellissime foglie di uguale tonalità sulla pagina superiore, un po’ più pallide sotto.
Rose europee
Il patrimonio di rose posseduto dal nostro continente annovera, oltre a quelle sopra elencate, diverse altre specie, molte delle quali però non sono ritenute degne di essere ammesse nella cerchia delle piante da giardino. Un secondo gruppo è costituito da specie (come R. foetida e R. rugosa) che, introdotte da altre aree del mondo per essere coltivate da noi in giardini e parchi, si sono ben acclimatate, diffondendosi anche fra le piante spontanee ed entrando di prepotenza nel novero della flora europea con il brutto nome di ‘naturalizzate’. Un accenno particolare merita R. moschata, che è attualmente sconosciuta in natura, ma che si è ampiamente diffusa nel sud europeo e in Asia, dando poi origine a splendidi ibridi, grazie alla sua robustezza, al fatto di essere semi-rampicante e ai suoi fiori bianco-crema raccolti in gruppi, dal forte sentore di muschio. In alcuni casi, si è assistito alla nascita di ibridi naturali oppure di non ben definita origine antropica, come è accaduto per R. x alba (forse R. gallica x R. arvensis), un ampio arbusto dai rami arcuati, ricoperti di bianchi fiori semidoppi o doppi. Un altro ibrido dalle origini oscure è costituito da R. x richardii, un basso cespuglio dai rami che si allungano orizzontalmente, con moltissimi fiori singoli di un bel rosa pallido. Fra le specie europee d.o.c., invece, una spicca su tutte le altre, per bellezza, rusticità e disponibilità a farsi coltivare per motivi ornamentali. Si tratta di R. acicularis, che vive nel nord-est del continente, con qualche puntata a est in Russia e in direzione sud fino all’Austria; alta fino a 1 metro, è dotata di lunghe spine e di fiori solitari dolcemente profumati, a corolla roseo-violetta.
Rose americane
Si tratta di un gruppo relativamente modesto sotto il profilo numerico, ma dotato di alcuni “acuti” notevoli e, come ha giustamente sottolineato il Beales, con “la grande prerogativa di un fogliame autunnale ricco di tonalità”. Negli stati centro-orientali degli U.S.A. vive R. carolina, dai fusti snelli e diritti e dalle foglioline ovato-lanceolate; i suoi fiori sono solitari o a piccoli gruppi, non molto grandi e delicatamente rosati. Ancora ad est, in aree paludose o comunque umide, alligna R. palustris, provvista di notevolissime spine, di fiori in gruppi di colore rosa scuro che danno vita a frutti sferici rosso vivo. Sull’altra sponda oceanica, dall’Arkansas alla California, nasce invece R. nutkana, una pianta molto robusta con fusti violacei alti fino a 3 m; i suoi fiori, larghi fino a 7 cm, esibiscono un vivacissimo rosso fuoco, che però alcune volte si smorza nel viola o addirittura nel bianco. Alcuni Stati sudorientali (New Mexico, Texas) ci propongono R. stellata, detta ‘rosa del deserto’, alta non più di 120 cm, con fiori solitari del diametro di 6 cm, con petali che vanno dal rosa intenso al rosso-violetto. Una sua caratteristica è quella di possedere fino a 160 stami, che si riducono di numero nella varietà naturale R. s. mirifica. Un’ultima specie è davvero importante nella storia delle rose da giardino: è R. virginiana, forse la migliore come pianta autunnale, grazie al giallo brillante che assume il fogliame prima di cadere.
Rose asiatiche e cinesi
E’ il gruppo più numeroso e potente, ricco di specie magnifiche sotto il profilo estetico, ma in pari tempo rustiche e generosissime nella fioritura. I due pezzi da novanta sono indubbiamente R. banksiae e R. chinensis, cinesi, da sempre richiestissime in tutti i mercati per la loro eleganza, ma anche perché molto flessibili e rustiche in coltivazione. La prima è una vera rampicante, con fusti che si allungano fino a 12 m, generalmente privi di spine, con fioriture abbondantissime e profumate ma non rifiorenti. Le foglie sono sempreverdi, formate da foglioline piccole e oblungo-ovate, mentre i fiori, a corolla semplice nella forma normalis, sono doppi, odorosissimi e bianchi nella varietà banksiae, che è dotata di spine ad uncino. Inoltre essi possono variare secondo le cultivar: ‘Lutea’ ha fiori doppi, gialli e leggermente profumati, mentre ‘Lutescens’ li ha pure gialli, ma semplici e molto profumati. La fama di R. chinensis si è ancor più allargata, dopo essere stata introdotta in Europa verso i primi dell’800, riscuotendo un consenso sempre più convinto, anche per la fioritura che dura da maggio a novembre. In natura può presentarsi sia come piccolo arbusto, sia sotto forma di semi-rampicante che tocca i 6 m d’altezza. I fusti sono pressoché privi di spine, mentre i fiori a corolla semplice sono solitari o a piccoli gruppi, spesso profumati, del diametro di 5 cm. Il colore dei petali, solitamente caratterizzato da un tenue violetto virante al cremisi, assume una caratteristica ‘volubilità’ nella cultivar ‘Mutabilis’, poiché trascolora in pochi giorni dal giallo aranciato al salmone ramato per terminare in un intenso violetto. L’incanto di queste due specie non può però oscurare i meriti di molte loro consorelle cinesi: R. brunonii, assai vigorosa e ramificata, semi-rampicante, con fiori bianco-crema; R. elegantula, con fusti quasi privi di spine, foglie verde glauco, fiori piccoli bianco-rosa; R. filipes, che si arrampica fino a 9 m oppure rimane arbusto con rami arcuati, interamente inondati di fiori a mazzi di 30 cm e più, che poi danno vita a frutti non meno decorativi; R. laevigata, anch’essa rampicante, con foglie sempreverdi e fiori solitari, profumati, bianco-crema; R. longicuspis, famosa per le sue pannocchie ricadenti di fiori bianchi che danno frutti non meno interessanti; R. prattii, con fusti eretti e fiori di un rosa intenso; R. roxburghii, dai fiori doppi, rosa scuro nel centro; R. sweginzowii, dai bellissimi e sorprendenti frutti a forma di bottiglia; R. xanthina, una delle più belle rose dai fiori gialli, semidoppi nella specie-tipo e semplici nella forma hugonis.
A tutte queste vanno sommate altre specie asiatiche di particolare impatto, come le già citate R. foetida – con fiori di un giallo intenso nella specie-tipo, ma con corolle rosse e gialle sulla stessa pianta in ‘Bicolor’ – e R. rugosa, una delle più rustiche, con fiori rosso-porpora e frutti globosi rosso-arancione. Di grande interesse anche R. sericea (fiori anche a 4 petali, bianco-crema), una cui forma naturale, R. s. ssp. omeiensis f. pteracantha, produce spine ornamentali, rosse, lunghe fino a 2 cm e larghe anche 4 cm alla base.
Altre specie si sono ibridate fra loro, creando nuove piante che si sono poi dimostrate importantissime nella storia della coltivazione, come: R. x micrugosa, rosa chiaro; R. x paulii, bianca e profumata; R. x damascena (R. gallica x R. moschata), che ha fiori rosa scuro, semidoppi e profumati, i quali in una varietà naturale ( R. x d. var. semperflorens) fioriscono anche in autunno.
Le misteriose
C’è un gruppo di rose, trovate in natura, la cui origine vera è avvolta nel mistero. Ad esempio, R. ‘Cantabrigiensis’, rinvenuta nel 1931 presso l’Orto Botanico di Cambridge, è un arbusto molto robusto, con fiori gialli profumati e frutti rosso-arancione: quasi certamente si tratta di un ibrido, ma nessuno ne conosce la genesi. Di provenienza del tutto ignota è invece R. ‘Canary Bird’, anch’essa dai fiori gialli che l’avvicinano molto a R. xanthina. Invece R. ‘Betty Sherriff’ fu raccolta tra Bhutan e Tibet dalla signora cui venne poi dedicata: è una rampicante che tocca anche i 6 m d’altezza, simile sia a R. longicuspis sia a R. filipes.
Coltivare le rose
Le rose ‘botaniche’, come talvolta vengono chiamate le specie selvatiche, hanno quasi sempre corolle semplici e in genere non tornano a produrre nuovi fiori dopo la prima fioritura, a parte le eccezioni di cui s’è detto. Molto belli sono spesso i frutti (cinorrodonti), che in inverno costituiscono un motivo d’attrazione tutt’altro che trascurabile.
La coltivazione di una rosa non è un’operazione difficile, ma deve seguire alcuni criteri che qui sintetizziamo.
1- E’ meglio acquistare le piante a radice nuda, ma ciò non significa che quelle in vaso siano da scartare
2- La distanza d’impianto va calcolata in proporzione alle dimensioni che avranno da adulte: in genere, non meno di 50 cm.
3- Il terreno, in genere, deve essere neutro, ma una certa tendenza al calcareo o, viceversa, all’acido non deve preoccupare. Troppo acido invece non va bene.
4- Un ottimo drenaggio è assolutamente indispensabile, altrimenti non cresceranno o moriranno.
5- Quasi tutte le rose vogliono una buona insolazione; si evitino i luoghi troppo ventosi.
6- Si pianti solo quando il terreno è asciutto e disgregabile: le rose non amano né l’eccessiva sabbia né il suolo argilloso. In casi estremi il terreno va modificato o corretto.
7- Il terreno deve essere fertile, perciò se è povero va arricchito con concime organico e inorganico, ma il letame deve essere ben maturo.
8- Il sito d’impianto va preparato molto tempo prima; la buca deve essere circolare, più larga delle radici e profonda circa 30 cm; al centro va posto un mucchietto di terra sul quale si disporranno le radici in modo regolare e delicato, senza forzarle; il punto d’innesto si deve trovare appena sotto il livello del terreno.
9- In alcuni casi la rosa va accompagnata da un sostegno; poi si chiude la buca pressando bene il terreno.
10- Le annaffiature devono essere abbondanti soprattutto in primavera-estate; una buona pacciamatura servirà a tenere fresco il suolo e a limitare le infestanti che comunque vanno eliminate
11- Le concimazioni sono molto utili dalla primavera in avanti, soprattutto in giugno durante il massimo della fioritura; il fertilizzante adatto (che contiene soprattutto potassio) deve agire lentamente, quindi va cosparso sul terreno.
12- La potatura è l’operazione meno facile e va fatta da personale esperto. Si tengano però presenti alcuni principi di base. In primo luogo è necessario sapere in quale punto la pianta produrrà i fiori, il che, per le rose selvatiche, avviene sui rami dell’anno precedente, contrariamente alla maggior parte delle rose, che fioriscono sui rami dell’anno. La potatura va effettuata quindi subito dopo la fioritura, non prima. I rami più grossi vanno accorciati nella porzione superiore, là dove esso incomincia a lignificare. Inoltre, vanno eliminati tutti i rami danneggiati, i germogli deboli e i capolini appassiti.
13- Va ricordato infine che le rose sono attaccate da molti patogeni (afidi, bruchi, ragnetto rosso, mal bianco, ticchiolatura), ciascuno dei quali va combattuto con gli appropriati mezzi chimici o con una miscela di prodotti sia insetticidi sia fungicidi.