Se intendiamo confinare il cipresso all’interno di un diffuso, ma troppo semplice, ambito immaginario cimiteriale compiamo un grave errore. Il nostro stile di vita oggi non si rapporta più in modo continuo con concetti quali la morte e l’immortalità dell’anima, assai più centrali nella concezione del mondo nelle antiche civiltà. Per questa ragione non ritroviamo immediatamente un patrimonio ricco di spunti e di richiami come può succedere per altre piante. Eppure la letteratura dell’antichità è ricca di citazioni che riguardano il cipresso.
Quando si parla di legni pregiati, di essenze particolarmente dure e durevoli citiamo troppo spesso alberi esotici dimenticando che anche fra i nostri annoveriamo esempi mirabili.
Il cipresso è fra questi.
Così durevole, così incorruttibile, così affidabile che il Signore stesso ordinò a Noè nel Libro della Genesi: “Fatti un’arca di legno di cipresso”.
All’olivo spettò l’onore di annunciare il ritiro delle acque ed il ritorno della vita sulla terra, ma il compito di salvare quella vita fu affidato soltanto al cipresso. Nessuno fra gli altri legni fu considerato all’altezza di superare una prova così ardua.
“Invece di spine cresceranno cipressi” annunciavano i profeti.
Il nostro cipresso è un figlio adottivo
Anche il cipresso, come molti altri alberi, arriva dall’oriente. Originario dell’Asia ha progressivamente esteso il suo areale di espansione verso l’Europa orientale ed il bacino del Mediterraneo divenendo albero pienamente adattato, parte integrale del paesaggio e della cultura dei popoli che attorno gravitavano e gravitano tutt’oggi. Cresce spontaneo nel nord dell’Iran, nell’Afganistan, nell’India settentrionale ed anche in Cina.
La Toscana come Delfi non sono pensabili senza i loro cipressi che da lontano si stagliano contro il cielo e contribuiscono a rendere uniche certe atmosfere.
Il nome latino “cupressus” deriva dal greco “cuparissos”, ma questo termine è preellenico e più precisamente cretese. Greci e romani pensavano che il cipresso fosse originario di quest’isola per via degli splendidi esemplari che ornano le pendici del monte Ida.
Un legno pregiato, ma poco conosciuto
Il legno di cipresso è caratterizzato da un colore giallognolo bruniccio con durame bruno più scuro ed a contorno irregolare. Privo di canali resiniferi, ha un forte profumo conferitogli dagli oli eterei contenuti che si trovano nella resina confinata nello strato della corteccia.
Presenta una tessitura molto fine con fibratura poco regolare per l’accentuata e grossa nodosità.
Il maggior pregio è la durabilità ottima anche in ambienti umidi o all’esterno.
Indicato per infissi esterni, per costruzioni navali, per lavori di artigianato, e per mobili destinati a conservare per lunghi periodi abiti e tessuti da corredo per la capacità di allontanare insetti e parassiti. In oriente ha un uso specifico per i soffitti delle case e per la componente di legno delle campane eoliche così diffuse in Giappone.
La coltivazione del cipresso
Il consumo nazionale di legno di cipresso è coperto dalla produzione nazionale. I tronchi di cipresso, la crescita è spesso lenta, sono commercializzati anche a diametro ridotto. E’ coltivato in filari, boschetti e qualche bosco concentrati per la maggior parte nelle provincie di Firenze e Prato.
La coltivazione permette di sfruttare, investire e valorizzare terreni scadenti e calcarei.
L’unica avvertenza è il freddo eccessivo che miete spesso molte vittime.
Il cipresso dell’Arizona è più resistente alle basse temperature, ma fornisce un legno meno pregiato.
Il cipresso è utile come pianta pioniera nei terreni privi di humus, come frangivento e, in passato, ma ancor oggi come riferimento, come termine di confine.
Segnava gli incroci delle strade, fiancheggiava i viali d’ingresso di abitazioni di rilievo, ai lati della casa, più semplicemente, era augurio di una lunga vita.
L’uso nell’antichità
Nei tempi passati il legno di cipresso aveva usi specifici sempre ricollegabili sia alle sue caratteristiche di grande durabilità sia al suo valore simbolico di pianta immortale legata tanto alla vita come alla morte. Le porte dei templi, le statue lignee, i sarcofagi e le bare di personaggi importanti presso gli antichi; gli strumenti musicali come i clavicembali in tempi più recenti.
Oltre all’Arca di Noè erano di legno di cipresso la flotta del grande Alessandro e le navi di Nemi.
La freccia dell’arco di Eros, lo scettro di Zeus e la clava di Ercole completano, fra mito e realtà, l’elenco degli impieghi possibili.
Cipresso simbolo di vita
In tutte le culture del passato il fuoco è sempre stato associato alla luce e quindi alla vita, all’essenza dell’immortalità e questo aspetto può essere ravvisato in molte delle prime divinità e personificazioni maschili degli antichi pantheon. I persiani, adoratori del fuoco, ritenevano il cipresso pianta sacra da coltivare in prossimità dei templi: la sua forma slanciata ricordava, infatti, la fiamma. Primo albero del paradiso: lo chiamavano.
Proprio la forma del cipresso lo ricollega al valore della vita, ma, in altre culture, per ragioni diverse. Per gli antichi romani la sua forma vagamente fallica lo indicava quale simbolo di fertilità. Era usanza porre a guardia delle terre coltivate, campi, giardini, vigne, statue di Priapo intagliate nel legno di cipresso.
Per la stessa ragione si piantava, in forma augurale, un cipresso per ogni figlia femmina nata.
Il poeta Catullo, famoso per le sue liriche amorose, annovera il cipresso fra gli alberi che gli sposi erano soliti ricevere in dono a conferma del suo valore simbolico riconducibile al perpetuarsi della vita.
Nella tradizione novellistica dell’area mediorientale era simbolo dell’amante che si accompagnava e contrapponeva per la figura femminile alla rosa. Questa valenza, del tutto perduta in occidente, si è mantenuta viva in oriente dove il valore simbolico delle piante fa ancora parte della cultura comune.
Come sempreverde era considerato simbolo di vita, ma più ancora lo era per l’estrema longevità. Raggiunge e supera i cinquecento anni e fonti documentate testimoniano di esemplari millenari. Nel nord Africa esemplari di Cupressus duprezania raggiungerebbero, secondo attuali valutazioni, la rispettabile età di 4.000 anni.
Cipresso simbolo di morte
La valenza simbolica del cipresso ha radici antichissime, più recente è l’associazione con il simbolismo funerario. Tutto parte con i poeti Latini che ripresero il mito greco che fino a quel momento era rimasto letteratura soltanto.
Ovidio, acrobata della parola e finissimo poeta, nelle sue “Metamorfosi” narra di Ciparisso e del suo fantastico cervo dalle corna d’oro. Un gioco crudele del destino, come il mito greco spesso ci ha insegnato, pose fine a quell’amicizia. Un giavellotto lanciato per gioco trafisse il cervo che sdraiato nell’erba alta era nascosto alla vista.
Deciso a morire per seguire il compagno di una vita fatta di giochi, Ciparisso eluse l’intervento di Apollo accorso a consolarlo e, come aveva chiesto, fu trasformato in un cipresso a simboleggiare un lutto eterno.
Attraverso altri miti (la metamorfosi delle figlie di Etocle) e altri usi (secondo Terenzio Varrone i rami erano impiegati nella cremazione), attraverso i versi di altri poeti (Virgilio che lo considerava un albero cupo) e l’interpretazione di epoche successive (il Marino lo usò come monito contro un eccessivo amore delle cose terrene), giungiamo a quella che resta la più sentita riflessione sulla morte in cui il cipresso compare.
Lo ricorderemo in molti per averlo studiato sui banchi di scuola, forse più soffrendolo che apprezzandolo, l’irrequieto Foscolo e i suoi Sepolcri: All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?
Le leggende di San Francesco
Due sono le leggende che legano il cipresso al più popolare dei santi italiani. San Francesco nell’anno 1213, vicino Forlì, accortosi che uno dei pezzi di legno del fuoco di bivacco non bruciava lo allontanò dal braciere e lo mise sottoterra con le parole “Se proprio non vuoi bruciare, ritorna a vivere.” Da quel tronchetto nacque il cipresso che ancor oggi si trova presso il convento di Santa Croce.
Due anni più tardi, secondo un’altra leggenda, il santo fondò il convento di Villa Verrucchio attorno ad un ramo di cipresso piantato al centro del futuro chiostro. Il ramo che avrebbe radicato, e vive ancora dopo quasi quattrocento anni, era stato un dono di commiato a Francesco dalla famiglia Leonardi.
L’uso delle galbule
La fortuna del cipresso come pianta medicamentosa è antichissima. Le prime tracce si ritrovano in un testo assiro databile intorno a 3500 anni fa, ma fu la diffusione dei testi di Dioscoride che ne trattavano ampiamente a rilanciare il suo impiego dal medioevo in poi.
La parte impiegata sono i frutti, quelle che potremmo chiamare le pigne del cipresso, meglio dette galbule. I principi attivi contenuti sono attivi sulle stasi venose e nelle tossi spasmodiche con dispnea.
Molto più semplicemente potete impiegare i rametti di cipresso carichi di galbule per splendide decorazioni natalizie. Il riflesso argentato consente di non ricorrere a colorazioni aggiuntive e creano un contrasto assai riuscito con elemento di verde più deciso come quello dell’abete. Una volta fissati con ferretti verdi da fioraio basterà aggiungere un bel fiocco e qualche pigna raccolta al momento opportuno, perfette quelle del pino strobo, un rametto con i rossi cinorrodi della rosa canina, o le bacche tolte alla siepe di piracanta, per riuscire a confezionare un mazzo augurale da appendere alla porta o al muro esterno di casa. Con una spesa contenuta e con una non trascurabile soddisfazione personale.