Giardino scolastico (quasi) segreto

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Rose in cattedra a Pallanza, sul Lago Maggiore

L’avventura ebbe inizio nel 1989, quando alcuni docenti della scuola media “Cadorna” di Pallanza (Lago Maggiore) furono autorizzati ad avviare un singolare progetto didattico, essenzialmente volto al recupero di abilità manuali per ragazzi svantaggiati. Si sa come vanno a finire certi programmi, apparentemente limitati, in quelle (rare?) scuole in cui le cose funzionano davvero, quando cioè vi operano presidi lungimiranti, insegnanti capaci e motivati, ma anche alunni in gamba e desiderosi d’imparare. Senza contare che, in questi casi, si mettono in movimento anche le famiglie più refrattarie. In poche parole, l’entusiasmo prese il sopravvento sul piano di lavoro e ci mancò poco che quel plesso scolastico si trasformasse in un autentico punto di riferimento nazionale per la coltivazione di rosai rari e, soprattutto, vigorosamente sviluppati. Sì, perché il progetto prevedeva -di là dagli obiettivi didattici di cui noi qui, necessariamente, non ci occuperemo – la realizzazione di un laboratorio di giardinaggio, mirante in modo particolare all’impianto e alla coltivazione di rose antiche, ovviamente negli spazi annessi all’edificio scolastico.

Tra scuola e museo

La media “Cadorna”, infatti, è localizzata in un’area semi-centrale della città lacustre, usufruendo di parte dei locali di un palazzo storico – appartenuto ai Biumi Innocenti – che a sua volta è addossato ad altri edifici, dai quali è parzialmente separato per mezzo di un alto muro, che nel XIV-XV secolo appartenne ad un convento di monache Agostiniane. In altre parole, un luogo impregnato di cultura e di memorie profondamente significative, che peraltro fu utilizzato in passato anche come caserma, con conseguenze facilmente intuibili sul piano delle modifiche edilizie. Le strutture e gli impianti previsti per il laboratorio di giardinaggio furono concentrati su tre aree. La prima – in seguito chiamata “Giardino delle Rose” – è contigua al grande cortile militare, che si apre di là dall’ingresso del palazzo; la seconda, di più modeste dimensioni, è denominata “Giardino dei Profumi” e funge da raccordo fra la prima e la terza area, mentre quest’ultima è la più nascosta, essendo racchiusa sui quattro lati fra l’ala nord del palazzo e il famoso muro conventuale: la definizione di “Giardino Segreto” fu quasi ovvia. Qualche anno dopo, nel corpo di fabbrica settentrionale, diversi vani furono assegnati ad un’altra istituzione ‘storica’ di Pallanza e del Verbano, il “Museo del Paesaggio”, che ora quindi si trova a stretto contatto con un roseto d’eccellenza, in mutuo scambio d’amorosi sensi.

 

Decadenza e rinascita

Poiché anche i piani di lavoro più interessanti e fruttuosi, nel nostro ordinamento scolastico, frequentemente vengono ostacolati da “esigenze superiori” (vale a dire dal vuoto), dopo il 1991 il progetto si arenò, con conseguenze drammatiche sullo stato di salute dei giovani rosai. Il degrado fu inevitabile, ma, alcuni anni dopo, grazie alla tenacia di un paio di professori – Narciso Romanò (l’anima botanica e orticola del progetto) e Maria Grazia Reami Ottolini (l’anima culturale) – e alla collaborazione della classe II C dell’anno 2001-02, tornò alla carica e operò un restauro esemplare, con i risultati che su queste pagine parlano meglio d’ogni relazione scritta. Oggi il prof. Romanò è un felice pensionato solo “teorico”, che nel roseto continua a prestare la sua opera quasi senza sosta, mentre la prof. Ottolini cura le pubbliche relazioni, con altrettanta passione e garbo.

Un roseto di qualità

Fin dalle origini, il roseto di Pallanza fu impostato sulla base di principi didattici, con l’intenzione cioè di tracciare la storia della coltivazione di un genere universalmente conosciuto e amato. L’attenzione si diresse perciò sulle specie botaniche e sugli ibridi “antichi”, i cui rosai furono ricercati presso i migliori vivai nazionali e stranieri e messi poi a dimora nel sito più adatto alle rispettive esigenze. La scelta delle piante, accompagnata da precise ed amorevoli cure colturali, ha avuto esiti a dir poco felici, tanto che ora non ci sembra una forzatura affermare che, per la crescita vigorosa d’alcuni esemplari, la scuola di Pallanza non teme rivali. Si pensi, per fare un paio d’esempi, all’eccezionale sviluppo di una varietà rampicante poco conosciuta, ‘La Follette’, che oggi ricopre per intero una vasta parete di confine, o di un esemplare di Rosa laevigata, che a Pallanza sembra trovarsi meglio che non nella sua originaria Indocina. Insomma, non una banale scopiazzatura scolastica, ma un roseto da visitare e da ammirare.

Le regole di “Cadorna”

Il prof. Narciso Romanò, attorniato dai suoi ex-alunni, c’insegna i segreti per coltivare rose antiche e, in particolare, quattro piante che, nel giardino della scuola di Pallanza, hanno attecchito senza problemi e si sono dimostrate particolarmente vigorose. Le norme di base non pretendono d’essere nuove, ma è meglio ricordarle spesso: se applicate con rigore e continuità portano ad un immancabile successo.

Terreno: deve essere sciolto, ben drenato, con pH 7 o poco più

Concimazione: va assicurata una buona fertilità, con materiale organico ben decomposto, o concimi chimici a lenta cessione su base fosforo-potassica

Esposizione: le rose richiedono di norma molto sole, tranne poche eccezioni che tollerano anche la mezz’ombra. Attenzione anche al “giro del sole”, cui esse sono molto sensibili, ma è indispensabile fare esperienza sulle esigenze proprie di ciascuna varietà o specie, in genere le rose vogliono un’esposizione ad est-sud-ovest

Accostamenti: essendo molto “aristocratiche”, le rose soffrono per la competizione con altre piante arbustive o ad alto fusto, fatta eccezione per le rampicanti che sono adatte a salire sugli alberi

La scelta delle varietà: è opportuno orientarsi verso quelle dotate di un notevole “pedigree”, perché sono le più resistenti ed affidabili in tutti i sensi

Un consiglio: se s’intende realizzare un giardino di sole rose (o quasi), è meglio preparare in anticipo tutto il sito, in modo da metterle a dimora tutte contemporaneamente, inoltre, fra le varietà rampicanti e le altre è meglio mantenere una certa distanza

Quattro rosai d’eccezione

Rosa gigantea

L’esemplare fu messo a dimora nel 1991, alla base d’un frondoso Ligustrum lucidum, che non era mai stato potato e che aveva raggiunto l’altezza d’una decina di metri. Il sito è soleggiato, ma non per tutta la giornata. La pianta crebbe con grande rapidità, producendo getti lunghi 3 m o più e andando a svettare su tutti i rami del ligustro, sino a formare lunghissimi tralci ricadenti che in primavera si ricoprono di cascate di fiori candidi. Quando trova le condizioni ottimali, R. gigantea è quasi incontrollabile, necessitando di ampi spazi e grandi altezze, in modo da poter esprimere tutte le sue potenzialità.

Rosa laevigata

Abbastanza simile a R. gigantea, questa specie è ancora più bella perché possiede petali che ricordano la porcellana. L’esemplare di Pallanza fu addirittura sorprendente quando ad un tratto decise di raggiungere, in poco tempo, la grondaia del tetto della scuola, che si trovava a non meno di 8 m dal suolo. Come se fosse in grado di capire la direzione del suo viaggio, s’infilò in tutti i pertugi disponibili, ancorandosi saldamente ad ogni minimo appiglio, per poi ricadere e formare magnifiche ghirlande di fiori bianchi.

Rosa brunonii ‘La Mortola’

E’ un esemplare di gran pregio, per via dei suoi mazzi di fiori semplici, bianchi, di media grandezza, disposti a cascata, e del fogliame sempreverde con riflessi azzurrognoli. La sua capacità di salire in alto fino a dove glielo si concede è davvero straordinaria: nel nostro caso, sulla parete su cui s’è arrampicata, ha raggiunto i 10 m, forse superandoli.

Rosa ‘La Follette’

Degna discendente di R. gigantea, questa rosa è veramente una “folletta”. I suoi boccioli rosa carnicino hanno la forma dei vecchi sigari “toscanelli”, aprendosi poi per mostrare fiori dai petali disordinati, che le conferiscono un fascino tutto suo. Nel nostro caso, essa è salita per circa 7 m, colonizzando l’intera parete di un edificio, anche se riteniamo che se lo spazio concessole fosse stato più ampio, il suo sviluppo sarebbe stato maggiore. Ora, infatti, sta cercando di crescere in orizzontale, tanto che si rende necessario un suo controllo anche su questo piano.

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