



















Mille brughi per il giardino autunnale: dalle Highlands ai giardini
Nella fretta di tagliare corto, talvolta facciamo d’ogni erba un fascio, usando il termine “erica” in modo indifferenziato per comprendervi generi e specie che sono simili solo in apparenza, sulla base di importanti caratteristiche comuni, sia morfologiche sia ecologiche. I generi Erica, Calluna, Daboecia di norma annoverano pianticelle semi-arbustive (o suffruticose) che amano vivere tutte in ambienti naturali di grande fascino paesaggistico, come per esempio le famose moorlands dello Yorkshire, celebrate da Emily Brontë nel romanzo Cime tempestose, o le Highlands scozzesi, cantate dal poeta Robert Burns. Nel nostro piccolo, anche noi avevamo alcune vaste brughiere – così chiamate, appunto, per l’imponente presenza di “brugo”, Calluna vulgaris – ma in questi ultimi decenni abbiamo pensato bene di rimpiazzarle con casette a schiera, supermercati e aeroporti. La scomparsa del brugo “spontaneo” è cosa ormai quasi fatta, tanto che per vederne da vicino una pianta è meglio ricorrere a un vivaio o ad un giardino, dove in effetti la numerosissime varietà sembrano uscite direttamente dalla tavolozza di un pittore per comporre un quadro di rara bellezza.
In breve
Tipo di pianta: Calluna vulgaris
Famiglia: Ericaceae
Parenti stretti: Erica, Daboecia, Andromeda
Dimensioni massime: 25-60 x 20-60 cm
Portamento: Cespuglioso-eretto
Foglie: Lunghe 3 mm, opposte, embricate
Colore foglie: Grigio-verde (o altri colori in varietà)
Fiori: Bianco, rosa, rosso, carminio, lilla.
Rusticità in Italia: ottima
Un suolo “sterile”
Brugo è una parola d’antichissima origine gallica con cui si indica da sempre una pianta suffruticosa, che in un primo tempo Linneo incluse nel genere Erica, denominandola E. vulgaris e aggiungendo qualche parola sul suo habitat: “Europae campestribus sterilibus frequens”. Circa le cause di questa sterilità del suolo si è studiato a lungo, arrivando a conclusioni abbastanza sicure, dopo aver analizzato i vari tipi di brughiera. Per esempio, le brughiere lombarde sono caratterizzate soprattutto dal cosiddetto “ferretto”, cioè da un suolo che si è completamente decalcificato in seguito all’ossidazione e all’idratazione dei composti di ferro, lasciando in tal modo un terreno povero di humus, molto ciottoloso e pure carente di sali minerali. Naturalmente, ciascuno di questi ambienti ha assistito a un particolare sviluppo floristico, anche in relazione ad una serie di altri fattori climatici, così che ogni brughiera presenta caratteristiche specifiche, con una precisa serie di specie botaniche riguardanti ogni strato: arborescente, arbustivo, erbaceo e muscoso. Tutte le formazioni, comunque, hanno un forte grado di acidità del suolo e vedono la presenza stabile, ancorché variabile sotto il profilo quantitativo, del “brugo”, cioè di quella pianticella che Linneo aveva riferito al genere Erica.
Pianta da ramazze
Uno studio accurato riguardante questo piccolo arbusto fu portato a termine nel 1808 dal botanico inglese John Hull, il quale non dovette neppure trovare un nuovo nome scientifico per il genere e per l’unica specie che ne fa parte, poiché un altro botanico, Richard Salisbury, alcuni anni prima, aveva creato il genere Calluna: bastò aggiungere il nome specifico vulgaris, che si riferisce all’estrema diffusione della pianta. Il curioso nome generico deriva invece dal verbo greco kallyno (pulisco, spazzo), poiché il brugo, ben conosciuto da secoli, era sempre stato utilizzato per fabbricare ramazze rustiche e scope da casa, grazie alla flessibilità e alla resistenza dei suoi ramoscelli.
Erica e Calluna: le differenze
Il brugo, che fiorisce fra la tarda estate e l’autunno, spesso viene confuso con le eriche, soprattutto con l’altrettanto comune Erica carnea, che invece è in fiore al termine dell’inverno. Le due epoche di fioritura dovrebbero bastare, ma ancora più importanti sono le differenze morfologiche. Calluna vulgaris presenta caratteristiche diverse da quelle di Erica, in primo luogo perché i suoi fiori sono dotati di un calice petaloide assai più lungo della corolla, mentre in tutte le eriche esso è lungo la metà rispetto ai petali. Un altro particolare che differenzia i due generi riguarda le minutissime foglie: nel brugo esse sono opposte e, sui rami privi di fiori, appaiono strettamente embricate (sovrapposte fra loro ai margini, come le tegole su un tetto), mentre in Erica si presentano in spirali e sono dirette all’infuori.
Cenno botanico
Il brugo è un piccolo arbusto solitamente alto 15-80 cm, eretto e molto ben ramificato con branche ascendenti. Le foglioline – strettamente embricate sui rami che non danno fiori, ma ben spaziate sugli altri rami – non sono più lunghe di 3.5 mm e hanno una forma oblungo-lanceolata. I fiori, numerosissimi e penduli, sono brevemente peduncolati e disposti in stretti racemi che talvolta sono raggruppati in pannocchie; alla base di ogni fiore si trovano 4 piccole brattee molto simili a sepali, mentre questi ultimi sono lunghi circa 3-4 mm e sono colorati di un bel rosa-lilla; la corolla campanulata è fortemente incisa fin quasi alla base e i suoi lobi rassomigliano ai sepali pur essendo più piccoli; sia il calice sia la corolla sono persistenti anche dopo la fruttificazione.
Centinaia di cultivar
Il brugo ha sempre meritato la sua fama di specie del tutto rustica, elegante e assai poco esigente, ma anche disponibile a lasciarsi usare in un ampio spettro di situazioni, una volta che le sia stato assicurato un suolo con il corretto grado di acidità. Godendo poi di una notevole variabilità, tanto nella forma delle foglie quanto nel colore dei fiori, Calluna vulgaris ha visto nascere una quantità incredibile di cultivar, che assommano a diverse centinaia. Il panorama si avvale in primo luogo delle forme più diverse riguardo al portamento: esistono piante nane, oppure di medie dimensioni, o anche striscianti, compatte o lasse. Il fogliame può variare dal giallo più chiaro al verde più scuro, attraverso il terracotta, il bronzeo e il variegato, sfruttando le differenti distribuzioni naturali delle foglioline sui rametti. Per il colore delle infiorescenze, che possono essere semplici o doppie, non c’è che da scegliere: si parte dal bianco puro e si arriva al granata, tramite i toni del rosa, salmone, lilla, malva, porpora, rosso sangue. Inoltre, tutte queste cultivar solitamente vengono suddivise in categorie secondo il periodo di fioritura. Un primo gruppo comprende piante che fioriscono precocemente, fra giugno e luglio; si passa poi a quelle intermedie (agosto e settembre) e infine alle tardive (ottobre e novembre).
Coltivazione
Clima: in tutto il territorio nazionale, anche se le regioni centro-settentrionali sono le più favorite.
Terreno: il suolo deve essere acido (con un pH massimo di 4.5-5.0), privo di calcare, ma anche ben drenato.
Esposizione: tutte le forme di C. preferiscono una buona esposizione al sole, in luogo anche aperto, poiché tollerano bene i venti.
Moltiplicazione: le C. si moltiplicano tramite talee semi-mature di 3-4 cm, prelevate dai germogli laterali in estate e piantate in un miscuglio di sabbia e torba, sotto una pellicola di plastica, ad una temperatura di 22° circa: dopo la radicazione le talee vanno tenute in serra fredda. Per alcune cultivar nane di C. si può anche ricorrere alla moltiplicazione tramite propaggini, all’inizio della primavera.
Messa a dimora e cure: si piantano all’inizio della primavera o a metà autunno, aggiungendo torba umida o composta al terreno, che va completamente liberato da ogni erbaccia prima della messa a dimora; annualmente è bene aggiungere corteccia macinata per mantenere l’umidità e per ridurre la crescita delle erbacce; la distanza fra le piante va calcolata in base ad ogni cultivar, osservando che l’ampiezza massima viene raggiunta non prima di 2-3 anni; non è necessario aggiungere fertilizzanti in misura regolare; nei mesi primaverili, subito dopo la fioritura, è necessario eliminare i fusti fioriferi appassiti.
Malattie: una clorosi delle foglie si ha quando il suolo tende ad essere troppo alcalino: in tal caso è bene aggiungere prodotti a base di chelato di ferro.