










Uno scrigno di virtù
E’ vero, anzi è innegabile: l’argomento ‘camelia’ è proprio inesauribile, non si finirebbe mai di parlarne o di scriverne, tanto è ricco di spunti interessanti e di novità, ma soprattutto di grande fascino. Uno psicologo potrebbe meglio di noi analizzare i motivi che stanno alla base del successo sempre crescente di queste piante, ma forse la spiegazione è semplice e si potrebbe riassumere in una sola domanda: quale altro arbusto è in grado di offrire, simultaneamente, così tante virtù e così tanti benefici? Quanti altri vegetali decorativi possiedono, in pari tempo, un fogliame sempreverde elegantissimo, un portamento non invadente che si adatta ad ogni situazione, una fioritura multicolore, abbondante e seducente che oltretutto si manifesta sia nella stagione autunnale-invernale sia in quella primaverile, una variabilità genetica naturale che si piega ad ogni capriccio umano, una buona rusticità e, dulcis in fundo, un’apprezzabile disponibilità a farsi potare in vari modi? Insomma, dobbiamo ammetterlo, in natura non è facile trovare rivali in grado di accoppiare in così alto grado bellezza e umiltà, fascino e duttilità, regalando vantaggi ed emozioni a non finire, con la certezza di poter contare sulla sua affidabilità anche per molti anni, a patto che si seguano poche e facili norme di manutenzione.
La loro culla
L’areale d’origine delle camelie è vastissimo, anche se posto interamente in quello che per comodità siamo soliti definire come Estremo Oriente: dalle catene himalayane fino all’arcipelago giapponese e dalla Cina meridionale fino al Borneo, con una concentrazione particolare per le province cinesi di Guangxi e Yunnan. Questo territorio ha una superficie enorme, tanto da comprendere situazioni geomorfologiche fortemente differenziate, anche se alcune caratteristiche climatiche sembrano accomunarle. In generale, infatti, le camelie prosperano là dove la piovosità è piuttosto alta e le temperature sono quelle tipiche delle zone monsoniche: esse amano estati umide e fresche, ma all’inverso esigono inverni non troppo gelidi e asciutti.. In questo senso lo scenario geografico dello Yunnan – la provincia che annovera il maggior numero di specie endemiche – risulta esemplare: con un clima tropicale sotto i 1000 m di quota e temperato sopra i 2800 m, questo ambiente sembra creato apposta per farvi fiorire una grande quantità non solo di camelie, ma anche di alcuni fra i più importanti generi della flora ornamentale, come rododendri, magnolie, peonie e primule.
Le specie: numero e aspetto
Circa il numero di specie spontanee sin qui rinvenute, come spesso accade, non si hanno dati certi, poiché le dispute fra i diversi scienziati non sono ancora terminate, così che qualcuno parla di un numero vicino a 100, mentre i più pignoli ne ammettono nelle loro flore anche 250. Una pubblicazione autorevole come ‘The International Camellia Register’ (1993), fra l’altro compilata con il contributo di esperti internazionali tra cui due italiani, generosamente ne elenca ben 267, comprendendo però sottospecie, varietà, forme e ibridi naturali, a cui si aggiungono poi le cultivar, ossia le migliaia di varietà create dall’uomo. Una domanda sorge spontanea: cosa possono avere in comune più di 250 piante, tanto da consentirne l’associazione in un solo genere? La risposta è: numerosi particolari piccoli e grandi, come ad esempio il fatto di essere tutte sempreverdi e di non superare in nessun caso i 20 m d’altezza, così che spesso si parla di loro come di arbusti-alberi. Inoltre, tutte le camelie hanno foglie alterne, quasi sempre a forma ellittica, lanceolata od ovata, con apice acuto e margine dentellato o seghettato; la loro consistenza è un po’ cuoiosa o decisamente coriacea, con superficie frequentemente glabra, lucida, di colore verde scuro. I fiori, in natura, sono semplici, ma in coltivazione sono spesso semidoppi o doppi, grazie allo sfruttamento di una tendenza delle camelie a trasformare una parte dell’apparato sessuale (gli stami) in petali, per così dire ‘supplementari’. Il loro frutto è costituito da una capsula pressoché globosa le cui cavità interne – dette ‘loculi’ – contengono da 1 a 8 semi di consistenza assai robusta.
Le “grandi sorelle”
Il fato – o un preciso disegno della natura – ha voluto operare una sorta di spartizione ‘politica’ nella distribuzione delle varie camelie all’interno del territorio asiatico, destinando le specie più famose a Cina e Giappone. Tuttavia, mentre la dotazione cinese è caratterizzata da un criterio più che altro quantitativo (in alcune aree sono reperibili ben 60 specie endemiche), enfatizzato dalla presenza di due specie fondamentali come Camellia reticulata e C. japonica, invece il Giappone è stato gratificato con le camelie a fioritura invernale più versatili sotto il profilo ornamentale e, di conseguenza, maggiormente utilizzate in coltivazione, come C. sasanqua. Sono queste le tre ‘grandi sorelle’ del genere Camellia, istituito nel lontano 1753 da Linneo, il quale però continuò a mantenere valido il vecchio genere Thea, creato apposta per quella pianta particolare che solo più tardi assunse la denominazione di C. sinensis.
La specie cinese C. reticulata – descritta per la prima volta nel 1827 – è originaria della provincia di Yunnan, dove vive in natura nella sua forma simplex, con un’altezza massima di 15 m (nei nostri giardini è molto più bassa). Le sue foglie sono largamente ellittiche, ad apice brevemente acuminato, coriacee e lunghe fino a 11 cm, mentre i fiori sono fra i più grandi di tutto il genere, con un diametro che arriva a 11 cm nella specie spontanea e fino a 17 cm nelle varietà create dall’uomo. I 5-7 petali sono di color rosa-rosso, ma nelle forme coltivate è facile trovarli in un’ampia gamma che va dal rosa pallido al cremisi scuro. Con il contributo di C. reticulata sono stati ottenuti numerosi ibridi di rara bellezza.
La sua diretta rivale è C. japonica (descritta in modo definitivo nel 1753) che divide equamente il suo areale d’origine fra Cina e Giappone, senza trascurare la Corea e Formosa. Allo stato spontaneo, essa è un arbusto-albero alto fino a 9 m, dotato di foglie ampiamente ellittiche o un po’ oblunghe, della lunghezza di 5-11 cm, fortemente coriacee. I fiori terminali, singoli o in coppia, hanno 5-7 petali con un diametro di 3-5 cm, solitamente colorati di rosso, ma assai più ampi e multicolori nelle oltre 2000 varietà esistenti, che frequentemente presentano corolle variegate nei modi più diversi: screziate, striate, maculate, marmorizzate.
La gloria esclusivamente giapponese è C. sasanqua (descritta nel 1784), un arbusto-alberello alto fino a 6 m, con foglie strettamente ellittiche od oblungo-ellittiche ad apice acuminato. I suoi fiori terminali sono provvisti di 6-8 petali che formano una corolla del diametro di 5-7 cm, di norma colorata in bianco-rosa, ma con le consuete variazioni avvenute a seguito delle trasformazioni orticole. Specialmente in questi ultimi anni si è dato un grande impulso alla costituzione di nuove cultivar, che ora arrivano a superare le 300 unità: una passione che trova le sue ragioni essenzialmente nel fatto che la pianta fiorisce fra il tardo autunno e metà inverno, mentre le sue due rivali aprono le loro corolle solo in primavera, fra marzo e aprile.
Le “sorelle minori”
Il fatto che le tre ‘primedonne’, con il loro ricchissimo corteggio di varietà coltivate, abbiano virtualmente occupato quasi tutti gli spazi disponibili nei giardini occidentali, non deve far passare sotto silenzio le altre 247 specie. Anzi, negli ultimi tempi si sta assistendo ad una loro rivalutazione, soprattutto da parte dei collezionisti e degli amatori, che riescono ad apprezzarne alcune doti sin qui ignorate. Infatti, se da un lato è vero che le forme ‘inventate’ dall’uomo hanno pregi particolari, d’altro canto le loro sorelle minori si fanno luce in ragione delle caratteristiche tipiche delle piante spontanee: la grazia e l’aspetto ‘naturale’, soprattutto, ma anche le doti specifiche che ciascuna di loro può vantare. Infatti, c’è quella che ha quel profumo che molte altre non possiedono, così come c’è chi si avvale di corolle singolari: fiori enormi, fiori gialli, fiori piccoli e candidi, e così via.
Prendiamo in considerazione, ad esempio, C. granthamiana, nativa di Hong Kong, che è un alberello di 5 m i cui fiori terminali e solitari sembrano possedere tutte le virtù che potremmo richiedere alle camelie di grande effetto: profumati, enormi (fino a 14 cm di diametro), con petali smarginati e ondulati, che nel nostro Paese si aprono in dicembre. Al contrario, la cinese C. grijsii si mette in luce con un’altezza modesta e fiori ancor più piccoli, di soli 2-3 cm di diametro, ma deliziosamente candidi come fiocchi di neve: l’himalayana C. kissii pare volerla imitare, con fiori piccoli e bianchi, ma profumati, adagiati tra foglie lanceolate o strettamente ellittiche. A volte, poi, un motivo d’attrazione viene fornito, ancor più che dai fiori, dal fogliame: in C. cuspidata le foglie sono pendule, strettamente ellittiche o lanceolate, con un apice tanto acuto e lungo da sembrare una coda. Ancora con fiori abbastanza piccoli e candidi, ma abbondanti sono: C. tsaii, con petali quasi rotondi e rivolti all’indietro; C. fraterna e C. lutchuensis, accomunate anche da un profumo che, soprattutto nella seconda specie, è particolarmente intenso; C. sinensis, che non si limita ad ‘offrirci il tè’ (v. box), ma è piacevolmente ornamentale con il suo fogliame piccolo e compatto. Più grandi e con petali bianchi o bianco-crema nettamente smarginati sono invece i fiori di C. yunnanensis, un arbusto-albero di 2-7 m che nello Yunnan vive in boschi di conifere fino a 3000 m di quota. Le corolle bianco-rosate o decisamente rosa sono invece una prerogativa di C. rosiflora, ma anche di C. saluenensis, una specie quest’ultima di grande importanza orticola, poiché la sua rusticità e versatilità hanno indotto a ricavarne cultivar e ibridi di successo, come ‘Bow Bells’, a corolla semidoppia. Un bellissimo ed insolito colore giallo oro caratterizza invece i fiori di C. chrysantha, un alberello cinese di 2-5 m, la cui coltivazione presenta però alcune difficoltà, a causa della sua delicatezza.
La camelia delle cinque
La pianta da cui si ricava il classico tè inglese altro non è che una camelia (C. sinensis, fino a non molto tempo fa chiamata Thea sinensis), ma forse è meno noto che se noi europei conosciamo questa bevanda da pochi secoli, i Cinesi ne fanno uso da tempo immemorabile: essa viene infatti citata nel Pent-sao, un testo risalente al 2700 a.C. Oggi la coltivazione di camelie da tè copre vastissimi territori e ciò spiega perché le razze ottenute hanno i nomi più diversi, pur sostanzialmente facendo capo alle tre aree di maggior produzione: Cina, India (Assam) e Sry-Lanka. La raccolta, che si fa al mattino presto, ha inizio a partire dal terzo anno di vita della pianta e si effettua, asportando manualmente la cima dei rami, poiché la parte più importante è quella della gemma fogliare terminale e dalle sottostanti foglie più tenere. Se oggi noi beviamo il tè più o meno come una bevanda calda qualunque, non altrettanto è in Giappone, dove questo gesto faceva parte di una vera cerimonia, detta ‘Sadô’: un momento in cui non si gusta solo il tè, ma anche si apprezzano l’ambiente circostante, il giardino e le camelie che vi si trovano. Anche in Cina, portare una tazza di tè alla bocca aveva il sapore del gesto liturgico, come conferma il poeta Lo-tung (VIII sec.): “La prima tazza mi bagna labbra e gola, la seconda libera dalla solitudine, la terza entra nell’anima inaridita, la quarta eccita un lieve sudore che allarga i pori, la quinta mi purifica, la sesta mi chiama nel regno dell’immortalità”.
Coltivarle è facile, utilizzarle è piacevole
Oggi le camelie sono piante fondamentali dei nostri giardini, con una fioritura che copre l’arco che va dal tardo autunno alla primavera. Il loro uso più comune le vede inserite nelle bordure di arbusti, miste o di sole camelie, ma anche in lavori in arte topiaria, oppure utilizzate sia come esemplari isolati o in siepi e spalliere. Una corretta coltivazione delle camelie richiede di ricreare artificialmente l’ambiente naturale in cui esse vivono: zone montuose o collinari di aree subtropicali umide, con clima fresco e frequenti precipitazioni, sole caldo e buon ombreggiamento da parte degli alberi. Il terreno, poi, è soffice e composto da fogliame in disfacimento, così che il suolo ne risulta sciolto e umido, ma ben drenato. Il grande segreto è tutto qui: un terreno acido (ma non troppo, attorno a 6 di pH), non calcareo, ancor meglio se in ambiente di castagno. Le irrigazioni devono essere abbondanti specialmente quando la pianta è in fioritura e anche subito dopo, quando cioè essa si prepara già al ciclo vegetativo dell’anno seguente, ma bisogna fare attenzione che le camelie temono i ristagni d’acqua, che attaccano immediatamente l’apparato radicale. Né ci si deve scordare che anche nella stagione fredda le camelie hanno necessità d’acqua, soprattutto in questi ultimi anni di prolungate siccità invernali. Per cercare la perfezione, si farà in modo di depurare l’acqua dal calcare, facendola decantare e riposare, oppure ricorrendo a quella piovana, a condizione che essa non sia stata raccolta in un momento di elevata presenza di agenti inquinanti (SO2).
In genere, le camelie temono i venti troppo impetuosi e improvvisamente freddi, il caldo eccessivo e soprattutto l’insolazione diretta sull’apparato radicale, i periodi di siccità, la pesantezza della neve, le brinate e le gelate tardive di primavera.