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Le “brocche dei biancospini” cantate dal Pascoli hanno tormentato generazioni di studenti, ignari di cosa fossero quelle “brocche” e soprattutto quei “biancospini”. Una volta chiarito che il primo termine sta per “rami spinosi” e il secondo per “arbusti fioriti”, più d’un ammiratore del poeta ha creduto di identificare questi ultimi nel genere Pyracantha, oppure in Prunus e perfino in Spiraea, sempre errando. I biancospini da tempo immemorabile sono invece i Crataegus, che con cinque specie spontanee vivono in tutte le regioni italiane e sono quindi ben noti a chiunque ami passeggiare al margine dei boschi, pur senza porsi problemi di nomenclatura botanica. Nel pieno del mese di maggio, essi si rivestono di appariscenti corimbi di fiorellini bianchi, dai quali promana anche un delicato profumo, ma non è questa la loro sola virtù. In autunno, infatti, ogni fiore dà vita ad un piccolo frutto rotondeggiante – il cui colore, dal rosso al giallo al nero, varia in relazione alla specie – così che per questi gradevolissimi arbusti-alberi ha inizio una seconda stagione di gloria. In tal modo si spiega perché il genere Crataegus è prezioso come piccolo albero ornamentale nei giardini, nei parchi e nelle vie, dove non merita proprio di essere ignorato o considerato di secondaria importanza. Al contrario, i biancospini rappresentano una risorsa assai utile e soprattutto di grande piacevolezza estetica, con il vantaggio non trascurabile di essere davvero di pochissime pretese.
Duecento specie
La famiglia delle Rosacee, nella sua sterminata ricchezza, sarebbe in grado di soddisfare da sola tutte le richieste del giardinista più esigente. Nel settore delle piante legnose, poi, le altre famiglie quasi s’inchinano intimidite, tanti sono i generi che le fanno capo. Fra loro, Crataegus non è sicuramente dei minori, se si considera l’alto numero di specie esistenti al mondo, circa 200, tutti arbusti o alberi più o meno spinosi che vivono nelle boscaglie, nelle siepi o negli arbusteti. Dotati di foglie semplici, ma quasi sempre lobate o almeno dentate, possiedono infiorescenze a corimbo, formate da numerosi fiorellini bianchi, al cui centro sono ben visibili almeno 10 o 20 stami. I frutticini sono piccoli pomi sferici – con un solo seme fertile e molto duro – ricoperti da una pellicina solitamente rossa, ma anche gialla, nera o, più raramente, blu.
Le virtù di base
Il panorama molto variato di habitat, in cui vivono le duecento specie di biancospini, garantisce una parallela ampiezza d’impieghi per la decorazione di parchi e giardini. In primo luogo va considerato che essi sono veramente alberi di piccola taglia, che si dimostrano disponibili a sopportare esposizioni anche molto differenziate, così come è notorio che amano farsi beffe dell’inquinamento atmosferico e dei terreni aridi, o, al contrario, di quelli molto umidi. Poi va aggiunto che i biancospini europei – con C. monogyna in testa – hanno nei primi anni una crescita assai rapida (fino a mezzo metro in dodici mesi!), rallentando subitaneamente con l’avanzare dell’età. Le specie americane, invece, sono meno veloci all’inizio, ma mostrano una bella ripresa attorno ai 10 anni. Infine, non va scordato che si tratta di piante longeve, riuscendo a superare anche il secolo di vita.
Impieghi
Provviste, oltre che di fiori e frutti decorativi, anche di foglioline notevolmente eleganti, queste piante si prestano soprattutto a sostenere un compito tutt’altro che facile nei giardini molto piccoli: quello di rappresentare l’unica pianta arborea che una superficie modesta può consentire. In questo caso, ovviamente, si farà ricorso ad una varietà di particolare richiamo, come ad esempio C. laevigata (od oxyacantha) ‘Paul’s Scarlet’ (dai vivacissimi fiori doppi e rossi), sotto la cui chioma sarà possibile mettere a dimora alcune perenni d’impatto: Iris blu, bulbose (Fritillaria) o anche Achillea filipendulina. Assai raccomandabile è un’associazione con rampicanti da fiore (come Clematis o le annuali), mediante le quali si cercherà di ravvivarli durante il periodo estivo, in cui essi sono al minimo della loro potenza ornamentale. Se invece il giardino è più ampio, i biancospini fanno da eccellente punto di fuga, soprattutto se posti al limitare di un prato o al margine di una boscaglia: per questa forma d’impiego si penserà a specie di taglia grande (come C. crus-galli o C. mollis). Se invece si scelgono specie piccole, sarà bene metterne a dimora due, tre o più esemplari, con conseguente effetto di massa. Il comune C. monogyna è la specie più adatta per formare siepi naturali – da secoli è stata usata in tal senso nelle campagne, anche per tenere lontano dai confini il bestiame– soprattutto se intercalata con Rosa canina o Rosa rugosa, Prunus spinosa e Viburnum opulus. Per i filari stradali, soprattutto in ambienti di campagna, oltre a ‘Paul’s Scarlet’ e a C. crus-galli, si può pensare anche a C. x prunifolia, che sfoggia una chioma cremisi in autunno, e a C. carrierei, le cui infruttescenze rosso-arancio sono lungamente persistenti sui rami.
Riconoscere il genere Crataegus
La confusione che talvolta avviene fra i Crataegus ed alcuni generi simili può essere superata considerando che, a esempio, i Cotoneaster non hanno spine e nemmeno foglie lobate o seghettate ai margini. Invece i Pyracantha – alcuni dei quali un tempo erano chiamati, appunto, Crataegus – sono dotati di foglie sempreverdi (in Crataegus sono decidue) e i loro frutti contengono cinque semi, non uno o due.
Coltivazione
La coltivazione dei biancospini non è sicuramente difficile, se si eccettua la lotta alle non poche malattie. Il terreno maggiormente gradito ai C. non possiede un particolare grado di acidità, ma dovrebbe essere abbastanza umido e sempre ben drenato, anche se spesso essi si adattano a situazioni molto lontane da quanto appena suggerito. Un’esposizione in mezz’ombra nelle aree più calde, o in pieno sole in quelle meno fortunate, ne favorisce la fioritura e, di conseguenza, la formazione di frutti. Fra le cure di manutenzione riveste una certa importanza la potatura, che deve essere sempre moderata ed effettuata nei primi anni, dopo la fioritura, allo scopo di conferire una bella forma alla pianta. Si eliminano i rami vecchi, malformati, deboli e ammalati: per il resto penserà la pianta stessa ad acquisire una forma naturale assai piacevole, soprattutto in quei soggetti che hanno una chioma compatta e regolare (come ad es. C. x prunifolia).
Per la moltiplicazione, di norma si evita quella da seme, perché l’attesa è troppo lunga, mentre si ricorre quasi sempre all’innesto, che è però una tecnica per giardinieri provetti. Se si sceglie la semina, i semi vanno raccolti, dopo aver eliminato la parte carnosa del frutto, e stratificati in sabbia umida per due inverni consecutivi; alla germinazione si mettono a dimora in un’aiuola da semi alla profondità di 1 cm, all’inizio della primavera.
Malattie: Attenzione al colpo di fuoco!
Uno dei principali nemici dei biancospini è il “colpo di fuoco batterico” (Erwinia amylovora), tipica malattia delle Rosacee, i cui sintomi si manifestano su tutta la pianta: foglie che imbruniscono progressivamente e si deformano, fiori che si anneriscono, frutti che avvizziscono. Questa batteriosi si combatte solo con la prevenzione, mentre le piante ammalate vanno rimosse e distrutte. In alcune regioni quali Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna è vietato piantare Crataegus onde limitare la diffusione del colpo di fuoco batterico, soprattutto a danno dei peri (oltre che delle altre rosacee da frutto).
Coltiviamo Crataegus laevigata
Caratteristiche: altezza: 4,50 / 8 m, ampiezza: 4,50 / 8 m; ottimo come esemplare isolato, fioritura molto attraente, bei frutti persistenti eduli per uccelli, numerosi tronchi dotati di spine, può essere allevato con un solo tronco; esposizione: pieno sole; terreno ideale: torboso, sabbioso, argilloso, da alcalino ad acido, sopporta salinità, siccità e umidità; colore dei fiori: lavanda, rosa carico, bianco (secondo la cultivar); fioritura: primavera; foglie autunnali: verdi; colore dei frutti: rosso.
Dove metterlo a dimora: nei giardini piccoli come esemplare isolato; va considerato che i rami spinosi possono ferire le persone, alcune cultivar, come ‘Crimson Cloud’ sono prive di spine
Come piantarlo: scegliere un sito con buona circolazione d’aria, allo scopo di ridurre la possibilità di malattie del fogliame; eliminare alcune branche primarie, se esse rischiano di toccarsi fra loro; eliminare alcune branche secondarie, soprattutto verso l’estremità di quelle primarie, per ridurre la possibilità che queste ultime si spezzino quando l’albero è grande; collocarlo appropriatamente, prevedendone l’altezza definitiva, poiché sarà meglio non potarlo mai per ridurlo nelle dimensioni
L’azzeruolo
In alcune regioni del nord Italia e in Sicilia, vive spontaneizzata – perché forse introdotta da Creta nel Seicento – la specie Crataegus azarolus, nota con il nome di lazzeruolo (o lazzarolo, azzarolo, azzeruolo e così via). L’arbusto, molto simile al comune C. monogyna, da cui si differenzia per una maggiore pelosità, produce frutti del diametro di circa 2 cm – ma fino a 4 cm in coltivazione – che sono eduli anche per l’uomo, grazie al loro sapore gradevolmente acidulo. Nelle piante coltivate, si nota che le spine sono assai meno frequenti, mentre il colore dei frutti può essere giallastro, rosato o anche biancastro.