









I fenici portarono il vetro nei loro viaggi avventurosi, gli egiziani trasformarono la valle del Nilo nel granaio del mondo, i Cartaginesi rifornirono di fichi il mercato di Roma, ma le merci che determinarono il commercio nell’area del Mediterraneo e che furono il simbolo stesso della civiltà greca furono il vino, l’olio e olive che viaggiavano nelle giare alloggiate nella stiva delle navi.
L’olivo simbolo delle fertili coste che si specchiavano sulle onde di un mare non ancora troppo ristretto, saldamente ancorato alla terra, nodoso e contorto per resistere al vento che spingeva le navi, e già simbolo stesso di quel commercio che sospingeva gli uomini e le idee alla conquista di nuovi spazi. Non per caso era di legno d’olivo il talamo nuziale che Ulisse, eterno viaggiatore, aveva costruito con le proprie mani.
Dall’oriente, come sempre
L’olivo nonostante sia considerata pianta mediterranea per eccellenza non è autoctono dell’area, ma, come ci ritroviamo spesso a scrivere di molte altre piante, e non solo di piante, arriva dall’Asia minore. L’oleastro era un frutice spinoso con frutti piccoli, aspri che, soggetti a spremitura, danno poco olio.
La selezione capace di trasformare l’oleastro in una vera e propria pianta da frutto fu compiuta nell’area dell’attuale Siria: furono i Fenici a diffonderla nei loro viaggi, ma la scarsa vocazione agricola di questo popolo non permise di sfruttare appieno un simile tesoro.
Gli antichi e l’olio d’oliva: una moltitudine d’usi
I romani impiegarono poco l’olio di oliva come alimento e può sembrare strano che tutta l’antichità non attribuisse una grande importanza ad un alimento che oggi è il simbolo stesso della cucina mediterranea.
La ragione è semplice: così tanti erano gli usi dell’olio d’oliva che la produzione era assorbita per la maggior parte dagli altri impieghi.
Poco importa la notazione latina secondo la quale l’olio d’oliva non era un alimento adatto a conservare le forze e ad irrobustire il fisico. Le case di Pompei, e i loro splendidi affreschi, così ricchi di olivi e olive, testimoniano quanto poco questa credenza trovasse poi conferma nella realtà quotidiana.
Il problema restava gli impieghi prioritari per l’olio d’oliva: l’illuminazione, e soprattutto l’illuminazione votiva, le unzioni funerarie, gli unguenti sportivi, i bagni e i massaggi.
Leggende, storie e cronache infinite
La presenza dell’olivo nelle leggende e la sua celebrità è tale nel fiorire delle civiltà attorno al bacino del Mediterraneo che si ritiene che l’olivo sia stata la prima specie arborea ad essere addomesticata. Già il codice del re babilonese Hammurabi ne regolava il commercio, gli egiziani lo diffusero in tutti i loro domini, i magazzini del palazzo di Mallia a Creta potevano accoglierne quantità incredibili come un vero e proprio centro di raccolta per il territorio e il commercio, i Fenici lo barattavano con l’argento dei popoli iberici prima che la coltivazione giungesse fin là.
Con i greci l’olivo entra nella storia più conosciuta e i riferimenti letterari sono talmente tanti, poetici e non solo, da considerare l’olivo come “prima fra tutte le piante”, anche se l’affermazione è più tarda, del latino Columella.
L’olio d’oliva oggi
La tecnologia impiantistica e di produzione, nonché l’affinamento delle tecniche colturali e la selezione di nuove varietà hanno portato ad un deciso mutamento delle caratteristiche dell’olio d’oliva. Oggi, in altre parole, l’olio di oliva è un prodotto assai diverso da quello prodotto cinquanta anni or sono. Sono cambiati i requisiti richiesti dal consumatore, dal mercato e dalle leggi con evidenti riflessi sulle caratteristiche finali dl prodotto.
Non spaventiamoci, non affrettiamoci a ripetere il vecchio adagio che non ci sono più le cose di una volta: oggi è forse vero il contrario, la tecnologia permette di ottenere e conservare prodotti d’elevata qualità che possono raggiungere anche zone lontane da quelle vocate alla produzione. Un olio fresco di spremitura, come alcuni slogan pubblicitari promettono, non poteva mantenersi inalterato trenta anni fa come adesso.
L’olio d’oliva ha cambiato pelle
Se non ha cambiato la sostanza, sempre quella che gli ha permesso d’essere “albero invitto” come cantava Sofocle, l’olivo, e l’olio d’oliva, ha sicuramente cambiato pelle, ossia il modo di proporsi. Ritroviamo l’albero nei giardini come esemplari di gran valore, e ancor più ci viene proposta una varietà di oli, tutti d’oliva, che ci potrebbe quasi confondere. Dietro un mare di denominazioni commerciali volte anche a catturare l’io emotivo del consumatore esistono comunque tipologie di riferimento ben individuate.
Ogni olio ha un sapore particolare, una nota tutta personale che, secondo anche i gusti personali, meglio si adatta ad un abbinamento o ad un uso particolare.
Per prima cosa, dobbiamo saper valutare queste diversità e il modo migliore resta ancora l’assaggio tale quale del prodotto o la sua prova su di un alimento base semplice quale può essere il pane.
Come si assapora un olio
La scelta del termine assapora non è casuale, ma mirata perché insiste sulla complessità dell’operazione, o meglio ancora, sulla completezza di questa.
Il colore è il primo parametro che valutiamo e dobbiamo considerare che spesso viene associato ad altre valenze, ma sono del tutto personali e non influenti sulla qualità dell’olio. Solo una tonalità rossastra deve metterci in allarme perché può indicare una cattiva conservazione del prodotto.
L’aroma deve essere valutato esaltandolo: basta versare un po’ d’olio in un bicchierino, meglio se svasato verso l’alto, non freddo, e farlo roteare prima di annusarlo con inspirazioni brevi e profonde.
Procediamo assumendo una quantità d’olio tale che possa essere trattenuta tra labbro inferiore e i denti serrati. Quest’operazione potrà sembrare macchinosa, ma una volta provata capiremo la differenza fra ingollare un cucchiaino d’olio e una corretta valutazione del prodotto.
A questo punto aspiriamo aria in modo da “vaporizzare” l’olio all’interno della cavità orale, dove il senso del gusto potrà finalmente apprezzare il prodotto. Valutiamo e memorizziamo le sensazioni cercando di definirle secondo il nostro personale background sensoriale.
Espelliamo l’aria dal naso confortando così le prime sensazioni sull’aroma.
Scopriremo in questo modo, se ripeteremo l’operazione, anche a distanza, su prodotti diversi, che esiste olio e olio, e nessuno ci sembrerà più soltanto olio, indefinito ed eguale a tutti gli altri.
L’alta qualità non s’inventa
Come per il vino, come per tutte le produzioni alimentari di punta la qualità non s’inventa, non si costruisce a tavolino o con l’aggiunta di uno speciale additivo in grado di emendare carenze strutturali, di sanare difetti acquisiti. L’olio d’oliva è un prodotto che nasce lontano, dalla qualità del terreno, dalla zona di produzione, dal tipo di alberi raccolti, dall’andamento stagionale, ma esistono buone regole ineludibili per il conseguimento di un traguardo oggi ineludibile: la qualità.
I frutti devono essere sani, maturi al punto giusto, cresciuti con un clima favorevole, raccolti direttamente dalla pianta, trasportati al frantoio in contenitori idonei ed aerati, moliti nel più breve tempo possibile e con impianti rispondenti ai requisiti tecnologici ed igienici.
Un solo olio, tante varianti
Tutti conosciamo, almeno indicativamente, l’acidità naturale come parametro qualitativo dell’olio d’oliva. Quest’acidità esprime il valore di acido oleico libera nell’olio, tanto è più bassa maggiore è la qualità e la stabilità dell’olio.
Quest’acidità valutata con parametri chimici non ha nulla a che vedere con quella sensazione di pungente che presentano alcuni oli particolarmente ricchi di polifenoli, sostanze ad azione antiossidante.
L’olio extravergine è il solo che sia ottenuto per processi soltanto fisici o meccanici di molitura, separazione, centrifugazione.
Questo è il prodotto che dobbiamo acquistare per la nostra tavola. Non rinunciamo alla qualità.
Ci rimane la scelta fra le molte varianti proposte dal mercato. Lo desideriamo di colore intenso o preferiamo un olio chiaro che ci spiri “leggerezza”? Lo vogliamo di sapore fruttato che ricorda l’oliva fresca, o preferiamo un sentore di fiori, di erba tagliata, del legno e del bosco? Ricerchiamo un olio corposo, quasi compatto, o preferiamo un prodotto a minore densità? Un sapore di mandorla, di pomodoro verde, leggermente amaro, pungente?
Non soffermiamoci su di uno soltanto perché l’Italia degli oli è ricca come l’Italia dei vini e dei formaggi. Trasformiamo le nostre vacanze, le nostre scorribande in possibili ricerche di bontà e se non ci capita, la moderna distribuzione ed il servizio domiciliare sapranno aiutarci.
Olive per la tavola
Sul mercato riforniamoci di olive fresche da tavola e proviamo a prepararle in casa.
Mettiamole a bagno una settimana in acqua e sale, 100 grammi per ogni chilogrammo di frutta, cambiando l’acqua tutti i giorni. Risciacquamole ogni volta in acqua corrente.
Scegliamo un vaso a bocca larga e mettiamo i frutti insieme con aglio, finocchio selvatico e peperoncino, ancora sale e acqua fino a coprire il tutto.
Lasciamo riposare al buio in una cantina a temperatura costante fino a giugno-luglio.
Sulla superficie si formerà una pellicola, una sorta di calcare che è bene non rompere e che indicherà il grado di maturazione del prodotto. Nell’ultimo mese assaggiamo per valutare la regolazione di sale. Una volta pronte invasiamo o disponiamo in tavola dopo averle sciacquate in una nuova salamoia.