















Se ne era persa la memoria, ma grazie all’intervento di Vittorio Invernizzi, presidente della Tenuta Monterosso, il giardino e la villa Ottolenghi, ad Acqui Terme, riacquistarono prestigio e fama, dopo anni di trascuratezza e di oblio. Risale al 2 settembre del 2011 l’attribuzione, a Düsseldorf, dell’European Garden Award (premio europeo del giardino) per la prima categoria al giardino di Villa Ottolenghi. Si tratta di un grande riconoscimento, istituito a partire dal 2010, dall’ European Garden Heritage Network (EGHN) del quale fanno parte 8 paesi europei (Belgio, Francia, Italia, Irlanda, Olanda, Regno Unito e Svezia). Le categorie sono due, la prima riguarda i giardini storici e la seconda l’innovazione e l’alta qualità progettuale di giardini e parchi moderni.
Vediamo quindi, le origini e le caratteristiche progettuali di questo straordinario giardino e un breve ritratto dei committenti: i coniugi Ottolenghi.
La Committenza
Le origini della villa, posta sull’altura di Monterosso che sovrasta Acqui Terme, risalgono agli anni ’20 del secolo scorso per volere di Arturo Ottolenghi e dalla moglie Herta von Wedekind zu Horst. Arturo, nato ad Acqui Terme il 19 aprile 1887, viaggiò e studiò all’estero, in particolare in Germania e nel 1914 sposò Herta, figlia di Paolo von Wedekind zu Horst, console tedesco in Sicilia che, pare, fondò anche un’importante società commerciale poi associata alla Standard Oil. Herta era una scultrice e appassionata d’arte, aveva studiato a Roma, e sue opere furono esposte all’Expo di Parigi del 1925, nel padiglione dell’arte decorativa italiana e alla Triennale nell’edizione del 1930. Arturo Ottolenghi per il suo mecenatismo e la sua filantropia fu insignito nel 1948, da papa Pio XII, del titolo di conte e sullo stemma comitale campeggiò il significativo motto: “Aedificavimus fidenter”.
Arturo ed Herta sono ricordati come mecenati in quanto ospitarono nella loro erigenda dimora di Monterosso numerosi artisti tra i quali si ricordano Venanzo Crocetti, Fortunato Depero, Ernesto Rapisardi e Vincenzo Vaccaro. L’intento, probabilmente, era quello di creare un complesso residenziale di grande effetto scenico, ricco di suggestioni artistiche che fosse lo specchio dei gusti collezionistici e delle visoni dei due coniugi.
La Villa
La villa, gli Studi degli artisti, il giardino e il contiguo Mausoleo rappresentano per dirla con le parole dell’architetto Piacentini, una “sinfonia architettonica” dove architettura e natura si fondono in un unicum irripetibile. Tutte le componenti vegetali, architettoniche, scultoree del complesso residenziale degli Ottolenghi costituiscono un complesso storico monumentale di grande suggestione in cui le singole parti dialogano tra di loro. La costruzione del complesso residenziale abbraccia un lungo periodo temporale che va dagli anni ’20 sino agli anni ’50 del Novecento e si estende su 35 ettari, dei quali 10 coltivati a vigneto, 10 destinati a parco e 10 a bosco.
Arturo ed Herta avevano avviato i primi passi ed elaborato le prime idee progettuali di quello che risulterà poi il complesso attuale con Francesco Ferrazzi. E lo stesso Ferrazzi aveva disegnato una prima versione del Mausoleo, decorato da affreschi nella parte superiore e da mosaici nella cripta inferiore. Francesco Terrazzi (1891-1978), che ebbe un ruolo importante nella vicenda del complesso degli Ottolenghi, era, dal 1929, docente di decorazione pittorica all’accademia di Belle arti di Roma quando ebbe tra i suoi allievi il pittore Renato Guttuso e nel 1933 Accademico d’Italia. Il progetto della villa e della residenza per gli artisti invitati ad eseguire le loro opere sul posto (gli studi degli artisti) lo si deve a Marcello Piacentini (1881-1960), che fu uno dei massimi esponenti dell’architettura razionalista, e ad altri architetti razionalisti.
Gli ambienti della villa sono molto articolati e arricchiti da opere d’arte appositamente commissionate: la sala da pranzo rivestita da una boiserie e decorata con affreschi di Ferruccio Ferrazzi, che affrescò anche la sala dei marmi o Studio di Herta; la sala delle pietre, che ospita il museo privato degli Ottolenghi, il salotto bar che fa da contorno a una pittura di Rosario Murabito, e la sala Procaccini, le cui ampie vetrate aprono la vista all’antistante giardino progettato, negli anni ’50, da Pietro Porcinai. Collegati al corpo principale della Villa dal pergolato di glicine, gli Studi degli artisti rappresentano con purezza lo stile degli anni ’30, splendida architettura dalle linee metafisiche. Gli Studi, originariamente, ospitavano gli artisti chiamati dagli Ottolenghi, oggi sono un luogo contornato da diversi spazi attrezzati dai quali è possibile apprezzare la bellezza del paesaggio circostante. Il patio, di estrema luminosità, s’affaccia con il suo porticato sul parco e fa da collegamento ideale fra interno ed esterno in uno stupendo scenario che con i chiaroscuri delle ombre che cambiano durante il trascorrere della giornata diventa un quadro d’arte moderna in continuo movimento.
Il Mausoleo, a pianta circolare, supera i 20 metri d’altezza e i 18 di diametro, pensato inizialmente come “Il Tempio della Madre” poi chiamato anche “Tempio di Herta”, sorge a metà collina, attorniato dai vigneti e dal parco secolare chiamato “Paradiso terrestre” perché vi era collocata la scultura di Martini, l’Adamo ed Eva, in seguito venduta a privati.
A conferirgli una certa leggerezza, nonostante le imponenti dimensioni, è il colonnato antistante, in marmo di Candoglia, lo stesso materiale che riveste l’esterno.
L’ingresso al Mausoleo è scandito da un monumentale portale inciso, di bronzo e nichel, che anticipa la grande volta interna che rimanda all’immensità dell’universo resa dagli affreschi di Francesco Ferrazzi nei quali domina un blu cosmico.
Il Giardino
Dopo la lunga pausa dovuta alla seconda guerra mondiale il complesso di villa Ottolenghi conosce una seconda fase di lavori. Infatti, nonostante la morte di Arturo, avvenuta il 31 agosto del 1951, la moglie Herta e il figlio Astolfo continueranno a migliorare la già rilevante residenza. Intorno alla metà degli anni ’50 vengono chiamati Amerigo Tot a cui si deve il balcone scultoreo che si affaccia verso l’abitato di Acqui Terme e il grande paesaggista fiorentino Pietro Porcinai per la progettazione del giardino, posto tra la villa e gli Studi degli artisti, che sino ad allora manteneva il disegno datogli dall’architetto Giuseppe Vaccaro.
Pietro Porcinai deve la sua fama alla capacità di reinterpretare il giardino formale, e più in dettaglio, il giardino all’italiana e il giardino alla francese, prendendo spunti e idee progettuali ricondotte ad una lessico contemporaneo. Molte delle sue realizzazioni, infatti, si rifanno ad una rivisitazione delle geometrie tipiche dei giardini Cinquecenteschi, creando uno stile unico e al tempo stesso moderno. E’ questo il caso del giardino di villa Ottolenghi, essenziale nelle sue linee, pensato per creare una perfetta armonia con gli edifici circostanti caratterizzati da una impronta architettonica molto forte. Il disegno del giardino di Porcinai, eseguito intorno al 1955, si sviluppa più in orizzontale che in verticale, una sorta di parterre, proprio per non creare una cesura visiva ma anzi un collegamento con gli edifici che vi si affacciano. Il giardino si conclude a valle, con una suggestiva terrazza panoramica che si affaccia sull’abitato della sottostante Acqui Teme.
La pianta è costituita da un reticolo a maglia quadrata costituito da superfici a ciottoli, a prato e bordature di bosso e rose. Il tema del giardino-parterre, scandito da linee geometriche, rette o curve che siano, è stato utilizzato da Porcinai in diverse sue realizzazioni. Si pensi, ad esempio, ad un giardino privato di Napoli che si affaccia sull’omonimo Golfo, progettato nel 1969*, in cui le aiuole a prato di forma mistilinea sono ottenute dall’incrocio di sentieri pavimentati di forma circolare con sentieri pavimentati rettilinei, riapplicando, in tal modo, lo schema progettuale del parterre di villa Ottolenghi. Originale pure il pavimento del cortile, disegnato da Porcinai, costituito da ciottoli, disposti a mosaico con raffigurazioni di frutta e uva. Porcinai, a villa Ottolenghi, esce dal contesto del giardino europeo per affacciarsi alle suggestioni dei giardini dell’estremo Oriente: progetta, infatti anche un Giardino delle Pietre, reinterpretazione del giardino giapponese. Il paesaggista fiorentino è attento anche agli elementi di arredo tanto che disegna anche alcune poltrone girevoli scolpite nel marmo, tutt’ora presenti e dal disegno ancora straordinariamente attuale. Tra le sculture presenti nel complesso della villa si annoverano il Tobiolo di Martini al centro della Fontana posta sul prato, mentre sono di Herta sia La bagnante che troneggia nel patio degli Studi degli artisti sia il Tritone, la statua che sovrasta le Aquae (o Cisternone), la ciclopica cavità che raccoglie le acque piovane. Gli Ottolenghi vendettero la villa, buona parte dei mobili e molte opere d’arte nel 1985. Nel 2006 Vittorio Invernizzi rilevò la proprietà avviando il di restauro del giardino, sino ad allora versante in uno stato di trascuratezza, e il progetto di valorizzazione di tutto il complesso.
(Foto di Tenuta Monterosso e Mark Cooper)
Villa Ottolenghi è aperta al pubblico previa prenotazione
Per informazioni: Villa Ottolenghi
Borgo Monterosso – Acqui Terme (AL)
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