Carpinus betulus (carpino bianco)

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C’era un tempo in cui un alberello di nome carpino era guardato come il parente povero del faggio e tanto poco considerato che nei giardini non vi faceva quasi capolino, forse perché era così diffuso in natura che appariva poco sofisticato. Un bel giorno qualcuno scoprì che quel tronco non perfetto, un po’ irregolare, conferiva vivacità alla pianta, che quelle foglie talmente lucide e profondamente incise dalle nervature avevano qualcosa di speciale e che si poteva continuare a infierire su di lui, a tagliare e a potare e a capitozzare, che lui con un’ostinazione tutta particolare proseguiva a ricacciare nuovi germogli e nuove foglie sempre più vigorosi e belli. E il carpino entrò trionfante nei giardini, diventando una delle specie più diffuse proprio a formare siepi anche topiate che fino a quel momento gli venivano negate, preferendogli specie all’apparenza più nobili o esotiche. In realtà le ville del ‘600 – ‘700 italiane ancor oggi sono adornate da lunghe siepi di carpino, ma nella progettazione del verde più moderna i carpini la fanno da padroni da non molti anni, forse da quando si è scoperto il fascino della stagionalità e si è valorizzata la naturalità.
In latino il suo nome è Carpinus betulus, carpino bianco in italiano per distinguerlo da un cugino, l’Ostrya carpinifolia, denominato carpino nero, dal quale si riconosce perché le sue foglie non presentano nervature terziarie, caratteristiche invece dell’Ostrya. Il Pignatti ascrive entrambi i generi Carpinus e Ostrya alla famiglia delle Corylaceae, comprendente anche il Corylus (nocciolo), mentre altri trattati di botanica sistematica riuniscono i tre generi nella famiglia delle Betulaceae, comprendente pure i generi Alnus (ontano) e Betula (betulla).

Toponimi
Fitonimi
Carpaneto Piacentino, Carpegna, Carpendolo, Carpeneto, Carpi, Carpignano, Carpineti, Carpineto (della Nora, Romano, Sinello), Carpino, Carpinone

Dicono di lui
I bussi e i carpini erano commisti, le foglie sempreverdi si confondevano con le morienti, quelle più fosche con quelle più pallide, in un contrasto di vigore e di languore, in un’ambiguità che aumentava lo smarrimento… (D’Annunzio)

Oltre il muro / si sfioccano, aerine, le ghirlande / dei carpini che accennano / lo spumoso confine dei marosi. (Montale)

Esigenze climatiche e fitocenosi
Il nostro carpino è una specie a larga amplitudine; in Italia è molto frequente al nord ed è un tipico abitatore delle zone di media montagna: cresce rigoglioso a un’altitudine corrispondente a quella dei boschi di castagno e di faggio, ma può insediarsi nelle zone collinari o addirittura in quelle pianeggianti. Difficilmente forma boschi puri e spesso si associa al nocciolo, al frassino, al cerro e al faggio. Dotato di ampia adattabilità, vegeta bene sia in climi freddi, sia in climi temperato-caldi e viene classificato quale tipico abitatore dei climi mesofili e freschi. Specie sciafila, essendo pianta dominata e non dominante, si adatta in posizioni di mezza ombra ma anche al sole. Resiste ai freddi intensi, ma teme la siccità prolungata. Predilige terreni sciolti, freschi e profondi a pH da neutro a mediamente acido, pur adattandosi abbastanza bene anche ai terreni di natura calcarea. Ha capacità migliorative del terreno.
In alcuni boschi appenninici del Centro Italia, in prossimità dei canaloni di impluvio, le condizioni di clima fresco ed umido permettono lo sviluppo della consociazione di nocciolo (Corylus avellana) e carpino bianco che può presentarsi con un caratteristico aspetto “a galleria” e ospitare nello strato erbaceo numerose specie tipiche della faggeta quali la stellina odorosa (Galium odoratum), il bucaneve (Galanthus nivalis), la scilla (Scilla bifolia), la gagea (Gagea lutea) e la dentaria (Cardamine bulbifera).

Descrizione
E’ una pianta molto robusta e tollerante nei confronti di molte avversità, persino all’inquinamento delle città, tanto da poterla annoverare tra le specie più adattabili al terribile e selettivo ecosistema urbano. E’ peculiare la capacità di conservazione delle foglie secche sui rami per tutto l’inverno, fino allo schiudersi delle gemme in primavera.
Si presenta come albero alto in media 10-12 metri, ma che potrebbe raggiungere anche i 20-25 in condizioni ambientali favorevoli e se l’uomo glielo permettesse; dopo tre anni dalla nascita giunge ai 120 cm, mentre dopo sei arriva ai 150 – 250 cm, quindi il suo accrescimento è medio-lento. Il suo portamento è eretto con chioma globoidale, regolare e ampia; i rami primari sono ad andamento ascendente, mentre quelli secondari sono penduli. Ha la corteccia di colore grigio cinerino, liscia da giovane ma che negli individui più vecchi si scanala diventando simile a quella della quercia. L’apparato radicale è generalmente superficiale.
Le gemme sono ovato allungate, con perule marroni, pubescenti e appressate al ramo. Le foglie sono caduche, lunghe 5-11 cm, semplici, alterne, con corto picciolo e base arrotondata, doppiamente dentate ai margini e acuminate all’apice, di colore verde cupo superiormente e più chiare inferiormente anche per la presenza di una fine peluria addensata in corrispondenza delle nervature.

I fiori sono poco vistosi, monoici e riuniti in amenti: quelli maschili sono penduli e portati in gruppi di 2 o 3, quelli femminili sono dapprima eretti poi penduli. Le infiorescenze maschili sono lunghe non più di 4 cm e formate da squame rossastre. Le infiorescenze femminili sono più corte e formate da brattee che si inseriscono sull’asse della infiorescenza in gruppi di tre. Se non viene potato, produce a metà primavera una caratteristica infruttescenza (Foto 6) che assomiglia molto a quella del luppolo: il seme è un achenio liscio e lucido, protetto da una brattea membranacea. Due delle brattee che compongono il fiore femminile permangono a proteggere il frutto, il quale si presenta circondato da una lamina fogliacea divisa in tre lobi, che favorisce la disseminazione ad opera del vento.

Assortimento varietale
Il Carpinus betulus nella sua forma originaria, non modificata, è acquistabile con grande facilità e ottimi prezzi presso tutti i vivai italiani. Viene chiamato nel linguaggio comune “carpino da seme” per distinguerlo dalle sue cultivar, riprodotte per innesto.  Grazie alla sua elevata tolleranza alle potature, è la pianta per eccellenza per la formazione di siepi foggiate, di gruppi monospecifici o di dense quinte di verde “neutre” utili a esaltare arbusti dalla forma architettonica. Se mantenuto ad albero, cioè con un unico fusto, rimane di media altezza; come abbiamo detto è di ampia adattabilità e molto rustico, poiché pur prediligendo i terreni freschi cresce anche in quelli asciutti. La specie originaria è utilizzata come portainnesto della cultivar “Pyramidalis”, denominato appunto carpino piramidale; questo è di forma compatta, colonnare da giovane e piramidale da adulta, al contrario della specie perde le foglie secche nel periodo invernale, ha lembi fogliari più piccoli e anch’essa non richiede potature per rimanere compatta. Per quest’ultimo motivo è una pianta straordinaria per le alberature stradali cittadine, conservando inoltre tutte le caratteristiche di tolleranza alle malattie e allo smog del carpino bianco. Con tutta probabilità. Fin dalla prossima primavera, sarà presente in piccole quantità sul mercato italiano, una cultivar denominata “Albert Bekman”, della quale non garantiamo l’esatta grafia del nome, che conserva le caratteristiche della “Pyramidalis” differenziandosi da questa solo per il mantenimento della foglia secca nel periodo invernale, così come fa la specie originaria. Il nome “Pyramidalis” compare in tutti i cataloghi vivaistici italiani, ma non è presente nei cataloghi stranieri e non è ammesso nei dizionari di botanica ove viene citato, invece, con il termine “Fastigiata”.
Un altro mistero botanico è la forma “Monumentalis”, alberatura bassa, a forma di fiamma perfetta, che non necessita neppure del più piccolo colpo di forbice per rimanere raccolta, con foglie piccole e internodi raccorciati, davvero eccezionale ogni qual volta si abbia a disposizione poco spazio; ne abbiamo visti alcuni rari esemplari pluridecennali in un vivaio del Nord Italia, nel quale probabilmente è nato il nome “Monumentalis”, di una bellezza davvero straordinaria tanto da farci sostenere che questa cultivar ha tutte le doti per diventare una delle più impiegate nei piccoli giardini di città o negli angoli più angusti. Il mistero cui si accennava è che non compare nei dizionari di botanica ove è presente, invece, la cultivar “Columnaris” dal cui nome si dovrebbe desumere, però, una forma della pianta adulta differente dal cosiddetto “Monumentalis”; sarebbe utile che un buon botanico approfondisse l’argomento per dirimere i dubbi.
Infine, un’ulteriore cultivar di Carpinus betulus è la “Purpurea”, che si differenzia dalla specie originaria per la colorazione rossastra assunta dalla giovane vegetazione in primavera.
Al genere Carpinus vengono ascritte altre specie poco note e rare in Italia. Fra queste citiamo il Carpinus orientalis, piccolo albero o grande arbusto alto fino a 15 metri, che si differenzia dal C. betulus per le foglie più piccole. Tipico dell’Europa sud-orientale, è una specie che vive su terreni secchi, calcarei di bassa quota. Si adatta meglio del carpino bianco nei terreni degradati, poveri, acidi o calcarei ed è più resistente ai danni da incendi. E ancora vi sono specie originarie dell’Asia (C. polyneura, C. laxiflora, C. cordata, C. japonica) e dell’America (C. caroliniana) delle quali ben poco si sa sulle loro capacità di adattamento ai nostri climi.

Usi
Specie da siepe per eccellenza, il carpino bianco è consigliabile anche per la formazione di gruppi monospecifici di 3 o 5 esemplari o di boschetti plurispecifici in mescolanza con specie più alte e longeve, quali querce, faggi, ontani e olmi. E’ raccomandabile per cortine frangivento e, come già detto, per siepi topiate e per le alberature urbane, soprattutto nella cultivar C. b. pyramidalis se impalcata ad una altezza da terra di 220 – 240 cm. E non riusciamo a esimerci dal caldeggiare ancora una volta la piantagione del cosiddetto “Monumentalis”, anche come esemplare singolo in un giardino di piccole dimensioni.
Le foglie e i rametti danno un buon foraggio per gli animali da allevamento, tanto che nelle campagne, dove era allevato per la produzione dei giovani rami impiegati per svariati usi, veniva potato ad una altezza superiore ai 200 cm, al fine di diventare irraggiungibile per gli animali.
Il legno è chiaro, con raggi midollari ben visibili, omogeneo, duro e pesante tanto che, quando non era ancora disponibile l’acciaio a costi accessibili, veniva adoperato per  farne raggi di ruote, ingranaggi o attrezzi, quali i ceppi da macellaio, mazzuoli e bocce; è anche un ottimo combustibile sfruttato per ricavarne carbone. La corteccia può essere utilizzata per tingere in giallo la lana; anche in erboristeria trova il suo impiego per le capacità astringenti.

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