Robinia pseudoacacia (robinia)

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Ognuno ha la sua pianta preferita. La Robinia, Robinia pseudoacacia è per me l’albero dell’infanzia quando passavo buona parte dell’estate, la migliore, in campagna a casa di mia nonna e di pomeriggio si partiva col cesto per far l’erba e la foglia per i conigli. Erano foglie di Robinia, o meglio foglioline, perché noi bambini le raccoglievamo sgranandole, lasciando i rachidi nudi. Nessuno la chiamava Robinia, ma soltanto “maruga” e ancor oggi mi sembra sempre di parlare di due piante diverse.

Razionalmente, credo sia questa la ragione che mi fa rende concorde con tutti quanti nel pensare alla Robinia come a una pianta infestante da non propagare, ma, sentimentalmente, non riesco a giustificare gli abbattimenti spiegati con un’alzata di spalle e un “era solo una maruga, ce ne sono tante e crescono in fretta” o, davanti ad una capitozzatura che grida giustizia, “non ho mai visto una maruga seccarsi, vedrai come ributta l’anno prossimo”.

L’albero dei contrasti…

Le rose rappresentano il contrasto per antonomasia fra la ricchezza del fiore e l’implacabile presenza delle spine, ma anche la Robinia ha spine che, lignificandosi, sanno farsi temere e fiori, tantissimi, in ricchi grappoli dal profumo invitante.

Le querce rappresentano forse l’albero monumentale per eccellenza, con la loro geometria precisa e al contempo contorta. Anche la Robinia, quando ha la fortuna di poter diventare centenaria, diviene un albero maestoso, ma al tempo stesso si propaga a una velocità inconsueta, formando lungo le strade vere e proprie siepi o boschetti in purezza. Una vera e propria infestante, se vogliamo seguire il parere di non pochi esponenti del giardinaggio, dell’arboricoltura, della progettazione del verde e del paesaggio.

Il castagno, dal medioevo in poi, è stato sicuramente l’albero più intimamente legato all’economia contadina, per l’importanza assunta come fonte alimentare anche in zone dove non era presente. La farina di castagne rappresentava, infatti, una quotata merce di scambio fra pianura e montagna per ottenere frumento e sale. La Robinia – pur essendo originaria del continente nord americano, e quindi una straniera venuta da lontano – si è tanto ambientata e diffusa da ritagliarsi un ruolo tutto suo nell’economia contadina. La foglia, i fiori, il legno: tutto trovava valido impiego.

Di padre in figlio, di Robin in Robin: il segreto di un nome che ha messo radici ovunque

Il nome Robinia ne nasconde un altro, quello di un’importante famiglia di giardinieri: i Robin, francesi e al servizio del re.

Jean Robin, nato a Parigi e vissuto in Francia a cavallo del 1600 (1500-1628), fu il primo a mettere a dimora e a far germogliare in Europa i semi di Robinia. Precisamente in Place Dauphine: mancava poco allo scoccare del secolo.

Nel 1601, pubblicando le specie esotiche che coltivava, faceva menzione di questo nuovo albero, che ancora non portava il suo nome. Gli annali avrebbero in ogni modo ricordato Jean, perché Enrico IV lo insignì del titolo di “arborista, botanico del Re, curatore del “Giardino della Facoltà”; quella di medicina, dato che nel giardino si coltivavano le piante medicinali.

Fra i discendenti diretti della Robinia di Robin padre non possiamo non ricordare quella che nel 1636 il figlio, Vespasian, trapiantò nell’attuale Jardin des Plantes, un tempo Jardin du Roi, la più vecchia oggi esistente.

Anche di Vespasian si sarebbero in ogni modo ricordati gli annali, perché era succeduto al padre e si fregiava anche di altri incarichi dal nome magniloquente.

L’albero di origine americana e di adozione francese, cui fu giustamente imposto il nome di Robinia, divenne di gran moda come ornamentale da giardino. La sua diffusione fu dunque assai più rapida di quanto avrebbe potuto essere la diffusione naturale, già di per sé efficientissima.

La Robinia e la zootecnia rurale

La Robinia si integrò benissimo nell’economia rurale, sfuggendo, per disseminazione naturale, ai giardini dove era coltivata come specie esotica.

Dalla sua aveva molteplici virtù: cresceva rapidamente e poteva essere impiegata come miglioratrice dei terreni poveri delle brughiere sassose; come pianta spinosa poteva essere concorrere a formare siepi di confine difensive; forniva una foglia molto proteica particolarmente gradita agli animali durante la stagione estiva, quando il pascolo iniziava a scarseggiare e era soprattutto prediletta dai conigli, che rappresentavano una delle migliori merci di scambio da inviare ai mercati cittadini; forniva legname idoneo per la costruzione di ruote a raggi indispensabili nei carri agricoli dell’epoca, ingranaggi, pioli per le scale, bastoni e utensili da cucina.

Per questa sua lunga frequentazione delle campagne europee e della vita quotidiana di decine di generazioni di agricoltori, la Robinia non ci pare soltanto pianta perfettamente acclimatata, ma protagonista a pieno diritto del panorama botanico.

La Robinia è pianta da strada

La Robinia si adatta in modo incredibile a vivere lungo gli argini di qualunque strada. Le ragioni sono sempre le stesse: velocità di accrescimento, facilità di diffusione, resistenza ai tagli ripetuti. A queste dobbiamo sicuramente aggiungere un’indubbia capacità di resistere alla pressione esercitata dai molteplici gas di scarico del traffico.

Vi farò un esempio soltanto, ma credo abbastanza illuminante. Considerate con attenzione la vegetazione presente sui contrafforti dei cavalcavia, lungo un tragitto autostradale del centro-nord della nostra penisola, e rileverete una netta prevalenza di Robinia; retaggio di un passato in cui venne impiegata proprio per consolidare i terreni franosi o di riporto, è oggi rimasta l’indiscussa padrona.

Attraversando il Piemonte, lungo il tratto autostradale Piacenza-Torino, dovreste convenire che l’albero tipico non dovrebbe più essere considerato il nocciolo, ma la nostra spinosa protagonista.

Duro e flessibile allo stesso tempo: ecco il legno di Robinia.

Il legno di Robinia viene oggi normalmente impiegato per due usi completamente differenti fra loro e, sicuramente, con una valorizzazione assai diversa.

Il primo, il più comune nelle attività rurali, è lo sfruttamento per paleria varia o, occasionalmente, ancora per lavori di falegnameria pesante, per lavori da carradore e da bottaio.

Il secondo, di pregio e monetizzazione più elevata, è l’impiego per liste e blocchetti da pavimento molto apprezzati.

Per il primo impiego, il fabbisogno del mercato italiano viene quasi completamente soddisfatto dalla produzione interna, mentre per il secondo impiego si ricorre a una significativa importazione di tavolame o semilavorati dai paesi del sud est europeo, in particolar modo dall’Ungheria.

La Robinia viene solitamente governata a ceduo per la produzione di legna da ardere di qualità non eccelsa e di paleria. La crescita veloce in altezza della pianta non si accompagna ad un proporzionale allargamento del fusto e così il diametro, quasi sempre al di sotto dei 50 cm., resta il punto debole della pezzatura del legname fornito.

I difetti peggiori sono le frequenti tensioni interne e gli attacchi fungini, che portano a un rapido decadimento della qualità dei tessuti.

Gli anelli di accrescimento sono ben visibili, l’alburno, di spessore limitato e di scarsa durabilità si presenta giallognolo, il duramen bruno verdastro o bronzeo.

Il peso specifico per metro cubo è di 1050 kg. allo stato fresco e di 750 kg. al termine della stagionatura, che avviene piuttosto lentamente.

La durezza è da media a elevata, ottimo il comportamento all’urto.

La corteccia si presenta con solchi e costolature longitudinali che nel tempo si approfondiscono e assumono colori giallastri.

L’albero delle frittelle.

Tutti conoscono il miele di Robinia, ossia di acacia, meno, invece, apprezzano i fiori impiegati in cucina per frittelle strepitose.

La prima difficoltà che incontrerete nell’esecuzione del piatto che vi proporrò consiste nella ricerca e nell’individuazione di Robinie che si trovino lontano dalle strade. La vicinanza a strade asfaltate, specie se di grande traffico, sconsiglia infatti la raccolta e l’impiego alimentare dei fiori.

I fiori vanno raccolti quando sono ancora in boccio o quando la loro apertura non è completata e già sul grappolo si possono individuare i primi segni di avvizzimento. Potete raccoglierli in grappoli spiccando l’intero racemo, glabro e pendulo, dalla pianta, o sgranandoli direttamente.

Per le frittelle salate vi consiglio di sgranarli, passarli nella patella da frittura che solitamente impiegate, e friggerli deponendo l’impasto a cucchiai nell’olio non troppo bollente. Se l’olio si rivelerà troppo caldo e la quantità di pastella o la sua capacità di legare insufficienti i fiori tenderanno a separarsi e a dividersi vanificando il vostro sforzo con una riuscita culinaria non adeguata. Salate a piacere dopo la frittura e servite con un formaggio fresco e di sapore particolare come il caprino.

Potete tranquillamente impiegare la stessa pastella per la frittura dei fiori di zucca; se invece siete nuovi a questo tipo di preparazioni, fate riferimento allo collaudato Artusi.

Per le frittelle dolci, tenete la pastella di frittura scarsa, ma non del tutto priva, di sale. Friggete i fiori raccolti in grappoli e cospargeteli ancora caldi di zucchero o di zucchero a velo. Se volete esagerare, accompagnateli nel piatto con un cucchiaio di miele d’acacia.

Per la preparazione di un profumato ed interessante liquore, disponete a strati alterni in una pentola di acciaio 125 grammi di fiori ancora in boccio, e dunque profumatissimi, con 500 grammi di zucchero. Lasciate riposare per 24 ore e aggiungete un litro di alcol puro, due generosi cucchiai di miele di acacia, 250 grammi di acqua di fonte bollita e lasciata raffreddare in recipiente coperto. Mescolate fino a quando il miele e lo zucchero si sono completamente disciolti nell’alcol e nell’acqua. Lasciate macerare a freddo per una settimana prima di filtrare con una garza. Aspettate almeno fino a Natale prima di aprire le piccole bottiglie che avrete preparato; è una preparazione a forte gradazione e potete anche diluirla o sostituire una parte di alcool con acqua.

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