























L’indirizzo è lunghissimo (Pozzolo Formigaro, frazione Bettole, via Cascinotti Minori, non lontano da Novi Ligure) e l’individuazione del sito è un po’ scoraggiante, perché in mezzo a questa livellata campagna piemontese hai l’impressione di trovarti sempre nello stesso punto. Non sai neppure a chi chiedere informazioni, perché i contadini sono intenti al lavoro sotto il sole, in mezzo ai campi coltivati o chiusi nelle loro cascine. Se non ci fossero i cellulari, forse sarei ancora lì a cercarlo, questo magico tripudio di corolle e profumi, magicamente partorito da una terra che per secoli ha conosciuto solo il verde del grano, ancorché ravvivato dallo scarlatto dei papaveri e dall’azzurro di fiordalisi e Legousia speculum-veneris. Il “giardino di Camilla” – scoprirò solo più tardi che Camilla non è il secondo nome della proprietaria, ma di una sua amatissima cagnolina, cui qui tutto è concesso – finalmente si staglia all’orizzonte, grazie ad alcune chiome di alberi ornamentali, unici elementi verticali in un paesaggio stirato sul piano orizzontale. A cancellare i residui dubbi circa la sincerità delle “referenze” provvede un ingresso che mette di buonumore, con una folta siepe di rose e un accentuato tono campagnolo conferito dalla costruzione rustica che si allunga sulla destra. La struttura del giardino è complessa e semplice allo stesso tempo, perché costituita da varie “stanze” vegetali, accostate fra loro in modo morbidamente coordinato. Ad ogni passo ci s’imbatte in un geniale gioco di forme o in un abbinamento cromatico, che qui sembra la cosa più naturale del mondo, ma che in realtà è il frutto di lunghi e a volte estenuanti esperimenti. La smagliante pergola di glicini, la minuscola vasca affogata nel verde, la bordura di perenni e arbusti, la collezione di edere in vaso e poi rose, rose, rose, accompagnate da decine di Clematis: il tutto ha quel sensuale gusto “inglese”, per cui non sai discernere le ricercatezze del collezionista maniacale dal sapore ingenuo ed agreste del trasandato giardino della nonna. E poi, se è vero che un giardino è lo specchio di chi l’ha creato, anche lei, Maria Narcisi, è in pari misura semplice e complessa. Sotto una cascata di riccioli neri, i due vivissimi occhi di un glauco normanno sono in perenne movimento, mentre le mani passano in continuazione fra quel ramo da eliminare, quel bocciolo da accarezzare e quella lastra da sistemare. Sì, perché in questo suo regno, lei ha fatto tutto: dal diserbo iniziale alla posa di ogni elemento d’arredo, sino alla più piccola pietra. Queste cose, insieme con molte altre, mi vengono narrate in un bugigattolo che le serve da studio, che ricorda da vicino l’atmosfera ottocentesca di un cacciatore di piante anglosassone, fra cumuli di libri o riviste e file di vasetti ricolmi di pianticelle d’ogni genere. In questo micro-ambiente, dove in due si è già in troppi, Maria Narcisi, dopo aver letto quasi tutto, si è fatta un’idea precisa di come impostare la sua passione quotidiana, il giardino che ha voluto dedicare all’adorata Camilla.