






Il complesso di mura e giardino é un raffinato, giovanissimo contesto della metà dei nostri anni ’90
L’autore dell’insieme, concepito in assonanza con il gusto della proprietaria, l’architetto e paesista Nicola Tartaglione, mi accompagna nell’insolita semplicità di questa combinazione di armonie.
A Caserta, intorno al potere mediatico della Reggia, vicino al centro sul dorso della pedemontana, la tenuta fronteggia un poggio dominato dall’antico convento dei Cappuccini, settecentesca ambitissima meta di vedutisti come Hackert o Lusieri per i loro dipinti sul paesaggio, memorie di aristocratiche formalità che si ritrovano abilmente fuse all’essenzialità contemporanea nella progettazione di questo paesaggio.
Visto dal paesista come un insieme di “vizi ortogonali e oblique virtù” il giardino, in piano, si apre con una radura a prato nella cerchia di muri faccia a vista e ringhiere. “L’ingresso é spostato rispetto alla centralità della casa, tangenziale alla villa così da ottenere un percorso rettilineo, solcato dal camminamento in pietra, reso formale da una sequenza di sfere di bosso in conca, mentre” – prosegue l’architetto che per la consulenza botanica si è avvalso dell’esperienza di Domenico de Liguori Carino – “la ricerca delle profondità laterali è stata ottenuta con percorsi obliqui e diagonali all’interno del giardino”.
Dopo il cancello, sull’erba due alti portaceri in ferro battuto e ciotole di impatiens, il giardino viene incontro vivace, emozionante ventaglio steccato dalla riga del passeggio in scarde di porfido chiaro concepito per affiancare l’architettura della villa, caratterizzata dalla luminosità di grandi finestre, porte finestre, angolatura delle terrazze e asimmetria del tetto spiovente.
Spalliere d’alloro arrampicate di gelsomini e caprifoglio coprono la quasi totalità della cinzione lungo le due grandi sezioni a prato, a destra la Dichondra repens veste l’accennato dislivello in cui è posto il giardino basso dove arredi d’epoca in bambù, ghisa e ferro battuto si alternano fra bambù, lavande da cui emerge il candore di calle, ortensie e lillà e ancora Impatiens. Parallelo, ma in quota con l’ingresso, il lastrico di porfido, scortato dai ranghi dei vasi dei bossi intagliati, costeggia il salotto all’aperto sotto la loggia in tela, la casa e si ricongiunge al muro di cinta con orci, rampicanti e arredi in legno.
A sinistra la maggiore ampiezza del giardino rialzato da una lettura chiara della torsione obliqua dell’impianto finalizzata ad accentuare la profondità. Sotto gli altofusti perimetrali, tra cui aceri e salici, Dichondra ruota intorno al lucidissimo fogliame, in autunno virato al giallo cadmio, di un tiglio fragrante, fiorita di ortensie e ciotole di stagionali e piccoli punti d’appoggio in ghisa e ferro.
La curva del terrapieno, a destra gira intorno alla loggia e a sinistra, davanti al pranzo all’aperto forma una aiuola-giardino con camelie, ortensie, edere intorno alla fragranza di un orto a frutteto. Il fondo del prato è ritmato dal divertente allineamento di sedute in legno e ferro riproduzione delle vecchie panchine delle stazioni ferroviarie e da una collezione di lanterne da candela in castagno scortecciato.
Da qui una si scende alla corte sottoposta con l’allegria di un’aiuola ellittica di convolvoli, rose rampicanti, fiori di macchia, su cui affaccia l’intimità della “cave”, salotti bassi, centrati da uno straordinario camino in legno intagliato con colonne tortili, concepiti, arredati e vissuti come l’interno di un casino di caccia ottocentesco.