Pieris

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Se si è alla ricerca di una pianta legnosa che sia in grado di riassumere tutte le qualità e i pregi desiderati da un giardiniere pretenzioso, il consiglio è immediato: acquistate o regalate un esemplare di Pieris e vivrete tutti felici. Pochi altri arbusti possiedono le sue virtù: pianta dal portamento aggraziato e regolare che rimane tenacemente sempreverde per tutti i mesi dell’anno, ha un fogliame di rara eleganza e a fine inverno produce spettacolari grappoli di fiorellini curiosamente disegnati, mentre in primavera spesso emette getti di nuove foglie fiammeggianti, senza richiedere particolari cure. Per queste e per altre ragioni, le Pieris si stanno facendo largo fra numerose concorrenti, specialmente quali compagne di viaggio di altri generi che amano i terreni acidi (rododendri, azalee, camelie e Leucothoë), con cui condividono sia le origini geografiche sia le analoghe condizioni ambientali. Dunque, Pieris è un’eccellente pianta da fiore e da foglia, che sa svolgere compiti di natura strutturale ed architettonica, ma che in pari tempo si esprime con un affascinante apparato decorativo. Con le loro fioriture e soprattutto con i loro spettacolari colori, che talvolta si possono replicare in tarda estate, le P. si prestano a formare macchie arbustive vivacissime negli angoli meno attraenti e più cupi del giardino: anzi, il modo migliore di valorizzarle è proprio quello di anteporle a specie dal colore scuro.

 

In breve

Tipo di pianta: Arbusto-alberello sempreverde

Famiglia: Ericaceae 

Parenti stretti: Erica, Enkianthus, Andromeda

Dimensioni massime: arbusti nani: 50 x 60 cm; alberelli 5 x 5 m

Portamento: Cespuglioso-eretto

Foglie: alterne, lanceolate, lucenti

Colore foglie: Grigio-verde, ma anche rosso fiamma nei nuovi getti

Fiori: a forma di orciolo, bianchi, rosa, rossi.

Rusticità in Italia: ottima

 

Poche ma ottime  

Agli inizi dell’Ottocento, quando i botanici avevano incominciato a occuparsi di queste piante, si pensò di aggregarle nel medesimo genere, che già era stato fondato da Linneo con il nome mitologico di Andromeda. In seguito, però s’iniziarono ad operare delle distinzioni, così che da quel vasto genere ne sortirono diversi altri, quali Enkianthus, Cassiope, Zenobia, Leucothoë e, non ultimo, Pieris, creato dal botanico inglese David Don, che pure s’affidò a una denominazione mitologica, dedicando il genere alle Muse o Pieridi. Il gruppo delle Pieris non si è ingrandito molto dal lontano 1812, quando tra la Virginia e la Georgia fu rinvenuta la prima specie, poi chiamata P. floribunda. Alcune specie, con il passare del tempo, hanno preso altre strade, altre sono state riconosciute come varietà o sottospecie, altre infine sono ancora sotto esame. Al momento si può dire che il genere è composto da sette specie, di cui solo due (con le relative varietà naturali) sono ritenute degne di una coltivazione a scopo ornamentale. Poche, ma ottime, anche perché esse negli ultimi anni hanno consentito ai ricercatori e ai vivaisti giapponesi, statunitensi e neozelandesi d’impegnarsi in una fruttuosa messa a punto di numerose cultivar, una più bella dell’altra.

 

Un po’ di botanica 

Da un punto di vista botanico, le P. si differenziano dal genere più vicino, che è Andromeda, soprattutto per il fatto di avere foglie con margini dentati e con pagine inferiori non biancastre. Nel senso più lato, le P. sono arbusti o alberelli sempreverdi, con rami affusolati, corteccia grigio-marrone e striata longitudinalmente. I nuovi getti spesso sono tinti di rosso o di bronzo; le foglie sono alterne, dentate ai margini, un po’ cuoiose e con peli sparsi. I fiori, quasi sempre un po’ profumati, sono riuniti in racemi o pannocchie, terminali o ascellari: ciascuno di loro ha una corolla normalmente bianca e a forma di piccolo orcio, con cinque lobi sovrapposti fra loro.

 

Pieris japonica e soci

Le due specie principali sono P. japonica e P. formosa. La prima, proveniente da Cina, Giappone e Taiwan, fu descritta per la prima volta nel 1784, ma riuscì ad entrare in coltivazione solo nel 1870. Alta fino ad un massimo di 3-4 metri, P. japonica ha foglie alterne o verticillate, strette e lunghe una decina di cm, di un verde scuro e lucido, sempre più cuoiose con l’età, con i margini sono finemente dentellati solo nella metà superiore. Le infiorescenze, spesso già pronte a fine inverno, sono ascellari e pendule, a pannocchia o anche a racemo, lunghe una quindicina di cm. I fiori hanno una corolla bianca o lievemente soffusa di rosa, a forma cilindrica o urceolata, larga non più di 8 mm. Inserita in giardino, questa specie mostra un portamento assai denso e compatto, con un’altezza e un’ampiezza variabili fra i 2 e i 3 metri. Ora i botanici tendono a ricondurre alla specie-tipo alcune popolazioni provenienti dall’isola di Taiwan e dalle isole giapponesi Ryukyu, che in passato furono ritenute meritevoli di assurgere al grado di specie. Fra loro c’era anche P. taiwanensis, che invece oggi è considerata una cultivar di P. japonica. Sotto osservazione è anche P. yakushimensis, che da alcuni scienziati è considerata una varietà naturale di P. japonica, con infiorescenze particolarmente ricche, pendule o erette. Le migliori cultivar di P. japonica (oltre 40) sono state ottenute in Olanda, Gran Bretagna e U.S.A.. e oggi sono tra le forme maggiormente richieste sul mercato. Fra quelle a fiori bianchi primeggia ‘Purity’, un arbusto compatto, più largo che alto, importato in Europa da un famoso orticoltore giapponese, Wada, con l’intento di arricchire le forme a fioritura tardiva. Una seconda cultivar a fiori bianchi, oggi ben affermatasi anche in Italia, è ‘Débutante’, la cui fortuna è legata, a parte i magnifici racemi candidi, dal suo portamento nano, indicatissimo per i piccoli giardini o addirittura per i rocciosi. Sono tuttavia le cultivar a fiore rosa o rosso quelle più sorprendenti, come ‘Valley Rose’, con fiori appena rosati se in boccio, più striati di scuro qualche giorno dopo, e ‘Flamingo’, dalle infiorescenze ancora più rosse e dal portamento piuttosto basso, data la crescita lenta della pianta.

 

 

Pieris formosa non è da meno

La seconda specie, P. formosa, scoperta agli inizi dell’Ottocento sulle montagne himalayane orientali, fu forse introdotta in Occidente da J. Hooker nel 1850. Le differenze tra questa pianta e P. japonica non sono così evidenti, ma importanti: foglie dentellate su tutto il margine e lunghe anche il doppio, fino a 20 cm. L’infiorescenza è di norma un racemo terminale, lungo fino a 15 cm, leggermente profumato, con fiori a corolla bianca e dalle dimensioni piuttosto variabili. Ciò che caratterizza maggiormente questa specie, tuttavia, è il fatto di avere giovani getti il cui colore varia fra un cupo bronzo-rame e un brillante rosso intenso, proprio mentre la pianta è in fioritura. La varietà naturale forrestii – quella scoperta nel 1904 da George Forrest ad un’altitudine di 3000 metri – è ancora più attraente, con getti di un incredibile rosso, che si mantengono tali anche dopo la fioritura, così che molti la prediligono proprio per questa sua dote. E non basta, perché una cultivar di P. f. var. forrestii forse supera tutte per la vivacità cromatica del fogliame. Si tratta di ‘Wakehurst’, che fa quasi passare in secondo piano i suoi racemi, con un’esplosione, in maggio, di getti: si passa da un iniziale scarlatto a un rosa salmone, per arrivare al giallo e infine al verde.

 

Coltivazione

Clima: il nostro Paese non riserva molti problemi alle P., che tuttavia non sono completamente rustiche, temendo soprattutto le gelate primaverili; P. formosa è la più delicata, sopportando temperature fino a –10°, mentre P. japonica arriva a –20°. In ogni caso è consigliabile cercare di proteggere il giovane fogliame, almeno nelle aree a clima freddo.

Terreno : trattandosi di Ericacee, le P. hanno necessità di un terreno privo di calcare, acido, ricco di humus e di materiale organico decomposto; il suolo comunque deve essere anche ben drenato, ma sempre un po’ umido, altrimenti in autunno i racemi nuovi possono cadere ai primi geli.

Esposizione : per proteggerne le radici, come si fa con i rododendri, è meglio sistemarle in mezz’ombra, dove oltretutto le foglie saranno ancora più belle; i fiori, invece, preferiscono il sole per esprimersi al meglio.

Moltiplicazione: si possono ottenere nuove piante da seme, ma è consigliabile ricorrere alle talee, fatte con legno semi-maturo e prelevate in agosto. In primavera, le talee radicate si piantano in vasetti di 8 cm, mentre in ottobre si trapiantano in vivaio, dove resteranno per 2-3 anni. Un altro sistema, specialmente con P. japonica, è quello di fare propaggini nel mese di settembre.

Messa a dimora e cure: è molto importante eliminare i getti danneggiati dal gelo prima possibile; altrettanto utile sarebbe tagliare i racemi dopo la fioritura. Gli esemplari più vetusti possono essere ringiovaniti, eliminando un paio di rami vecchi una volta all’anno.

Malattie: alcuni funghi, come Phytophthora, sono i peggiori nemici dell’apparato radicale delle P. e purtroppo sono spesso incurabili, sempre che non si riesca ad intervenire ai primissimi sintomi.

 

 

Ibridi infuocati

Non mancano ovviamente ibridi creati tramite incroci fra le due specie regine o loro varietà. La più conosciuta è forse ‘Forest Flame’, un arbusto compatto, eretto, vigoroso, alto circa 3 metri o più a maturità, con fioriture profumate fra aprile e maggio e soprattutto con getti dapprima rosa-scarlatto, poi quasi bianchi e alla fine verdi. Per chi ama le piante variegate, invece, ecco P. j. ‘Variegata’, una cultivar giapponese di almeno 130 anni fa, piuttosto compatta, con foglie bordate con strisce irregolari di colore giallo-crema, come la nana e utilissima ‘Little Heath’. Assai più recente è invece ‘Flaming Silver’, che nasce da ‘Forest Flame’ e da ‘Wakehurst’ e che sfoggia giovani foglie rosso brillante, poi rosa e infine verdi, con un margine bianco-crema.

 

Dove acquistarle

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