Pelargoni odorosi

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Una volta tanto è meglio iniziare il discorso non con le esaltazioni di prammatica, ma con alcuni giudizi personali, che il lettore avvertito può interpretare anche come una vera e propria messa in guardia. Primo: nessun pelargonio odoroso riuscirà mai ad eguagliare i suoi confratelli ‘zonali’ sul piano dell’abbondanza e della continuità della fioritura. Secondo: la piacevolezza estetica raggiunta dal fogliame e, vorremmo aggiungere, anche delle infiorescenze di moltissimi ‘zonali’ (e d’altri gruppi di pelargoni ornamentali) rimane ancora un traguardo non raggiunto dalla maggior parte degli odorosi. Punto. Ora, fissato un paio di paletti – che peraltro non intendono essere indiscutibili – ci si potrebbe chiedere per quale motivo dovremmo prendere in considerazione piante di qualità ‘inferiore’ con tutto il ben di Dio che la natura ha in serbo… Domanda non pertinente, invece, perché qui non si tratta di ‘inferiorità’ o ‘superiorità’: non stiamo assistendo ad una battaglia fra due eserciti in lotta per la supremazia, ma ad una leale collaborazione-competizione su piani distinti. Dobbiamo, questo sì, parlare di ‘differenze’! Qui sta il vero punto: i pelargoni ‘ornamentali’ sono una cosa e gli odorosi un’altra, come se appartenessero a due razze o meglio a due generi diversi. Di conseguenza, una volta accettato che è possibile ricavare benefici da entrambi, possiamo affermare che gli uni e gli altri sono ugualmente all’altezza di rendere più attraenti i nostri giardini e balconi. Per fare più bella la nostra vita.

Una partenza difficoltosa

Fra le ‘avvertenze’ iniziali non abbiamo inserito – come forse qualcuno si sarebbe aspettato – una presunta maggiore delicatezza dei pelargoni odorosi rispetto agli altri. Anche questo particolare va attentamente considerato, per non partire con il piede sbagliato, ma, come meglio vedremo nelle norme di coltivazione, è anche necessario guardarsi da pregiudizi e luoghi comuni. Si può solo anticipare che i pelargoni non sono poi così terribilmente sensibili in tema di temperature (con le dovute cautele), mentre sono sicuramente avidi di luce, luce e ancora luce. E allora, sgombrato il campo da tabù e da incertezze, entriamo nel merito e andiamo a conoscerne le doti migliori, per valutare se sia o no il caso di avviare una coltivazione di pelargoni odorosi. Noi diciamo subito che sì, ne vale la pena: una collezione, sia pur modesta, arricchirebbe in larga misura l’ambiente in cui viviamo. Ma aggiungiamo subito che coltivare queste piante è psicologicamente difficile, almeno sulle prime: un po’ come – passateci il paragone forse poco acconcio – se volessimo spronare nostro figlio a vestirsi meglio, dopo una sarabanda di jeans, proponendogli un tight. Gli ‘odorosi’, infatti, sono a nostro avviso una raffinatezza che va pregustata e soprattutto preparata interiormente; poi, quando la porta si è aperta, è facile innamorarsene perdutamente per il resto dei nostri giorni. Ancora una volta si conferma il principio che per amare bisogna prima conoscere.

Perché sì

Diciamo sì ai pelargoni profumati per un sacco di ragioni, prima fra tutte la più ovvia, legata allo straordinario armamentario di aromi che le loro foglie sono in grado di sprigionare. Gli scienziati non hanno ancora chiarito del tutto i motivi per i quali alcuni pelargoni, già in natura, dispongano di tale prerogativa in misura così elevata, anche se la risposta più logica è quella dell’autodifesa. Vivendo in aree semi-desertiche del Sud Africa, essi hanno dovuto sviluppare una sorta di protezione nei confronti degli animali selvatici, pericolosissimi per la loro sopravvivenza. La spiegazione, peraltro, non dice perché tali aromi siano così numerosi e diversi fra loro, ma tant’è: per noi amanti delle piante ornamentali è sufficiente sapere che basta una palpazione delle foglie (e talvolta anche meno) per ricevere in regalo una folata di menta peperita, di limone, d’arancio, di rosa e chi più ne ha più ne metta. Perché poi gli animaletti sudafricani siano così schizzinosi nei confronti di aromi tanto deliziosi, questo è un problema che volentieri lasciamo in dono agli zoologi! Ciò che conta, in ogni caso, è che i primi esploratori che visitarono il Sud Africa rimasero colpiti da tale fenomeno e s’affrettarono ad inviare quelle poche specie in Europa, dove gl’ibridatori provvidero subito a creare decine e decine di varietà coltivate, oggi in continuo aumento. Ma il fascino degli odorosi riposa anche sulla forma delle foglie, che in questa categoria di pelargoni è fortemente diversificata: le più classiche sono a tre o a cinque lobi, ma poi ve ne sono altre, palmate, così finemente suddivise da far pensare ad un pizzo: valga per tutti l’esempio di una specie spontanea, P. denticulatum, la cui cultivar ‘Filicifolium’ ricorda i ricami formati dal ghiaccio sui vetri. Per non dire poi delle sensazioni che esse sono in grado di dare al nostro tatto: dalla più ruvida (come P. asperum) alla più soffice (come P. tomentosum), morbida come il raso. Ed infine come non menzionare i fiori, che sono sì poco rifiorenti, ma che all’appassionato piacciono ancor più degli altri, forse perché la loro delicata struttura sembra meno artificiosa e più rispondente a ciò che la natura stessa ha creato chissà quante migliaia d’anni fa.

L’indefinibile leggerezza del profumo

A scatenare discussioni, tra persone di inclinazioni e culture diverse, non pensano solo le partite di calcio o la politica economica del governo, ma anche i giudizi personali sugli aromi. Già il confine fra “profumo” e “odore” (se non addirittura “lezzo”) è abbastanza vago: annusare le foglie di P. grossularioides, ad esempio, per alcuni è un invito a nozze, mentre per altri è come avvicinarsi ad una capra tibetana. Niente è più astratto del concetto di “profumo”, anche se tutti siamo d’accordo che uno Chanel n. 5 è meglio di un frutto marcio di Ginkgo biloba. Anche su questo punto, dunque, è d’obbligo la premessa che non tutti i pelargoni odorosi piacciono a tutti. Non solo, ma, fatti salvi alcuni aromi d’origine inequivocabile, non vi è neppure certezza circa la definizione di altri. Fra i primi vanno posti il limone, l’arancio (o, meglio, l’agrume), la menta, la rosa, la mela (o la “frutta” in generale). I secondi, invece, sono assai più numerosi e spesso – piacciano o non piacciano – non presentano caratteri chiaramente classificabili, così che un fogliame che in un catalogo è detto ricordare, ad esempio, la “cannella”, in un altro invece può essere riferito al “pepe” o ad altro. Ecco perché alcuni grandi esperti, come ad esempio l’americana Faye Brawner, preferiscono parlare d’una sola categoria di aromi che essi chiamano ‘pungenti’, in cui inseriscono tutto ciò che altri continuano a differenziare in “cannella”, “pepe”, “pino”, “melissa”, “noce moscata”, “assenzio”, “muschio”, “zenzero”, “eucalipto”, “cioccolato” e così via. Al lettore la scelta e, fatto un minimo d’esperienza, anche l’ardua sentenza.

Come usarli

Uno degli errori più comuni da evitare, nella coltivazione e quindi nell’impiego dei pelargoni odorosi, è di ritenerli tutti “piante da deserto”, dal momento che diverse specie provengono da zone aride del Sud Africa. Ciò è vero solo per alcune specie, che in qualche caso possiedono foglie un po’ profumate, ma quelli che comunemente sono oggi venduti come “gerani odorosi” sono tutt’altra cosa. Sarebbe quindi uno sbaglio madornale il privarli d’acqua, esponendoli al sole più cocente e al caldo più intenso, magari senza alcun concime. Essi, al contrario, come tutti gli altri pelargoni, richiedono annaffiature misurate, un’ottima esposizione alla luce ma non necessariamente in una situazione di tipo riarso, e anche del ‘cibo’ sotto forma di fertilizzanti. Su questa base, gli ‘odorosi’ trovano diversi tipi d’impiego, che ovviamente cambiano in relazione al clima del luogo in cui li coltiviamo. Fatto salvo l’uso tradizionalissimo dei vasi posti su davanzali e balconi, ricordiamo che i gerani stanno molto bene anche in giardino, in piena terra. Nelle aree più temperate, con i pelargoni si possono creare bordure al margine delle aiuole, possibilmente nei pressi dell’ingresso di casa, per godere del loro profumo, magari solo sfiorandoli con i vestiti, come facevano le nostre bisnonne. Nelle aree più calde, invece, si può scegliere. O metterli in terra e lasciarli diventare grandi come altri arbusti o, come al nord, coltivarli in vasi, che possiamo spostare dove meglio crediamo e con la compagnia di altre piante: gazebo, porticati, terrazzi, patio o anche la casa sono tutti luoghi ideali, purché vi sia luce. In generale, essi preferiscono un mattino ben soleggiato e un pomeriggio in mezz’ombra, anche se la regola può variare secondo il clima e secondo le caratteristiche dell’ibrido. Scoprire le condizioni ottimali per ogni pianta è un compito (e un piacere) tutto nostro.

Coltivazione

Ogni specie, ibrido o cultivar può avere particolari esigenze, che impareremo a scoprire anche da soli, osservandoli quotidianamente. Le norme di base sono le seguenti. 

Terreno e vasi. Come tutti gli altri pelargoni, gli odorosi gradiscono un terreno ben drenato, senza ristagni d’acqua, formato da una composta con sette parti di terra da giardino non troppo compatta, tre parti di torba o sfagno, due parti di sabbia da fiume, cui aggiungere del concime a lenta cessione e una manciata di calce disidratata. In alternativa, usare un comune terriccio a base di torba, cui aggiungere argilla nella misura del 15% e una parte di sabbia su tre parti di torba. Il loro pH ideale è fra 6 e 7. I vasi devono essere piuttosto grandi (diametro 25 cm), perché questi pelargoni si sviluppano in modo considerevole.

Concimazione. Una buona concimazione aiuterà la pianta a crescere, svilupparsi e fiorire, ma con i pelargoni odorosi è bene non esagerare, per non correre il rischio di “bruciare” le piante o farle “filare”. In particolare, bisogna prestare attenzione ad impiegare un concime bilanciato, e soprattutto a non eccedere con l’azoto, che può far sviluppare velocemente le foglie, ma a scapito del loro profumo.

Annaffiature. E’ vero che i pelargoni provengono da zone piuttosto aride, ma nei vasi la mancanza d’acqua li impoverisce. Viceversa, essi temono i nostri eccessi: la regola base è che è preferibile moderare la quantità d’acqua piuttosto che “annegarli”. Il ristagno d’acqua è il loro peggior nemico. Ovviamente, si bagna di più in estate, meglio di sera e mai sulle foglie. D’inverno, dopo aver ricoverato i vasi, le annaffiature si riducono drasticamente, in genere ogni dieci giorni e sempre nell’ora più calda.

Esposizione. Inverno: ovunque si trovino i nostri gerani (in piena terra o in vaso) essi hanno bisogno di luce, anche in casa, ma mai accanto ai termosifoni. Periodo caldo: ancora molta luce, ma nelle regioni meridionali, un po’ d’ombra nel pomeriggio è gradita. In ogni caso, essi non amano i venti.

Ricovero invernale. E’ il punto più delicato. In generale, i P. sono piante poco rustiche, ma se il suolo non è bagnato essi sono in grado di tollerare anche temperature rigide per alcuni giorni. In genere il termometro non deve scendere sotto lo zero: quindi in Italia, sono poche le aree tanto fortunate da consentirci di lasciarli in giardino o in vasi all’aperto, magari solo riparati da “tessuto non tessuto”. Nel centro-nord, invece, è meglio non correre rischi e portare i vasi all’interno. La scelta migliore sarebbe una veranda o una piccola serra, dove essi sopravvivono, sia pure a riposo vegetativo, sino a +2-3°C, ma anche a meno. Gli odorosi, tuttavia, si adattano benissimo anche all’appartamento, insieme con le altre piante da interni, purché si forniscano le giuste dosi d’acqua e di concime, oltre che la luce. La temperatura ideale, in casa, è di 10-16°C.

Moltiplicazione. D’estate si prelevano dai fusti alcune talee apicali di 8-10 cm e le s’immerge in un vasetto con ormoni radicanti. Quindi si piantano le talee in un miscuglio di torba e sabbia non fine, in parti uguali, interrandole fino alle foglie più basse. Si fanno poi radicare, in mezz’ombra e a 18°C, fornendo adeguata umidità. Quando hanno attecchito (dopo un mese e mezzo), vengono poste individualmente in vasi riempiti con composta sopra indicata.

Malattie. Sono piante che non s’ammalano facilmente. Bisogna solo guardarsi dagli afidi e dalla cocciniglia, contro cui si usano prodotti specifici sistemici

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