Ai primi del ‘900, Wilhelm Kempf, scolaro a Jùteborg, vicino Potsdam, scrive, sul come usare un milione, l’insolito desiderio di spenderlo per una casa a Capri…
…Circa vent’anni dopo il destino, nelle vesti della regina Vittoria di Svezia e di una grave forma di anemia, lo porta, già affermato pianista, proprio a Capri, ospite di Axel Munthe scrittore e medico personale della sovrana. Ma a distanza di due anni, durante una gita in Costiera Amalfitana, Positano lo seduce irrimediabilmente…
Negli anni ’50, Kempf, ultimo erede della scuola pianistica tedesca classica, si trasferirì stabilmente con sua moglie a Positano, lucente, odorosa di cedri e limoni, scegliendo a dimora l’eremo difficile e bellissimo, lungo una spirale d’olivi addossati alla roccia a strapiombo su marecielo, di Casa Orfeo. Sotto la furia turchina di un cielo di smalto, appena filato di nuvole, il riflesso estenuante del calore ondula i confini sulla sella di strada che divide le viottole per scendere o salire a Positano.
Sponde muschiate trapelano dal bosso e Annette von Bodecker, direttrice della Fondazione Orfeo, affettuosa ospite, tutrice di questo onirico paesaggio, discepola, amica e memoria vivente di Kempf, mi viene incontro. Lieve elfo di sorrisi, sembra sbucare senza peso lungo l’affanno verticale delle scale.
L’aria è acuta di macchia nel frinire smanioso di grilli e cicale, i tornanti, aggrappati alla pietra, affondano negli olivi, spartiscono carrubi. Improvvisamente una porticina nel muro bianco sbuca su un largo ornato da un orcio frangiato di russelia che angola il portale della casa, Annette lo schiude e il giardino, mostra felice la sua torre di sorprese.
La mia guida fa strada, leggera di brancolino anticipa le balze e ridente osserva lo stupore. Ogni terrazza vale la salita, storia incantate, di bianco e di verde, con fiammate di bouganvillea e interludi celesti di plumbago, tutte rivolta all’infinito d’azzurro, così come le volle Kempf aiutato dalla perizia botanica di Mastr’Antonio, affettuosamente proseguita dalla sua pupilla.
Salendo, fra i ranghi profumati dei limoni che ritmano il parterre, lungo gli archi d’ombra della loggia ortensie bianche in cocci, candide cupole positanesi, camini e la grafica rosata delle tegole disegnano sull’indaco controluce mediterranei. Altri scalini, un ansa trapunta di gelsomini, giravolte di olivi attenuano d’argento la luce, il ceppo antico e forte di una rosa “meillandina” arrampica da anni i rami tenaci tappezzando ogni cosa di meraviglia. Un’altra balconata accerchia i piani alti di Casa Orfeo, un Ficus repens drappeggia spallette e muri intorno alla rotonda pigrizia del prato tra sfere di bosso, mirto, arredi e reperti di marmo. L’emozione svolta sul vuoto sfumato del panorama sottostante.
Cipressi inaspettati, aiuole bianche di Impatiens orlate da Agapanthus mauve circoscrivono la nitidezza di una radura estrema spinta verso il mozzafiato dell’orizzonte scandito da un’orcio che pare sospeso sul nulla. Seguendo le minute giogaie di sentieri stretti, intagliati sul dorso di un dosso, schivando le braccia lente dei carrubi e l’impiglio degli arbusti da foglia, i passi affondano nella morbidezza di una radura popolata di olivi.
I tronchi contorti affollano i rami, subbugliano il sole, lo spandono dolce sulle spighe bianche delle digitali e inventano uno scampolo zen intorno alla fragilità di una lanterna cinese.
I capolini pastello delle “meillandine” riportano alla casa, all’altana in cotto che la rinserra, segnata dall’icona densa di un cipresso, sedili di pietra rincorrono la murata bassa che delimita il volo a mare e contro la roccia una vampa di Bugainvillea, imprigionata di gelsomini e plumbago celeste, brucia il cielo. Insinuanti le brattee incandescenti scivolano sulle mura, serpeggiano pergole di castagno, appiccano incendi radiosi. Dal rostro di pietra sfidano di colore la nebulosità azzurrata che immerge gli isolotti de “Li Galli” e l’aromatico silenzio di questo romitaggio in cui la musica, il desiderio di Kempf, prosegue attraverso l’arte fedele degli allievi.