Hibiscus

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E’ innegabile che certi nomi, in botanica, siano tanto ostici e impronunziabili da persuaderci che mai e poi mai coltiveremo quelle piante; altre volte, invece, capita che alcune denominazioni siano così seducenti ed evocative da farci sognare paesi lontani e meravigliosi, paesaggi da favola e un mondo fatto di luce, sole e beatitudine. Naturalmente, ci sbagliamo in entrambi i casi, ma alzi la mano chi non si sente respinto da termini quali Schlumbergera  o Koellikohleria e, al contrario, fortemente attratto dal melodioso e flautato Hibiscus. Il bello è che, in molti casi, di pura musica si tratta, perché non sempre quella magica e armoniosa parola possiede un significato particolare, come appunto è il caso di Hibiscus, che fu usato per la prima volta dal poeta latino Virgilio, senza però darne una spiegazione etimologica o storica. Non è escluso che allora s’intravedesse una relazione fra queste piante e l’uccello divinizzato dagli Egizi, chiamato ibis, ma nulla è sicuro. Anzi, l’autore dell’Eneide probabilmente non alludeva neppure alle piante che oggi conosciamo sotto questo nome, ma forse solo ad altre molto simili, come Malva o Althaea, che pure appartengono alla famiglia delle Malvaceae. Quest’ultima, celebre per avere nelle sue file le piante del cotone (Gossypium), va giustamente fiera di possedere un genere come Hibiscus, straordinariamente decorativo, utilizzabile in diversi modi, perfino utile anche sul piano pratico e ormai diffuso in ogni angolo della terra, fatta eccezione per le aree climaticamente meno ospitali.

Un’armata ben nutrita

Nelle sue truppe, il genere H. può contare su circa 220 specie che prosperano in tutte le aree temperato-calde, tropicali o subtropicali del globo. Il portamento è notevolmente differenziato, poiché esse si presentano sotto forma di erbe annuali o perenni, di suffrutici, di arbusti e perfino di alberi, con un’altezza che varia tra i 100 cm di H. diversifolius e i 25 m di H. macrophyllus e con fusti che possono essere completamente glabri, oppure appena pubescenti, ma in certi casi addirittura ispidi. Le foglie, tutte picciolate e sempre alterne, potrebbero illustrare un trattato di botanica generale per la loro varietà di forme: ellittiche, lanceolate, ovate o cordate, talvolta lobate o divise, con margine intero o dentellato. Una certa omogeneità si raggiunge, finalmente, con i fiori, che sono in molti casi solitari e solo più raramente raggruppati in mazzi sulla cima del ramo o alle ascelle delle foglie. Solitamente assai grandi – con un diametro che in natura varia fra i 10 e i 15 cm, ma che in alcuni ibridi raggiunge la portentosa ampiezza di 30 cm – essi sono contraddistinti dal numero cinque. Il calice, infatti, è composto da 5 sepali, fusi fra loro a formare un tubo, ed è sotteso dall’epicalice, cioè da un falso calice di brattee, che è la caratteristica di questo genere. La corolla è formata pure da 5 petali, con forma, colore e dimensioni fortemente variabili: spesso, poi, la porzione basale dei petali è colorata di scuro, quasi un ‘occhio’ nero al centro del fiore. Un altro elemento distintivo è l’esuberante e quasi aggressiva presenza di un vistoso apparato sessuale, reso evidente da una sorta di tubo o colonna, spesso pendula ma anche rigida, formata da numerosissimi stami uniti fra loro, che circondano i 5 lobi dello stigma rossastri o giallognoli. I fiori rimangono aperti per un solo giorno o poco più, ma fortunatamente la pianta è in grado di produrne una grande quantità, in una successione quasi senza fine.

La “rosa della Cina”

Chiunque abbia avuto occasione di visitare un paese subtropicale o tropicale, sarà rimasto impressionato dall’ampia diffusione e soprattutto dal valore ornamentale di una specie meritatamente famosa, Hibiscus rosa-sinensis, che peraltro vive benissimo anche in alcune nostre regioni meridionali, come la Sicilia, o in altri Paesi mediterranei, come ad esempio le aree più calde della penisola Iberica. La sua distribuzione in ogni parte del mondo, sotto forma di pianta coltivata, ci ha fatto perdere le tracce del suo originario areale, che molti studiosi tendono oggi a individuare nella Cina e nella Cocincina o Vietnam. Nelle fasce tropicali di tutto il mondo è oggi la pianta più popolare, anche in virtù dei molteplici impieghi decorativi. La sua altezza può variare fra i 2 e i 10 m, ma spesso si limita a 2.50 – 4 m, specialmente se regolato a siepe. Le foglie sempreverdi formano una massa compatta di rara bellezza, anche perché dotate di notevole variabilità per dimensioni e forma: solitamente ovate o ampiamente lanceolate, possono essere anche lunghe e strette oppure, al contrario, quasi rotonde. Alcune hanno margine intero, mentre altre sono dentate o addirittura profondamente lobate; in alcuni casi sono brillanti e glabre, in altri invece sono ruvide e pelose. Il fiore è fra i più grandi che il mondo della flora ornamentale riesca a offrire: da 10 a 25 cm di diametro, con petali che raggiungono facilmente i 12 cm di lunghezza. I colori, nelle varietà coltivate, si collocano su cinque pilastri fondamentali: bianco, rosso, giallo, arancione e viola-purpureo, con una serie infinita di variazioni tonali. I fiori si aprono solitamente di mattina, ma nel pomeriggio iniziano già ad appassire, per morire quasi sempre entro sera: solo poche forme riescono a durare non più di tre giorni. Tuttavia, le risorse di questa pianta sono straordinarie, perché la produzione di boccioli è quasi incessante, tanto che nei paesi tropicali la ‘rosa della Cina’ è in fioritura perenne per tutto l’anno, pur con un particolare incremento durante la stagione di crescita. Alle nostre latitudini, invece, la fioritura si limita alla tarda primavera e all’estate, anche se in serra non è difficile che si prolunghi per altri mesi.

Ibridi di H. rosa-sinensis

Gli esemplari di H. rosa-sinensis che vediamo oggi si presentano nei modi più diversi per dimensioni, forme, fioriture e colori, soprattutto perché il grande interesse che queste piante hanno riscosso nel passato ha incoraggiato la costituzione di numerosi ibridi. Nelle regioni dell’Asia orientale e dell’oceano Pacifico, dove viene chiamato ‘Bunga Raya’, l’ibisco è stato coltivato per secoli, tanto che se ne trova ampia documentazione in scritti e opere d’arte d’origine cinese. Introdotto in Europa verso il 1731, esso dovette attendere circa un secolo e mezzo prima che si iniziasse un lavoro vero e proprio di ibridazione, naturalmente in Inghilterra, nel celebre giardino di Chelsea. Subito dopo, furono gli americani a proseguire il lavoro intrapreso dai britannici, e fu così che la Florida e le Hawaii diventarono i nuovi centri per la creazione di varietà sempre più spettacolari. Dopo la seconda Guerra mondiale, che aveva bloccato le ricerche, a questi stati si aggiunse l’Australia, aumentando così il panorama produttivo. Si calcola che le varietà ottenute a partire dall’Ottocento non siano state meno di mille, ma oggi quelle che troviamo in commercio sono circa 120-150 e la ricerca continua, soprattutto sul mercato americano. L’attenzione degli ibridatori si è concentrata su tre elementi: il portamento (che può essere arbustivo e compatto oppure eretto e robusto), la corolla (semplice, semidoppia e doppia), i colori (quelli di base, con l’aggiunta di forme screziate e multicolori): un mix di fattori, i cui felici effetti possono essere apprezzati in queste pagine, ma soprattutto nei nostri giardini o terrazzi.

In giardino e in casa

Le aree tropicali dell’Asia orientale e del Pacifico conoscono un uso intensivo di H. rosa-sinensis, che addirittura viene impiegato massicciamente nell’arredo urbano: si prenda come esempio Kuala Lumpur (Malaysia), dove decine di migliaia di esemplari decorano viali, rotonde, autostrade, parchi pubblici. Il nostro Paese può imitare solo in parte quelle lontane metropoli, ma là dove è possibile, nelle regioni più fortunate – pensiamo soprattutto alla Sicilia, ma anche ad altre aree del nostro Meridione fino al Napoletano – esso può decorare gli ambienti urbani con effetti mirabili, anche alternandolo con altre specie arboree e palme. Nei giardini può trovare diverse modalità d’utilizzo, sia se piantato in masse, sia con esemplari isolati o addirittura in situazioni formali. Il suo contributo è comunque prezioso anche nel contesto di bordure miste arbustive, in cui l’impiego di varietà a foglia variegata può creare contrasti molto efficaci con altre piante. Uno degli usi più belli resta quello della siepe, soprattutto se alta: un muro di foglie verdi e brillanti, punteggiate di grandi fiori rossi, che cambiano di posizione giorno dopo giorno, è uno spettacolo senza eguali.

Nelle regioni centro-settentrionali ci si deve necessariamente orientare verso la coltivazione in vaso, ma ciò non significa affatto che questa sia una sorta di ripiego, perché in questo caso la ‘rosa della Cina’ dimostra di essere davvero una pianta molto versatile. I vasi, infatti, quando sono in piena fioritura, possono essere portati in ambienti esterni (patio, piscine, ecc.), oppure collocati su terrazzi e balconi, ma anche lasciati all’interno, purché vi sia luce a sufficienza.

Dalla Cina e dall’India, non dalla Siria

Sicuramente meno appariscente della “rosa della Cina”, ma tutt’altro che priva di doti è una seconda specie, H. syriacus, senza dubbio maggiormente utilizzata nel nostro Paese in una varietà considerevole di situazioni. A dispetto delle sue vere origini geografiche (India e Cina), il suo nome l’associa al più vicino Medio oriente, dove in effetti arrivò ormai molto secoli fa, per poi venire introdotta in Europa verso la fine del Cinquecento. Il suo portamento arbustivo è decisamente eretto, con un’altezza massima di 3 m, ma ben dotato di rami e di fogliame fin dalla base. Le foglie caduche e grigio-verdi, lunghe  3-7 cm, hanno una lamina ovale e trilobata, con margini grossolanamente incisi o dentati. I fiori nascono solitari o appaiati all’ascella delle foglie superiori, su corti peduncoli, e si aprono in piena estate; anch’essi sono sottesi da un epicalice formato da 6-8 segmenti e inclusi in un calice diviso in due, leggermente più lungo dell’epicalice. La corolla di forma campanulata è semplice o doppia, grazie a stami che si trasformano in petali (petaloidi), il cui colore parte da una base cremisi, variando poi fra il bianco puro, il rosso violaceo e l’azzurro lavanda. Ma, anche in questo caso, della pianta che nasceva in natura si sono smarrite le tracce, dopo secoli e secoli di coltivazione.

“Fuyò” in varietà

La denominazione binomia ha fatto giustizia di una quantità di nomi popolari con cui H. syriacus era conosciuto nell’antichità. Il primo fu certamente “Fuyo”, che i Cinesi usavano forse da millenni per indicare questa preziosa pianta, le cui foglie in casi disperati potevano sostituire il tè e i cui fiori venivano degustati come una prelibatezza. Gli europei riuscirono ad ottenerne i semi solo verso la fine del XVI secolo (1596), e uno dei primi a coltivarla fu il nostro abate G. B. Ferrari che nel suo trattato Flora overo Cultura di fiori (1633) così ne parla: ” …dieci anni sono ne fu mandato il seme dall’India occidentale: ed è questa pianta chiamata col nome barbaro del paese, Fuyò: altri chiamanla Malva Indiana, altri del Giappone: noi con quelli che il seme ne mandarono, la chiamiamo Rosa Chinese [di qui sorgono gli equivoci che hanno indotto qualcuno a identificarla con H. rosa-sinensis]. Ed io fui il primo a seminarla, e farla vedere in Roma…. ne viene il fiore della grandezza d’una rosa d’Olanda… e questo fiore assai doppio… è ragguardevole per la mutatione de’ tre colori: da prima come di latte…indi passa al color incarnato…muore alfine rossa di colore”. Era dunque chiaro che l’esemplare coltivato dal Ferrari era già una forma coltivata, con quei suoi colori cangianti e soprattutto quel fiore ‘assai doppio’: anzi lo stesso autore conferma che “ella viene di tre spetie distinte”, ciascuna delle quali dotata di fioriture diverse. Ciò significa che gli europei avevano ricevuto dagli orientali non la specie-tipo (che chissà da quanto tempo si era già persa) ma solo cultivar, sulla cui base essi stessi intrapresero la lunga strada per la costituzione di nuove forme, incoraggiati dal fatto che le piante si adattavano perfettamente ai nostri climi temperati. Un deciso incremento alla coltivazione di cultivar di H. syriacus avvenne, sul finire del XIX secolo, ad opera del francese Lemoine, che inoltre si preoccupò di introdurre sui mercati anche prodotti americani. Oggi le diverse forme coltivate comprendono una notevole varietà di piante dotate di una gamma cromatica che comprende il bianco, il rosso, l’azzurro-violetto, il malva, mentre i fiori sono semplici, semidoppi o doppi. Quelli a corolla semplice hanno un centro è caratterizzato da un evidente apparato sessuale, con stigma, pistillo e stami assai evidenti. Attualmente, risultano in commercio una ventina di forme, anche se i collezionisti inglesi più forniti ne vantano quasi quaranta. In Italia le forme più comuni e più richieste sono: ‘Boule de Feu’ (fiore doppio, rosa carminio), ‘Blue Bird’ (lilla azzurro con centro rosso), ‘Rubis’ (rosso con fiori piccoli), ‘Coccineus Plenus’ (bianco con centro cremisi), ‘W. R. Smith’ (bianco puro, molto grande’, ‘Hamabo’ (bianco con screziature cremisi).

Usi del “Fuyò”

Le piante di H. syriacus danno il meglio di sé nei climi analoghi a quelli dei paesi mediorientali: tanta luce e scarse precipitazioni estive sono le due condizioni basilari per la formazione di gemme e fiori perfetti. Quando viene coltivato in condizioni ottimali è magnifico, soprattutto per il piacevole contrasto che si realizza fra i suoi fiori sgargianti e il monotono verde estivo che li circonda, come sosteneva il grande paesaggista William Robinson, propugnatore del “giardino naturale”. E’ fra le piante che emettono le foglie nella primavera avanzata, ma questa lentezza significa che esso non deve temere geli tardivi, così che, quando il fogliame in maggio-giugno è ben folto e compatto, la sua freschezza supplisce alle prime défaillance degli altri arbusti. La sua collocazione migliore è la bordura mista di arbusti, ma può essere utilizzato anche come cortina di sfondo di bordure erbacee oppure in soluzioni semi-formali quali le siepi: in ogni caso se ne sconsiglia la potatura, tranne che per eliminare rami secchi o danneggiati. Si adatta bene anche a coprire pareti e muri, mentre impiegato come esemplare isolato non è particolarmente brillante.

I più rari

Altre specie di Hibiscus, arbustive o suffruticose, meriterebbero un’attenzione maggiore da parte nostra, ma siamo convinti che o prima o poi anch’essi diventeranno più comuni nei nostri giardini. Ad esempio, come ignorare il fascino di H. schizopetalus, che pur essendo chiamato comunemente ‘Lampada giapponese’, proviene dall’Africa centrale? Quell’appellativo è certo dovuto alla singolarissima forma della corolla, costituita da fiori penduli, sfrangiati e delicati, portati da lunghi e sottili peduncoli: ogni petalo, lungo circa 7 cm, è laciniato, riflesso e di colore rosso o corallo, mentre la colonna degli stami è lunghissima e pure un po’ riflessa.

Abitante delle paludi che si estendono fra l’Illinois e il Missouri è invece H. lasiocarpos, un arbusto di 2 m, con petali di 7-8 cm quasi sempre bianchi o bianco-rosei, con una macchia marrone alla base. Di un intenso giallo zolfo sono invece i fiori di H. calyphyllus, un suffrutice malgascio e hawaiano, mentre quelli di H. pedunculatus, più piccoli, sono di un bel rosa violetto o lilla tenue.

Ma le specie affascinanti e ancora semi sconosciute sono numerose: si pensi a H. mutabilis, che cambia di colore nel corso della sua brevissima vita di un giorno, e poi ancora H. tiliaceus, i cui fiori sono usati a Tahiti per formare le celebri ghirlande, per finire con H. clayi e H. storckii, che neppure sono elencate nelle flore di piante ornamentali, ma che non tarderanno ad entrarvi. Il primo ha fiori piccoli, con petali un po’ ricurvi e soprattutto foglie ellittiche molto diverse dalle altre specie; il secondo invece si distingue per le sottilissime lacinie dell’epicalice.

Sorprendenti sono le dimensioni di un ibisco-albero, H. elatus, che vive a Giamaica e a Cuba, dove raggiunge i 25 metri, dall’alto dei quali mette in mostra una chioma a ventaglio molto ramificata e grossi fiori giallo-aranciati che poi si trasformano in cremisi.

Gli Hibiscus annuali e perenni

Il genere H. è tanto ricco da poter offrire molte altre sorprese, quali sono le specie erbacee, davvero appariscenti ma non sempre apprezzate come di sicuro meritano. Esse accoppiano con naturalezza un aspetto estetico decisamente accattivante e una non comune facilità di coltivazione, pur mantenendo la caratteristica delle loro consorelle legnose: il fiore dura un solo giorno, ma è seguito in successione da molti altri. Tra le specie più interessanti e in pari tempo più facilmente reperibili sul mercato sono gli Hibiscus nordamericani. Negli anni passati vi è stata una certa confusione a livello di differenziazione scientifica, ma oggi i problemi di classificazione sembrano essere stati chiariti. Soprattutto si è stabilito definitivamente che H. palustris è una sottospecie di H. moscheutos, mentre quest’ultima è una specie distinta da H. militaris, di cui frequentemente era considerata un sinonimo. Tuttavia, sia H. militaris sia H. moscheutos, entrambi perenni che vivono in ambienti paludosi o umidi, possono raggiungere e superare i due metri d’altezza, ma le foglie della seconda sono più lunghe (fino a 22 cm). In tutte e due i casi i fiori sono solitari e posti alle ascelle delle foglie superiori: in H. militaris i petali sono lunghi fino a 8 cm, mentre in H. moscheutos raggiungono i 10 cm. Tuttavia, alcune cultivar di quest’ultima specie sono dotate di corolle assai più grandi, con diametri che superano i 20 cm, come in H. m. ‘Southern Belle’. La tavolozza dei colori, poi, è fornitissima, svariando fra il bianco puro e il rosa tenue, sino ad arrivare al rosso e al cremisi scuro. In ogni caso, i vivaisti che si occupano di piante di zone umide hanno spesso incrociato fra loro queste specie e sottospecie, ricavandone una lunga serie di ibridi diversi per portamento e soprattutto per colorazione delle corolle.

Un altro ibisco che vive in aree paludose è H. coccineus, anch’esso perenne ma con base un po’ legnosa; i suoi fiori solitari sono ben riconoscibili, in primo luogo perché i petali sono più stretti degli altri e ben spaziati fra loro, poi perché colorati di un rosso intenso, così come i peduncoli.

Fra le specie annuali, il più rinomato è H. trionum, che pure è compreso nella flora spontanea italiana, sia pure come pianta avventizia: alto fino a 120 cm, i suoi fiori solitari hanno un diametro di circa 8-10 cm, con petali contraddistinti da una colorazione mutevole, fra il giallo, il violetto e il crema.

Coltivare gli Hibiscus

E’ in tutti i casi abbastanza semplice, anche se, ovviamente, una tale varietà di specie e provenienze non consente di stilare un decalogo valido per tutte le piante.

Hibiscus annuali. Amano un terreno leggero e un’esposizione in pieno sole; vanno seminati in aprile in un lettorino ben esposto e poi ripicchettati e fatti irrobustire in cassoni freddi, mettendoli infine a dimora agli inizi di maggio; se si è sicuri che non vi siano gelate tardive, si possono seminare direttamente nel luogo definitivo ad aprile, con una distanza di circa 40-50 cm.

Hibiscus perenni. Sono piante rustiche che tollerano anche le temperature rigide delle regioni settentrionali. Il terreno deve essere fresco, umido ma ben drenato, ben lavorato, con un’esposizione molto soleggiata e calda. In estate si deve assicurare loro un buon approvvigionamento idrico. La loro moltiplicazione avviene per divisione in primavera, stando attenti alle radici grosse.

Hibiscus rosa-sinensis. E’ una pianta semi-rustica e quindi la sua coltivazione all’aperto è possibile solo nell’Italia meridionale e isole minori (Capri e Ischia). In queste zone, le procedure non sono molto diverse dalle precedenti, ricordandosi che questa pianta vuole sole, caldo, annaffiature abbondanti in estate; in più essa si avvantaggia con concimazioni liquide settimanali durante la fioritura.

Nelle aree centrosettentrionali del Paese non si vorrà rinunciare a una pianta così bella e generosa. La si coltiverà dunque in vaso, mantenendo le condizioni di cui s’è detto quanto a caldo, luce e acqua; chi possiede un giardino può interrare i vasi in un’aiuola, togliendoli poi in autunno e riponendoli in una serra o un locale asciutto e luminoso, bagnando con moderazione.

All’aperto, nelle aree meridionali, le stesse cure praticate per H. rosa-sinensis si avranno per gli arbusti delicati, come H. schizopetalus e altri.

Hibiscus syriacus. E’ una specie del tutto rustica e quindi si pianta in tutto il Paese, in marzo od ottobre, in pieno sole e in un terreno ben drenato e fertile. Se il suolo è povero, va arricchito con letame maturo. Le potature vanno ridotte al massimo, su rami secchi o danneggiati ed eventualmente sui giovani rami che sono fioriti l’anno precedente, ma solo per 5-6 cm. La moltiplicazione è facilissima per talea, ma ancor meglio da seme.

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